18 dicembre 2008

NON CHIAMIAMOLA RIFORMA


Legge 133/2008. Questo il movente ufficiale delle ultime e pressanti mobilitazioni e prese di posizione che hanno visto protagonista il mondo accademico nostrano. Non si tratta propriamente di una riforma universitaria, ma della legge approvata nell’agosto 2008 relativa ai programmi per il triennio 2009-2011 in materia finanziaria, entro cui si inseriscono provvedimenti che toccano direttamente la natura delle istituzioni universitarie e del corpo docente. L’iter legislativo della 133 ha visto l’approvazione del preliminare Decreto Legge 112/2008, che ne anticipava sostanzialmente i contenuti. Su proposta del Ministro del Tesoro Tremonti, il Consiglio dei Ministri ratifica quindi il 25 giugno il decreto, recante Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria.

Vediamo nello specifico di cosa si tratta.
ART 16: Facoltà di trasformazione delle università in fondazioni.
Cit:"le Università pubbliche possono deliberare la propria trasformazione in fondazioni di diritto privato. La delibera di trasformazione è adottata dal Senato accademico a maggioranza assoluta. [...] Le fondazioni universitarie subentrano in tutti i rapporti attivi e passivi e nella titolarità del patrimonio dell’Università [...]. Le f.u. sono enti non commerciali e perseguono i propri scopi secondo le modalità consentite dalla loro natura giuridica e operano nel rispetto dei principi di economicità della gestione. […] Eventuali proventi, rendite o altri utili derivanti dallo svolgimento delle attività previste dagli statuti delle f.u. sono destinati interamente al perseguimento degli scopi delle medesime". E ancora: "i trasferimenti a titolo di contributo o di liberalità a favore delle f.u. sono esenti da tasse e imposte indirette e da diritti dovuti a qualunque altro titolo e sono interamente deducibili dal reddito del soggetto erogante. [...] Le f.u. hanno autonomia gestionale, organizzativa e contabile. La gestione economico-finanziaria delle f.u. assicura l’equilibrio di bilancio".
Non è chiaro, però, fino a che punto questa autonomia vada a incidere sulla qualità e l’indirizzamento della ricerca e le ripercussioni che questa scelta possa avere sia sulla governance che sul sistema di finanziamento degli atenei.

ART 66: Turn over
Cit:"le amministrazioni provvedano, entro il 31 dicembre 2008 a rideterminare la programmazione triennale del fabbisogno di personale in relazione alle misure di razionalizzazione, di riduzione delle dotazioni organiche e di contenimento delle assunzioni".
Per il triennio 2010-2012 gli enti di ricerca possono procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato che non può in ogni caso eccedere le unità cessate nell’anno precedente, con una riduzione del turn over pari al 20% nei prossimi tre anni. Questo comporterà una notevole diminuzione del personale docente negli atenei, o quanto meno un’assenza di rinnovamento del corpo docente italiano - già gravato da una anzianità elevata – consentendo una sola nuova assunzione ogni 5 pensionamenti.


Solo recentemente, il Governo ha preso provvedimenti per alleggerire il peso del turn-over per alcuni casi specifici. Infine, elemento portante della legge 133 è, da qui al 2013, la riduzione dei fondi destinati ad università e ricerca per un taglio complessivo di 1441,5 milioni di euro.
Il provvedimento governativo è stato subito accolto da pareri contrastanti. Buona parte del mondo accademico ha dimostrato perplessità nei confronti dell’intervento. Di natura strettamente economico-finanziaria, la misura è stata espressamente apportata dal Governo allo scopo di risanare il deficit di bilancio determinato dall’abolizione dell’Ici anche per i ceti più abbienti. Giustificata, inoltre, con la volontà di riassestare l’inefficiente sistema universitario, si realizza nel concreto come una serie di tagli indiscriminati, in assenza di alcuna progettualità riformatrice.
Secondo la CRUI (Conferenza dei rettori italiani), conseguenza del nuovo panorama realizzato dal Governo sarebbe il peggioramento del livello di funzionalità delle Università e la crescente difficoltà nel reggere la concorrenza/ collaborazione in atto a livello internazionale. In una nota approvata all’unanimità, la Conferenza dei Rettori ha lanciato l’allarme sulla situazione drammatica in cui versano le università italiane, che ad oggi rischiano il rosso in bilancio. Nel documento, indirizzato al ministro Gelmini, i rettori hanno ricordato che i nostri atenei "sono strangolati e rischiano di non poter pagare neppure le retribuzioni del personale.[…] Non è più sopportabile l’azzeramento dei finanziamenti per l’edilizia universitaria che impedisce sia l’avvio di nuove realizzazioni, funzionali alla didattica e alla ricerca, sia la semplice manutenzione delle strutture esistenti".

Nel caso del nostro Ateneo, ad esempio, secondo quanto riferito dal Rettore e dal Direttore Amministrativo, a partire dal 2010 non si saprà come chiudere il bilancio. L’alternativa proposta dalla finanziaria stessa, la facoltà di trasformazione delle università in fondazioni di natura privata, non pare al momento fattibile, già solo per l’incapacità della struttura produttiva italiana di sostenerne i costi.
Alcuni docenti, tra i quali figurano illustri ordinari e rettori della Sapienza, delle Università di Torino, Napoli, Padova, Catania e Teramo, sono scesi in piazza lanciando un appello per contrastare i provvedimenti governativi che, sostengono, impoveriscono economicamente e culturalmente l’Università: "si tratta di misure che […] restringono lo spazio vitale dell’Università sancendone l’emarginazione irreversibile nella vita del Paese. Non viene soltanto auspicata la ritirata dello Stato dalle sue funzioni storiche nel garantire la formazione superiore e la riproduzione delle sue classi dirigenti [...] significa condannare tanto le Università pubbliche che private a un sicuro destino di irrilevanza."

Pare dunque lecito domandarsi: Ci sarà ancora spazio, nell’università della 133, per quel settore della ricerca che non produce risultati "economicamente rilevanti"? Come potrà essere garantito a tutti il diritto ad un’istruzione superiore e di qualità? E ancora: perché in un momento di recessione non investire proprio nell’Università come propulsore di uno sviluppo che permetta l’uscita dalla crisi?

Giuditta Grechi, Silvia Valenti, Laura Carli

12 dicembre 2008

STATALE OKKUPATA?


Il programma della mobilitazione previsto per la serata di oggi, 12 dicembre, è saltato. Nell’intenzione dei promotori, il corteo organizzato in concomitanza allo sciopero generale indetto da Cgil, al ritorno in Festa del Perdono sarebbe dovuto sfociare nell’occupazione dell’ ateneo, da realizzarsi con una serie di iniziative che spaziano da assemblee e rievocazioni della strage di Piazza Fontana (di cui oggi è l’ anniversario), a un concerto di band universitarie.
Il definitivo annullamento della serata prevista è stato l’epilogo di una giornata già iniziata questa mattina con la divisione degli studenti in due cortei: 40 dalla parte di Via Festa del Perdono, 70 dall'altra. Un corteo numericamente esiguo decide di frazionarsi ulteriormente. Durante il ritorno in Università si innesca uno scontro tra due delle fazioni più attive. Sembra che la controversia, inizialmente scoppiata come rissa tra singoli soggetti, abbia avuto origine dal tentativo di occupare l’Aula Magna. Mentre un'assemblea organizzata e autorizzata doveva svolgersi in un'aula, l'atrio è stato teatro di scontri e disordine, e nel frattempo la porta d’ingresso dell’Aula Magna veniva in parte scassinata. E' a questo punto che si consuma la frattura fra gli organizzatori delle iniziative: una parte abbandona subito la Statale, in segno di dissociazione, lasciando al loro destino tutte le iniziative in programma. Rimane solo una frangia a presidiare l'auletta precedentemente occupata, di fianco agli uffici al piano terra, incapace numericamente e strategicamente di portare a termine il programma di eventi previsto. Nelle ore successive si è parlato di sgombero, di sicuro al moment c'è solo la convocazione di un'assemblea prevista per lunedi prossimo alle 14 per discutere dei fatti accaduti. Forse si tratta di una sconfitta per la mobilitazione studentesca che, partita a Ottobre all'insegna di grande partecipazione, ha subito oggi l'incapacità da parte degli organizzatori, che pure hanno avuto tanto credito dalle istituzioni universitarie, di realizzare in Università un evento aperto alla città, e in particolare di gestire la presenza delle diverse fazioni in campo.

5 dicembre 2008

Rokia Traorè: la sirena del Mali



Delle sirene, quegli splendidi e pericolosi animali mitologici che la tradizione ha tramandato sino ai giorni nostri, la cantante e musicista maliana Rokia Traorè ha pressoché tutto. In primis, una bellezza fisica stordente, che par celare un segreto inafferrabile, nella sua completezza. Delle sirene, Rokia ha anche una voce divina che, -c’è da scommetterci- sarebbe capace di far naufragare anche i moderni marinai. Scherzi a parte, Rokia è davvero un’artista con una marcia in più, perché non si limita a proporre al pubblico occidentale la musica cara alla propria tradizione. A differenza di quanto faceva, ad esempio, Ali Farka Tourè, il più grande e rimpianto chitarrista blues africano (che peraltro ha anche il merito di aver scoperto la Traorè), Rokia non mostra interesse verso operazioni di recupero, propriamente filologiche. Alla nostra non è sufficiente mettere insieme un paio di tamburi tindè e accordare la propria voce agli strumenti a corda tipici del Mali. La nostra sirena fa molto di più. La nostra sirena inventa linguaggi, incrocia generi, fa sintesi. Per dirla meglio: Rokia ha vissuto e continua a vivere il fenomeno della globalizzazione (non solo in ambito musicale), in maniera tutt’altro che passiva.

Per lei, ascoltare Machine Gun di Hendrix o Jammin’ di Bob Marley non significa subire un vero e proprio e choc, come era accaduto, per esempio, in un paese come il nostro tra gli anni ’50 e ’60 del secolo scorso. Per la giovane e sensibile artista maliana, invece, ascoltare Hendrix o Marley, (ovviamente i due nomi hanno qui una funzione puramente metonimica) non è un’assoluta scoperta. Tale evento, piuttosto, fa subito scattare in lei un meccanismo memorativo di riconoscimento. Si materializza così un filo rosso che sprofonda le radici nell’infinito e ancestrale tempo dell’Africa. Un’Africa che qui non può che finire col coincidere con quella “Grande Madre” da cui tutto ha avuto inizio. Si è andati lontani, forse troppo. Torniamo alla nostra umile presentazione di Rokia Traorè. Si diceva giustamente del rapporto eterodosso che lega Rokia alla tradizione musicale del Mali, perché è innegabile che la ricerca che propone parta inequivocabilmente dai suoni di quella storia. Rokia non rinnega nemmeno per un attimo quei quattro quarti che anzi elegge a veri e propri pilastri della sua musica. Semplicemente, la Traorè si è accorta dello straordinario viaggio che il blues e le sue successive modificazioni genetiche hanno compiuto in giro per il mondo. La nostra ha studiato con commovente umiltà e sincera passione per la conoscenza la storia della musica afro-americana ed ora non dimostra di conoscere a menadito i frutti della pianta del blues. Nei suoi dischi sembra spesso voler ripercorrere l’itinerario che la cosiddetta “musica del diavolo” ha effettuato, cullato dalle limacciose del Mississipi: dalle gigantesche piantagioni dell’Alabama o della Georgia, alle metropoli di Memphis e Chicago.

E’ solo tenendo a mente tutto questo che si comprende la profonda passione, o meglio, la quasi venerazione che Rokia nutre per Jimi Hendrix. E’ solo a questo punto che si intuisce la profonda importanza ideologica che si cela dietro alla scelte di cantare servendosi degli idiomi più diversi. Del resto né l’inglese, né il francese, né l’africano, né altre lingue, sono la Lingua del Mondo. È piuttosto dal loro incontro che può nascere un frutto artistico universalmente godibile. Un frutto che ogni paio di orecchie declinerà in maniera diversa e che forse finanche capirà in maniera diversa. Ma tutte queste diversità non sono poi così importanti, sembra sussurrarci implicitamente Rokia, che ormai vive da anni in Francia, dove produce e incide i propri dischi. Piuttosto, tali diversità possono divenire non solo importanti, ma anche funzionali nella prospettiva di un arduo ma fascinoso superamento delle stesse.

La musica di Rokia, è una musica delle minoranze, una musica di riflusso. Una musica che il miope orgoglio autoriale non riesce a scalfire. Questa musica restituisce alla collettività del popolo africano, (in questo senso più che mai ampliato) tutto quello che in secoli di vite, gioie e patimenti è stato partorito. Nel canto della splendida Rokia c’è dunque il sublimato sostrato culturale di un continente intero. Il suo lato tragico, il suo lato comico e la loro sintesi etica ed estetica Questa sintesi altro non è che la consapevolezza dell’esistenza di una “ricchezza collettiva”. Insomma, le diversità sono, secondo Rokia, motivo di imperdibile ricchezza. Nella sua musica, che ci piace presentare come alternativa al montaliano “male di vivere”, così, non possono non essere intraviste queste splendide parole dello studioso Albert Jachard: “l’altro, come individuo o come gruppo, è prezioso nella misura in cui è dissimile”. Rokia è dunque una sirena moderna, la cui funzione è diametralmente opposta a quella che la mitologia tradizionale affidava a questi esseri. Più che far perdere il senno e la via, la Traorè sembra volerci aiutare ad orientarci. Dapprima oscura e poi luminosa, come una stella vespertina.

Davide Zucchi

2 dicembre 2008

1 dicembre 2008

QUESTO MATRIMONIO NON S'HA DA FARE?

I primi di giugno a Viterbo si è consumata una storia di ordinaria intolleranza. Forse non così ordinaria, dato che il gesto di discriminazione proviene da chi predica la tolleranza come valore.
Il caso del ragazzo rimasto paralizzato a due mesi dal matrimonio e che decide di procedere ugualmente, senza nemmeno rimandare le nozze, è già commovente. La trama però si colora di tristi tinte dickensiane quando la giovane coppia si trova davanti un ostacolo imprevisto: “Questo matrimonio non s’ha da fare”, dice il vescovo di Viterbo. La motivazione? Il ragazzo non è più in grado di farsi onore perpetrando la specie. La sensibilità collettiva rimane turbata, mentre la Curia si difende sostenendo che si è trattato di una decisione obbligata, conforme ai dettami del magistero cattolico. Questo arroccamento dottrinale, oltre a danneggiare la coppia, rischia di riportare in auge il crudele concetto di malattia e deformità percepite come colpa e, soprattutto, non corrisponde al sentire dei fedeli, sempre più inclini ad un cattolicesimo “liberal”, se non critico. Lo strapotere della Chiesa è indubbio, forte anche del gran numero di fedeli su cui dice di contare. Ammettiamo pure che la mentalità italiana sia inevitabilmente intrisa di cattolicesimo, ammettiamo che il novanta percento della popolazione italiana sia, talvolta suo malgrado, battezzata; mi chiedo però quanti si sentano realmente rappresentati da un’istituzione religiosa così arroccata nella difesa del diritto divino da negare un estremo atto di pietà (penso al caso di Welby), o un significativo gesto di vicinanza a dei giovani che hanno già sofferto molto? Ai cattolici l’ardua sentenza.

Laura Carli

SE POTESSI MANGIARE UN’IDEA


9 dicembre 2008 - ore 17.00 Università degli studi di Milano - Aula Magna Festa del Perdono


SE POTESSI MANGIARE UN’IDEA. GIOELE DIX RACCONTA GABER

con Gioele Dix, produzione Fondazione Giorgio Gaber.

È tra i principali obiettivi di ‘Milano per Gaber’ la divulgazione della figura e dell’opera dell’artista soprattutto tra il pubblico giovanile e studentesco. In questa direzione si inserisce la proposta ‘Se potessi mangiare un’idea – Gioele Dix racconta Giorgio Gaber’ programmata martedì 9 dicembre 2008 alle ore 17.00 presso l’Aula Magna dell’Università Statale. L’evento, anche in considerazione del contesto accademico nel quale è presentato, si caratterizza come una vera e propria ‘Lezione – Spettacolo’, nel corso della quale Gioele Dix ripercorre le tappe più significative dell’opera del Signor G, attraverso l’esecuzione di vari brani musicali, accompagnati da un’articolata e approfondita elaborazione teorica sull’importanza e l’attualità della figura di Gaber. Gioele Dix, ideatore dell’iniziativa, è uno dei più importanti interpreti e autori del teatro italiano. I suoi spettacoli, spesso premiati con il ‘biglietto d’oro’ dell’Agis, si inseriscono a pieno titolo tra le opere più significative della drammaturgia contemporanea , capaci di avvicinare il pubblico più giovane alla nobile e insostituibile arte del teatro.


INGRESSO LIBERO FINO AD ESAURIMENTO POSTI