26 dicembre 2010

Le luci e la città

A Maurilia, il viaggiatore è invitato a visitare la città e nello stesso tempo a osservare certe vecchie cartoline illustrate che la rappresentano com’era prima: la stessa identica piazza con una gallina al posto della stazione degli autobus …” Calvino scrivendo Le città invisibili le dichiarò un sogno che nasce dal cuore delle città invivibili. E appartiene senza dubbio a quest’ultima categoria Milano sotto Natale, sebbene abbia qualcosa in comune con la più impalpabile Maurilia: un ostinato sguardo nostalgico che rifugge le brutture accumulatesi negli anni del boom economico ed edilizio e si rifugia nelle dolci commemorazioni di epoche passate. Tra queste una bellissima esposizione alla Triennale per celebrare il centenario dell’AEM, in mostra fino al sei gennaio con ingresso libero. Viene ripercorsa, tramite installazioni multimediali e fotografie d’archivio, la storia dell’azienda che dal 1910 provvede all’illuminazione della nostra città. Ci si lascia trasportare dall’atmosfera memorialistica, tra la scoperta di luoghi noti con altri volti e qualche eccesso di luminescenza dittatoriale del ventennio. Eppure proprio la storia dell’AEM ripercorre quella crescita economica che ha portato Milano ad avere l’aspetto e le forme che ben conosciamo oggi. E una volta usciti veniamo assaliti dai fanti del cattivo gusto e dai cavalleggeri della speculazione economica: preservare l’immagine di una Milano a volte eccessiva ma sempre bella è una battaglia persa. Tra Porta Venezia strangolata da lumini rosa, Piazza Fontana ridotta a una imitazione di se stessa che potrebbe andar bene a Las Vegas o in una hall di albergo kitsch, Piazza XXIV Maggio ormai location della pubblicità della Gazzetta e cuori assassini in Galleria che attentano alle anziane signore, sembra proprio che l’unica salvezza sia guardare quelle cartoline di altri tempi e sognare. Ma a Milano, come a Maurilia, “gli dèi che abitano sotto i nomi e sopra i luoghi se ne sono andati senza dir nulla e al loro posto si sono annidati dèi estranei”. E’ inutile sospirare rasseganti di fronte a una foto di Brera trent’anni fa, perché a fianco si può vedere anche una gigantesca scritta “Dux” proiettante luce su Piazza Duomo: nella storia le brutture sono state cancellate con la lotta e la volontà di cambiare, senza le quali dovremo sopportare ancora molto a lungo le luci rosa, certo più innocue (anche se i cuori sembrano già più aggressivi) della propaganda di regime, ma insormontabile ostacolo per chi vuole poter guardare la bellezza della propria città per le strade e nella realtà, e non solo in una sala di museo.

Irene Nava




Piazza Fontana

Piazza Duomo

Galleria Vittorio Emanuele
La Rinascente

Porta Romana


Led "Diventa un angelo" - Piazza San Fedele

Brera

Piazza della Scala
Via Manzoni
Cordusio
Chiesa Vecchia di Baggio, via delle Forze Armate angolo via Ceriani

Via Dante

Castello Sforzesco

Cairoli
Cadorna (installazione luminosa rimossa in seguito a polemiche sulla possibilità di decorare le opere d'arte)
Navigli


Foto: Francesca Di Vaio, Valentina Meschia, Roberto Colombi, Giuditta Grechi

24 dicembre 2010

Alla Scala Il lago dei cigni di Nureyev


Non occorrono altre parole per spiegare Il lago dei cigni, l’opera d’arte di Čajkovskij che, nella versione di Nureyev, il 16 dicembre ha inaugurato la stagione ballettistica 2010/2011 del Teatro alla Scala, dopo circa dieci anni di assenza dal palcoscenico meneghino. È il sortilegio di un amore impossibile, quello fra il principe Siegfried, malinconico protagonista del balletto, e Odette, la principessa trasformata in cigno dal malvagio mago Rothbart. Eppure, non è soltanto il dramma di un amore inconsolabile e privo di ogni speranza a fare del Lago il balletto par excellence, accanto ad altri capolavori del grande repertorio come Giselle e La Sylphide. C’è di più, ovverosia la straordinaria immagine, indelebile nella memoria di ogni spettatore, della splendida e aristocratica donna-cigno in tutù bianco, la quale, fragile e struggente, si aggrappa e nel contempo si abbandona all'amore del suo principe, nella speranza che il giuramento di quest’ultimo possa donarle la salvezza dalla crudele maledizione di cui è vittima. Vana illusione: soggiogato dal cigno nero Odile, oscura creatura plasmata da Rothbart e incredibilmente somigliante a Odette, Siegfried crede di scorgervi il suo amato cigno bianco e, reso cieco dall’amore, chiede in sposa proprio Odile. Il trionfo di Rothbart si compie: Siegfried spergiura e Odette non potrà essere salvata. L’incanto fiabesco del Lago, summa della geometria orchestica, rapinoso e suasivo come la sua musica, si concentra proprio qui, cioè nel tema, così meravigliosamente seducente, dell’amore di un mortale per una creatura soprannaturale, per un essere “diverso”, sospeso in un’incessante e costantemente incompiuta metamorfosi, vera essenza tersicorea del cigno.
Come si diceva, in scena alla Scala non è la coreografia originaria di Marius Petipa e Lev Ivanov, rappresentata nel 1895 al Mariinskij di San Pietroburgo, bensì quella di Nureyev, il quale, magnifico coreografo-ricostruttore qual era, già nel 1964, incaricato dalla Staatsoper di Vienna, si profuse in una rilettura totale del Lago, giungendo vent’anni più tardi alla sua versione definitiva per l’Opéra di Parigi, poi acquisita, nella stagione 1989/1990, dalla Scala e ad oggi nel repertorio della sua compagnia.
Ora, oltre a celebrare, accanto a Nureyev, la genialità di Petipa nel centenario della sua morte (1910), il Lago scaligero 2010/2011 si segnala anzitutto per l’inconsueto affidamento della direzione dell’orchestra alla bacchetta di Daniel Barenboim, nel contempo impegnato con l’opera inaugurale Die Walküre di Wagner, e poi per la scintillante presenza sul palcoscenico, quali danzatori protagonisti del primo cast, dei due giovani astri del Mariinskij-Kirov di San Pietroburgo: il ventottenne L. Sarafanov, interprete del principe Siegfried, e la venticinquenne étoile A. Somova, la quale si sdoppia nel ruolo di Odette/Odile. Sarafanov, nuovo Barišnikov e già acclamatissimo alla Scala, dimostra di ben conoscere e dominare con disinvoltura, scrupolosità e raffinatezza lo stile di Nureyev, il quale, proprio per il ruolo del Principe, aggiunse variazioni tecnicamente e interpretativamente al sommo della difficoltà, ampliandone la profondità introspettiva, la tensione drammatica e il contenuto espressivo. Somova, ora languida e struggente Odette, ora perfida e maliarda Odile, se non spodesta nella memoria la grazia, l’accurata eleganza e la stupefacente intensità dell’indimenticabile Margot Fonteyn, seduce con il sinuoso movimento delle sue braccia sottili. Con la qualità tecnica ed espressiva del suo movimento e con la pulizia delle sue linee, tutta di scuola pietroburghese, convince, elevando con sciolta naturalezza la sua interiorità a forma, senza però scadere nel cieco sfoggio virtuosistico. Simulando una mimesi dinamica, cromatica e psicologica, Somova passa con agio dal registro elegiaco dell’abbandono, dello struggimento, della nostalgia e della speranza di Odette, all’incantesimo erotico e all’indole coreograficamente diabolica, sensuale, nervosa e aggressiva di Odile. Impersona il ruolo bifronte del precettore Wolfgang e del mago Rothbart, simbolo del male e del soffocante autoritarismo che distrugge l’ideale dell’amore oltre la vita e il sogno dell’assoluto di Siegfried, novello eroe romantico, il primo ballerino scaligero A. Sutera, il quale si confronta, con esito pregevole, con la parte che Nureyev, negli anni della maturità, ritagliò per sé e su di sé.
Insomma, se la versione di Nureyev alla perfezione della composizione coreografica unisce un angosciante simbolismo psicoanalitico, soffuso di una concezione spiccatamente romantica, la genialità intrinseca del Lago alberga nel suo esprimere una nuova bellezza, non più ottocentesca, bensì già decadente, “pre-impressionista”: benché ancora non rompa con l’accademismo, esso è un balletto sul turbamento dell’interiorità, sul fluttuante sdoppiamento che pervade l’esistenza.

Fabio Paolo Marinoni Perelli

22 dicembre 2010

Manifestazione contro il DDL Gelmini - 22 dicembre 2010

Oggi è il giorno della discussione della Riforma dell'Università del Governo Berlusconi in Senato, la cui approvazione è ormai data da molti per scontata.
E in tutta Italia cortei e manifestazioni di studenti e ricercatori rinnovano il loro deciso no nei confronti del DDL Gelmini. Anche oggi Vulcano ha seguito la protesta milanese.
Via Festa del Perdono. Alle 9.00 è previsto un presidio organizzato dal collettivo di Città Studi e da gruppi interfacoltà. Stampa e polizia non mancano. Verso le 10.30 i manifestanti si spostano all'interno dell'università, improvvisando un'assemblea per decidere il da farsi.
L'aula 201 si riempie velocemente. Tra studenti della Statale, della Bicocca, il gruppo della Bovisa e qualche ricercatore, ci saranno quasi trecento persone. Viene avanzata qualche proposta sulla forma da dare alla manifestazione. Si decide alla fine per un corteo unico, fra le destinazioni viale Padova o Porta Venezia, dipenderà dalla concertazione del tragitto con la polizia. Pochi attimi di tensione quando il corteo viene subito chiuso in santa Caterina, mentre cerca di raggiungere corso di Porta Romana. Superato il momento di scontro con la polizia, la manifestazione procede a singhiozzo in via Francesco Sforza, dietro alla sede della Statale, fino all'incrocio fra via Umberto e via Mascagni. Da lì si concorderà con la polizia per viale Padova. Cordoni e camionette della polizia, e una folta schiera di giornalisti e fotografi, precedono e seguono di pochi passi il corteo.
Tamburi, fischi e slogan animano la protesta e da finestre e balconi si affacciano i coriosi. Qualcuno indifferente, qualcun'altro applaude e incoraggia gli studenti, che rispondono invitandoli a scendere e partecipare alla manifestazione.

Incrociando piazzale Susa e passando per viale Romagna, il corteo procede per viale Lombardia, rallentando il traffico. Qualche automobilista protesta, altri suonano il clacson, incitati dagli studenti stessi, in segno di solitadietà.
Dai megafoni arrivano gli aggiornamenti dal Senato: prima la proroga di qualche ora della votazione, poi la notizia del definitivo rinvio a domani.
Sono quesi le 14.30, e per poter raggiungere in tempo gli studenti medi che si stanno radunando in Festa del Perdono, il corteo abbrevia il percoso: da via Giacosa si gira in Crespi, e si ritorna in metro in Duomo da Pasteur. Anche gli immigrati si affacciano ai balconi ed escono in strada, richiamati dai cori di solidarietà degli studenti, "Contro la Gemini e la Bossi-Fini siamo tutti clandestini".
Davanti alla Statale, collettivi e studenti medi decidono di riunirsi nuovamente per riorganizzre la protesta del pomeriggio.
Foto: Giuditta Grechi

12 dicembre 2010

Il corteo per “Piazza Fontana”

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Ieri ,11 dicembre, si è tenuto l’annuale corteo antifascista per ricordare la strage di Piazza Fontana e la morte dell'anarchico Pinelli, ingiustamente accusato della stessa, la cui morte è ancora, dopo 41 anni, lasciata impunita e nascosta dal segreto di Stato. I manifestanti, partiti dal Porta Venezia e sfilati in corteo fino a Piazza Fontana, hanno ricordano le vittime e chiesto che la verità storica venga finalmente alla luce.

 

 

 

 

 

 

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Irene Nava