21 marzo 2010

IN MORTE DI JEAN FERRAT, VOCE DELLA FRANCIA UNIVERSALE


Jean Ferrat, pseudonimo con cui era conosciuto al pubblico il cantautore francese Jean Tenenbaum, si è spento sabato 13 marzo scorso all’età di 79 anni. L’emozione che ha percorso la Francia alla diffuzione della notizia è stata forte, testimoniata dalla grande partecipazione popolare alle esequie tenutesi nel villaggio di Antraigues-sur-Volane, in Ardeche, dalla diretta televisiva accordata all’evento e dall’unanime cordoglio espresso dal mondo delle arti e della musica, come da quello della politica. La cerimonia si è svolta in forma civile, essenziale e composta, secondo i desideri dello stesso Ferrat, che nella canzone Mon amour sauvage (Amore mio selvaggio) aveva rivendicato in versi il proprio ateismo: “Proclama forte il tuo ateismo / E campione dell’Umanesimo / La venuta dell’uomo re”.

Nato nel 1930 nella regione parigina, figlio di un ebreo immigrato dal Caucaso, Ferrat vive nell’infanzia il dramma della deportazione e della morte del padre nel campo di sterminio di Auschwitz. Lui stesso scampa alla deportazione grazie all’aiuto di una famiglia di militanti comunisti.
Affacciatosi al panorama musicale sin dagli anni ’50, comincia il suo percorso artistico musicando le poesie di Louis Aragon, ricevendo l’apprezzamento dello stesso poeta, che dichiarerà di avere l’impressione di sentire le proprie composizioni rivivere e assumere una dimensione nuova. L’omaggio costante alla poesia accompagnerà tutta la traiettoria artistica di Ferrat, portandolo a cantare oltre che i versi di Aragon, quelli di poeti francesi e stranieri quali Lorca e Prévert.
Ed è d’altra parte questo primo impegno nel congiungere la canzone con la poesia a dare il senso di tutto il complesso di una poetica impegnata e semplice, colta e popolare, capace di congiungere in un’unica vibrazione emotiva impegno civile, amore e desiderio di cambiare, memoria e ricerca.
Tra i primi testi di sua composizione si trova Nuit et Bruillard (Notte e Nebbia), dedicata alle persecuzioni naziste che tanto duramente avevano marcato i primi anni di vita dell’artista. Tra i versi di questa canzone, con la sua crudezza e la sua carica polemica, prende forma una poetica intansigente, un linguaggio militante che non verrà mai meno. E’ in quel linguaggio, nella chiarezza delle opinioni e delle scelte civili e morali, che si esprime uno dei motivi fondamentali del percorso di Ferrat, lo stesso che ispirerà tante delle sue più di duecento canzoni. Tra queste, Ma France (La mia Francia) assume quasi la funzione di manifesto: “Quella che paga sempre i vostri crimini ed errori / Riempiendo la Storia e le sue fosse comuni / Quella che canto per sempre Quella dei lavoratori: / La mia Francia”.

Compagno di strada fino all’ultimo del Partito Comunista Francese (nelle settimane precendenti la morte si era speso per la campagna elettorale del Front de Gauche, coalizione guidata dal PCF, nelle elezioni regionali), Ferrat non vi aderirà mai formalmente, mantenendo costantemente un profilo critico, talvolta sferzante, non senza venire influenzato dalle contraddizioni e dalle trasformazioni della linea del partito negli ultimi decenni.
All’ impegno sociale e politico, l’opera di Ferrat ha saputo intrecciare tematiche differenti. L’attenzione per il microcosmo di ambizioni e stenti della gente semplice, dagli emigranti di La montagne, che racconta l’esodo dalle campagne alle città dei contadini di Francia (“Lasciano uno a uno il paese / Per andare a guadagnarsi da vivere / Lontano dalla terra in cui sono nati…”), agli amori nei sobborghi industriali di Parigi di Ma môme (La mia bimba): “In una banilieue sovrappopolata / Abitiamo in un ammobiliato … Ma la mia ragazza ha venticinque anni / E sono convinto che la Santa Vergine / Delle chiese / Non abbia più amore negli occhi / E che non sorrida con più grazia…”.
Sull’esempio di Aragon, l’amore entra nella poetica di Ferrat non come un elemento separato dalla passione civile e politica, ma a costituire un insieme che si completa e si giustifica nella compenetrazione tra desiderio dell’assoluto e volontà di cambiamento. Le passioni intime danno dignità all’uomo, la lotta civile gli restituisce la speranza.

Chi scrive ha trovato in Ferrat uno dei primi nessi con la Francia che negli anni ha imparato ad amare, la Francia universale della lotta per la vita e della ricerca individuale e collettiva della libertà e della dignità. Nel salutarne la memoria, è nostro desiderio dedicargli alcuni versi di Aragon da lui stesso musicati, ispirati alla figura del poeta e romanziere Francis Carco: “Dì cos’hai fatto dei giorni andati / Della tua giovinezza e di te stesso / Delle tue mani piene di poesia / Che tremavano all’inizio della notte ?”

Alessio Arena

2 commenti:

  1. Ma Vulcano è un giornale legato in qualche modo alle liste di rappresentanza studentesca? Alessio Arena non sei un rappresentante di sinistra? Io l'ho trovato qui. Forse mi sbaglio. http://giuridemos.splinder.com/

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  2. Si, sono consigliere di facoltà a Giurisprudenza per Démos U.C. Ciò non implica che io non abbia anche altri interessi e attività, tra le quali la collaborazione con Vulcano, che nulla ha a che vedere con l'Associazione di cui faccio parte.

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