30 settembre 2006

MESSICO: LA GRANDE FRODE

E’ finita. Dopo più di due mesi d’incertezza il Messico ha un nuovo presidente. Ma non è assolutamente detto che si tratti del candidato più votato dal popolo messicano. Anzi…

Ma andiamo con ordine. Il 2 luglio scorso si svolgono nel paese centroamericano le elezioni presidenziali. A contendersi la massima carica istituzionale ci sono i candidati dei tre partiti che da circa vent’anni tirano le fila della politica messicana: il PRI (Partido Revoluciònario Istitucional) il PAN (Partido de Acciòn Nacional) e il PRD (Partido de la Revoluciòn Democratica). Il PRI, sorta di democrazia cristiana messicana, ha governato ininterrottamente il paese per tutto il Novecento. Nato dalla rivoluzione di Villa&Zapata, di ispirazione socialista, si è lentamente trasformato nel monolitico strumento di dominio delle oligarchie conservatrici del paese (pur lasciando traccia del proprio passato progressista nell’ossimoro del nome attuale – in precedenza si chiamava Partido Revoluciònario Naciònal).
Il PAN, partito nazionalista di destra ha quindi interrotto per la prima volta un dominio che durava dal 1910, nel 2000, vincendo le elezioni presidenziali. Ma la svolta è stata più apparente che reale dal momento che il PAN si è appoggiato alle medesime forze sociali del predecessore (i potentati economici del paese e l’alta borghesia legata a doppio filo con il vicino colosso statunitense) e ne ha proseguito la politica conservatrice e neo-liberista – il presidente uscente Vicente Fox è nientemeno che l’ex boss della filiale messicana della Coca-Cola, multinazionale che in Messico controlla circa l’80% delle bevande imbottigliate – il conflitto d’interessi non è, a quanto pare, solo una specialità nostrana…

Ma alle elezioni di luglio si profila una svolta. Il PRD, il terzo contendente – partito di centro-sinistra nato nel 1989 da una costola del PRI per dissenso rispetto alla politica autoritaria e neo-liberista di quest’ultimo – ha serie possibilità di imporsi. Può schierare, a fronte degli incolori Roberto Madrazo e Felipe Calderon di PRI e PAN, un pezzo da novanta, Andres Manuel Lopez Obrador, il sindaco uscente di Città del Messico. Amlo (come lo chiamano i suoi sostenitori) ha governato per cinque anni con straordinaria efficienza el monstruo, la capitale più popolosa e caotica della terra, riuscendo in quella che si può definire un’impresa: ripulire (seppur parzialmente) la corrottissima polizia della città. Sin dall’inizio i sondaggi lo danno in testa.Una sua vittoria sarebbe una vittoria epocale: spazzerebbe via l’asse conservatore da oltre mezzo secolo al potere in Messico e spingerebbe nuovamente il paese a sinistra, settant’anni dopo la presidenza illuminata di quel Lazaro Cardenas che rese la patria delle tortillas la nazione più avanzata dell’intera America Latina. Anche il Messico potrebbe accodarsi a quella ventata di cambiamento che viene dall’America Meridionale e che ha portato all’ascesa di governi progressisti in Brasile, Argentina, Venezuela, Bolivia, Cile ed Uruguay. Il rischio per PRI e PAN è grande. Nei due anni precedenti alla tornata elettorale parte allora una campagna diffamatoria in grande stile (orchestrata nell’ombra dall’ex-presidente del PRI Salinas de Gortari). Una campagna che facendo perno sulle dichiarazioni di un imprenditore argentino, Carlos Ahumada, mira a gettare addosso a Lopez Obrador infamanti accuse di corruzione. Il complotto viene però abbastanza in fretta allo luce, per diretta ammissione dello stesso Ahumada. Si arriva così alla fatidica giornata del 2 luglio. Tutti si aspettano una vittoria di Obrador…e invece, lo scrutinio assegna la vittoria, per l’esiguo scarto dello 0, 56 %, a Calderon, il candidato del PAN. Ma…sorpresa! Tra il numero dei votanti e i voti assegnati c’è uno scarto di 900 000 voti! Dove sono finiti? Nei giorni successivi si moltiplicano da tutti i distretti elettorali del paese le denunce più inquietanti: furti di urne, schede sottratte e fatte sparire, voti annullati senza ragione, intimidazioni, conti che non tornano, cifre falsificate… Lopez Obrador si appella immediatamente all’IFE (Instituto Federal Electoral), perché disponga un riconteggio totale dei voti. Tutto il Messico trema ripensando all’orribile precedente del 1988. Anche allora un candidato di sinistra (Chautemòc Cardenas, figlio del già citato Lazaro Cardenas) era dato per strafavorito. Invece alla fine di una lunga giornata d’estate risultò vincitore Salinas de Gortari, il candidato del PRI. Solo anni dopo venne fuori l’orrenda verità dei brogli che avevano condizionato quel voto.

Nei giorni successivi al 2 luglio allora – ricordando questo tremendo precedente – i sostenitori di Por el Bien de Todos (la coalizione che spalleggia Obrador) si riversano in massa per le vie di Città del Messico per protestare contro el fraude. Il 30 luglio, nello Zocalo, la piazza principale, si contano più di due milioni di persone.Nella capitale si moltiplicano los planteamentos por la democracia: occupazioni di piazze, strade, viali, dove si improvvisano dibattiti, si allestiscono spettacoli e concerti, si sperimentano nuove forme di lotta…E’ la più grande mobilitazione pacifica della storia messicana.Una rivolta che viene dal profondo della società civile, stufa di decenni di oppressione e corruzione del paese...
Purtroppo la doccia fredda è in agguato. L’IFE, probabilmente manovrato dall’oligarchia panista, concede solo un riconteggio del 9% delle schede e lascia cadere nel vuoto le denunce di Lopez Obrador. Il riconteggio parziale non intacca la vittoria di Calderon e conferma i risultati. La traballante democrazia messicana incassa una nuova sconfitta. Ma cosa avrebbe potuto fare la sinistra al potere da giustificare un tale ricorso all’illegalità?

Forse avrebbe rinegoziato quel trattato di libero commercio-capestro con Usa e Canada – fortemente voluto dal PRI – che ha causato la chiusura di migliaia di aziende messicane (battute dalla concorrenza dei prodotti a Stelle Strisce) e spinto così all’emigrazione milioni di messicani… Forse avrebbe chiesto agli stessi Stati Uniti una politica dell’immigrazione più rispettosa dei migranti messicani… Forse avrebbe anche combattuto i cartelli del narcotraffico, da sempre collusi con il potere di Città del Messico… Molto probabilmente avrebbe ridimensionato lo sfruttamento delle principali risorse del paese da parte delle multinazionali straniere e il controllo delle più importanti catene di mezzi d’informazione da parte delle oligarchie legate a PRI e PAN. In qualche modo avrebbe allentato la dipendenza secolare dall’ingombrante vicino yankee - “Povero Messico, tanto lontano da Dio e tanto vicino agli Usa” diceva Porfirio Diaz… Magari avrebbe anche spinto verso il riconoscimento dei diritti delle popolazioni indigene e migliorato le condizione di vita dei milioni di cittadini messicani che vivono sotto la soglia di povertà. In ogni caso sarebbe stato un passo importante verso una democrazia reale.

Francesco Zurlo

25 settembre 2006

SALVADOR DA BAHIA

Salvador - chiamata a volte semplicemente “Bahia” – è stata la primissima capitale del Brasile quando ancora era una colonia portoghese. Ha tutto quello che un viaggiatore può desiderare: preziosi palazzi barocchi trasudanti di storia, affascinanti stradine dietro le quali brulica la vita del sottobosco urbano, spiagge di una bellezza mitologica, e un clima paradisiaco tutto l’anno: la differenza tra estate e inverno la percepiscono solo i bahiani, uno dei popoli più vivaci, goderecci ed estroversi del pianeta. Costruita sulla sommità di un’altura e cresciuta su due livelli tra cidade alta e cidade baixa Salvador è adagiata all’interno della Baia de Todos os Santos, chiamata così da Amerigo Vespucci che la scoprì nel giorno di Ognissanti del 1501. Deve la sua iniziale ricchezza soprattutto al commercio dello zucchero, dell’oro, dei diamanti e degli schiavi che giungevano dall’Africa. Il numero di questi ultimi divenne negli anni così alto che le tradizioni culturali africane iniziarono a influenzare profondamente la cultura della città (basti pensare ai ritmi musicali, ai riti del camdomblè e alla capoeira, nata proprio qui). L’80% della popolazione della città è di origine africana, anche se nella maggioranza dei casi si è fusa con il resto delle razze. A testimoniare il potente passato di Salvador è il quartiere del Pelourinho, il centro storico, ricco di bellissime chiese barocche e di palazzi di epoca coloniale. Fino a una decina d’anni fa era un quartiere malfamato; da quando è stato completamente restaurato è diventato uno dei luoghi più sicuri della città e una mecca turistica. Peccato che per tirarlo a lucido gli abitanti originari siano stati sfrattati per far posto ad alberghi e negozi di ogni genere. Ciononostante il Pelourinho continua ad essere molto frequentato dai soterapolitanos (questo il nome esatto degli abitanti di Salvador) soprattutto il martedì sera, quando si riempie di musica per la cosiddetta “terça do Pelourinho” (martedì del Pelourinho): in ogni piazza, via, locale, c’è un’invasione di palchi con concerti gratuiti di ogni sorta di genere musicale. Se volete venire a Salvador il Pelourinho è sicuramente il posto più sicuro in cui si può alloggiare (c’è in media un poliziotto ogni 50 metri) e con gli alberghi più a buon mercato, ma ha un’elevatissima concentrazione turistica e di conseguenza è impacchettato e servito per gli stranieri. Per cui è salutare saltare su un autobus e esplorare la città, magari mettendo da parte per un attimo la guida per percorrere le strade dove il bahiano Jorge Amado (il più celebre scrittore brasiliano) ha ambientato alcuni dei suoi più celebri romanzi. Sempre per non barricarsi nel Pelourinho (ma spendendo qualche soldino in più), si può alloggiare presso la Casa Encantada nel quartiere di Itapuã, gestita da una coppia di italiani, interessante esperimento di turismo solidale. Itapuã ha anche una delle più belle e affollate spiagge della città, frequentata soprattutto la domenica. Non ci si può togliere poi il piacere di passare una giornata sulle spiagge di Ribeira, Barra, Ondina o della più lontana praia do Flamengo (più fighetta e turistica, ma con un paesaggio semplicemente paradisiaco); spiagge che non hanno i nomi esotici di quelle carioca di Copacabana, Ipanema e Urca, ma che a queste non hanno davvero proprio nulla da invidiare. La sera si può fare il giro dei locali notturni di Rio Vermelho, il quartiere di più grande effervescenza culturale della città, anch’esso con delle belle spiagge, e magari il giorno successivo far visita al santuario di Nosso Senhor do Bomfim, nell’omonimo quartiere, dove potrete farvi legare con 3 nodi (a cui corrisponde un desiderio da esprimere) una fita do Bomfim, il braccialetto di stoffa che i bahiani annodano per chiedere una grazia.

Sebbene Salvador non goda la fama di città sicura, girare per le sue strade non è assolutamente così rischioso come si racconta. Basta avere il buon senso di non ostentare con orgoglio borse di Prada, bracciali d’oro e preziosi cronografi; oltre ad avere (sempre) questi accorgimenti, se poi ci si vuole avventurare in quartieri periferici molto poveri (ce ne sono putroppo in abbondanza), è consigliabile vestirsi il più possibile come un brasiliano (indossando pantaloni corti, canotta e infradito) e non mostrare assolutamente macchine fotografiche digitali, visto che comunque, a meno che non siate molto scuri di pelle, non passerete mai inosservati. Per fare shopping e tenersi lontano dal turismo di massa stile “cotto e magnato”, bisogna evitare come la peste il Mercado Modelo, a pochi metri dall’Elevador Lacerda (l’ascensore che collega città alta e città bassa): è concepito apposta per gli stranieri. Andate piuttosto alla Feira de São Joaquim (ma non dopo che ha appena piovuto, a meno che non vi piaccia sciare nel fango). Per mangiare ce n’è per tutti i gusti, la cucina bahiana gode di un’ottima fama in tutto il Brasile. Quindi non c’è motivo alcuno per cui prendervi una pizza, che qui è popolarissima, ma fa a dir poco schifo. Se siete in strada buttatevi piuttosto sugli spiedini o sul buonissimo acarajè, una specie di polpetta di farina di fagioli e cipolle fritta nell’olio di palma di dendê e servita con minuscoli gamberetti e salse varie.

Quando si parla di radici africane vengono subito in mente la capoeira e il candomblè. Per assistere a capoeira non solo a uso e consumo dei turisti, basta andare al centro per la conservazione della capoeira de Angola, nel Pelourinho, dove è possibile trovare maestri ultrasettantenni ancora in attività, come Mestre Bendão, che assieme a lui tengono viva la tradizione della capoeira più antica (l’altra variante è la cosiddetta regional, più spettacolare e acrobatica). Per assistere invece a una cerimonia del candomblè – la religione portata dagli schiavi che col tempo si è sincretizzata col cattolicesimo - è necessario essere accompagnati da qualche bahiano in una casa branca, il luogo dove avvengono le cerimonie. Se non conoscete nessuno che possa accompagnarvi vi basterà sborsare qualche reais e affidarvi alle guide che sicuramente l’albergo dove alloggerete vi proporrà. Non fa molta differenza: anche loro vi porteranno negli stessi posti della periferia (se non delle favelas) dove vi porterebbe un conoscente locale. Una delle casas brancas più famose è quella di Mata Escura, quartiere alla periferia nord della città. Il rito in sé è affascinante e suggestivo, e sebbene la presenza di decine di turisti accanto a voi non ve lo farà pensare, è assolutamente autentico.

Chi ha intenzione di andare a Salvador per il carnaval, potrà essere felice di apprezzare quello che è il carnevale di strada più grande al mondo e che dalla maggior parte dei brasiliani viene considerato il più bello del Brasile. Sei giorni di delirio in cui 25 chilometri di strade vengono chiuse al traffico per il passaggio di una fiumana di più di 2 milioni di persone, che ballano, bevono e amoreggiano dietro ai trios eléctricos, carri che sono dei veri e propri palchi ambulanti sopra ai quali si esibiscono le band musicali dei generi tradizionali di Bahia, soprattutto axè, pagode e samba reggae. L’alternativa è quella di seguire un bloco, un gruppo di percussioni, o qualcuno dei famosi afoxè, i gruppi del carnevale, come gli Olodum e i Filhos de Gandhi. Bahia è la patria di quasi tutti i cantanti brasiliani più famosi (Caetano Veloso, Gilberto Gil, Gal Costa, Carlinhos Brown, João Gilberto, Maria Bethania…) che spesso sono sopra i carri per cantare dal vivo, se avrete fortuna potrete trovarvi nella bolgia assieme a loro.

Beniamino Musto