31 dicembre 2009

Crepe in Su, ultima puntata

Ultima puntata, tutto il resto della vicenda all'interno del blog
Un’altra crepa. La tesoriera di SU, la signorina Van Hattem parte, il 14 ottobre, e va in Erasmus in Gran Bretagna. E dato che non si era stabilito nessun nuovo tesoriere durante le sedute estive del coordinamento, e che i piccoli screzi tra i due poli di Fdp e di Scienze iniziavano a venire a galla, la tesoriera decise, stante nel suo ruolo di tutela della cassa di SU (5000 euro), di non distribuire i soldi a nessuno fino a quando le acque non si sarebbero calmate e le divisioni riappacificate, aspettando la nomina di un nuovo tesoriere. Di conseguenza il gettone degli organi superiori (500 euro per il senato a seduta per rappresentante, e un po’ di meno negli altri organi superiori compreso il C.i.Di.s.) contava molto di più, dato che la cassa generale diventava intoccabile e che alcuni progetti dovevano essere avviati. Aggiungiamo a questo che i ricavati della festa di Città Studi, la Freshers’s Fair, festa di Sinistra Universitaria organizzata ad inizio ottobre, non sono stati condivisi con le altre facoltà. Infatti sono rimasti nelle mani della senatrice di scienze, organizzatrice dell’evento, Alessandra Brambati, rendendo i dissapori tra i poli di FdP e Celoria sempre più visibili. Un esempio: ai rappresentanti di SU di Scienze Politiche fu negato del denaro per la ristrutturazione dell’aula dei rappresentanti, proprio da parte dei rappresentati di scienze di SU.

L’insieme di piccole fratture ha portato ad una inesorabile rottura delle nuove fondamenta che si era data Sinistra Universitaria. Se queste fratture legittimano la presa di posizione dei “franchi tiratori” durante la votazione per la presidenza della Conferenza degli studenti è difficile dirlo. Probabilmente dietro a queste crepe, non ci sono solo sviste dei costruttori ma anche la scelta dei materiali da adoperare. Che dietro tutto questo ci sia un grosso problema politico o semplicemente un problema più legato ai soldi che ai principi della rappresentanza (500 euro per ogni seduta del Senato)? Esiste un problema di autoreferenzialità interna, di gerarchia decisionale dentro SU. Qualcosa cambierà sicuramente … forse.

Denis Trivellato

23 dicembre 2009

RASSEGNA STAGIONE TEATRALE MILANESE - PARTE PRIMA


“Fatti non foste a viver senza teatri, /

ma per seguir, a prezzi scontati, spettacoli e canoscenza"*

* - Dante Alighieri, Inferno(XXVI, 118-120) -

“Ciò che ho sempre trovato di più bello, a teatro, è il lampadario”.

(Charles Baudelaire)

Intorno al teatro aleggiano spesso vacue quanto false dicerie. Che sia dispendioso. Che ingeneri uggia, monotonia, tedio, per farla breve… sonno. Non si capisce bene se la ragione di questi vaneggiamenti risieda nello sfrenato comfort delle poltroncine, distillatrici di soporiferi benesseri, o nella spinta all’emulazione rappresentata da quel gregge di vecchiette in pellicce da 7kg e mezzo (a volte pesano più di chi le indossa), che fanno sembrare il teatro luogo di ossequiosa, elitaria eleganza (nello stile degli avvisi all’ingresso delle chiese che invitano a rispettare la sacralità del luogo).


Ma il teatro non è né l’uno, né l’altro, ad esser bene informati. Potrei procedere con una sfilza di citazioni per convincervi, ma son certa che un breve e trasversale viaggio nella varietà della stagione milanese, prima, e qualche aneddoto su convenzioni e sconti, poi, vi farà meglio allontanare il pensiero da impellicciamenti e manfrine-economiche-post-dilapidazione-del-proprio-patrimonio-per- portar-fuori-il-ragazzo/la ragazza-su-cui-si-vuol-far-colpo.


Appuntamenti mese per mese.
- Novembre. Nel mese della pioggia cantato dai Gun’s, (e recentemente da Giusy Ferreri), “la città si accende in un istante” al ritmo della produzione Teatridhitalia, che al Teatro Elfo Puccini mette in scena la seconda, attesissima parte di Angels in America, bestseller americano di Tony Kushner, Perestroika(22/10-22/11). Messinscena di De Capitani e Bruni, lo spettacolo ha fatto incetta di premi tanto nella sua versione teatrale quanto in quella cinematografica con Al Pacino, assurgendo a rappresentazione di una New York degli anni ’80 stretta tra le inquietudini della vita quotidiana, dell’omosessualità, dell’Aids, nel quadro di un alternanza tra dialoghi serrati e alla volta intimistici, e allucinazioni narcotico-oniriche. Bellissimo. Di forte impatto.


Al Teatro Leonardo, da non perdere è l’antologia, nel corso del mese, degli spettacoli della celebre e meravigliosamente divertente compagnia Quelli di Grock (che da quest’anno si occuperà della gestione diretta del teatro). Su tutti l’imperdibile “Cinema cinema”(3-5/11), “Ze sciò magoòn”(7-9/11), e l’eccentrico “Caos”(12-14/11).


Al Teatro Carcano invece troviamo L’attore(11-22/11), dal romanzo di M. Soldati, interpretato da Giulio Bosetti (anche regista), M. Bonfigli e Salines. Quindi la versione teatrale di Pippi Calzelunghe(24-29/11), regia di Angelini e supervisione di Gigi Proietti, spettacolo fresco e adatto a tutte le età.


Per gli amanti del musical e non solo, dal 2 ottobre “La Bella e la Bestia”, in scena fino a quando saranno venduti i biglietti, al neo-ristrutturato Teatro Nazionale. Prodotto dalla multinazionale leader in Europa Stage Entertainment, con questo spettacolo il teatro punta non solo a diventare un tempio del musical sul modello di Londra e Broadway, ma anche ad offrire i musical più belli del mondo con orchestra dal vivo, costumi e scenografie sontuosi, regia e coreografia eccentriche. Suggestivo.

Tra il 16711 e il 6/12 il Piccolo Teatro di Milano offre un omaggio alla scomparsa Fernanda Pivano, con “La canzone di Nanda”, spettacolo in cui Casale, amico della scrittrice, giornalista, critica della Beat Generation, sotto la regia di G. Vacis, alterna la lettura dei suoi “Diari 1917-1973” alla narrazione di storie vissute insieme, il tutto nel sottofondo musicale degli artisti della Beat stessa. Per gli appassionati, o per chi vuol saperne di più.

Al Teatro Manzoni “Est Ovest”, spettacolo scritto e diretto da C. Comencini, che vede sulla scena l’elegante Rossella Falk, Luciano Virgilio, Bigagli e D. Piperno, impegnati nella rappresentazione di una società dove a spiccare sono la crisi dei valori familiari e la solitudine, elementi di una trasformazione sociale su cui la Comencini invita a riporre lo sguardo.


Amanti della satira politica?Non potete perdere “Fenomeni”(dal6/11), al Teatro Ventaglio Smeraldo, spettacolo che vede il celebre M. Crozza impegnato nella descrizione dei “fenomeni”che popolano la realtà italiana, attraverso l’evolversi malinconicamente bigio e quotidiano delle notizie.

Da segnalare infine, per i meneghini doc, “Tiranott”(27/10-07/11), al Teatro Franco Parenti. Di L. Pedullà, e con M. Zerbin, in un bar di Milano un uomo di mezz’età evoca pene amorose, ricordi, aneddoti di grandi poeti e scrittori milanesi: Gadda, Loi, Porta, Manzoni, Tessa. Ancora al Parenti, “Lezioni americane”(10/11- 15/11), regia di Orlando Forioso (vi giuro, si chiama così!), con l’intramontabile Giorgio Albertazzi ad interpretare i brani calviniani.

Infine da segnalare è “Tradimenti”(23/11-29/11), opera di H. Pinter, con regia di A. Renzi e l’interpretazione di Nicoletta Braschi, che mette in scena la rievocazione dei ricordi di una storia d’amore clandestina da parte di due ex amanti reincontratisi a distanza di anni.

Dicembre. Il 12 dicembre il Piccolo Teatro di Milano, in commemorazione dei 40 anni trascorsi dalla strage di Piazza Fontana, propone una lettura di testi da parte di Luca Ronconi, la presentazione del documentario di G. Gagliardo Vittime, più l’apertura di una sala e la visita di spazi inediti della struttura di Via Rovello.


Al Teatro Allianz dal 4 dicembre si potrà assistere alla prima nazionale del musical “We will rock you”, strepitoso successo in 14 Paesi, scritto da Ben Elton con musica dei Queen. Direzione di M. Colombi, con effetti speciali, scenografie e brani cult della storia del rock.


E’ invece al Teatro Smeraldo che possiamo trovare Marco Travaglio, a presentare nuovamente “Promemoria”(dal 18/12), dopo il successo che lo scorso anno aveva portato lo stesso autore di punta del “Fatto” al sold out.


Il Teatro dei Filodrammatici propone invece l’esilarante tragicommedia “Love and Money”(3-31/12), di D. Kelly, con Tommaso Amadio.


Se al Teatro Leonardo possiamo trovare il classico di Molière “Il malato immaginario”(4-31/12), dell’agguerrita Compagnia Teatrale di Quelli di Grock, il Teatro Elfo ripropone il gran successo dello scorso anno “Libri da ardere”(9-31/12), di Amélie Nothomb, con l’imponente Elio De Capitani, a rappresentare l’indistruttibilità del ricordo, in un lucido gioco intellettuale basato sulla separazione tra letteratura buona e cattiva, nelle forme di un sapiente botta e risposta tra tre personaggi.


Infine dal 25/12 troveremo ancora l’ottantenne Paolo Poli, alle prese con la riproposizione sulla scena del suo “Sillabari”, quest’anno al Teatro Parenti.
A seguire…

Valeria Pallotta

20 dicembre 2009

Il teatro al servizio dell'informazione

Intervista a Giulio Cavalli



Attore, scrittore e regista di un teatro utilizzato come mezzo per mantenere vive pagine importanti della storia recente. Nel 2006 decide di mettersi in scena con lo spettacolo "Kabum!...come un paio di impossibilità", sotto la direzione artistica di Paolo Rossi; l'attività prosegue con "(Re) Carlo (non) torna dalla battaglia di Poitiers", spettacolo incentrato sui fatti del G8 di Genova del 2001, "Linate 8 ottobre 2001: la strage", monologo sull'incidente aereo costato la vita di 118 persone.
Di più recente produzione gli spettacoli "Do ut Des", su riti e conviti mafiosi, che costa a Cavalli la scorta a seguito di minacce, e "A cento passi dal duomo" incentrato sulla presenza delle famiglie mafiose al nord.

18 dicembre 2009

Crepe in Su, seconda puntata


Per vedere la precedente puntata:">http://vulcanostatale.blogspot.com/2009/12/crepe-in-su.html

Una nuova crepa. Sono i mesi caldi di aprile e maggio, quelli delle elezioni universitarie. Mentre Obiettivo Studenti faceva “campagna abbonamenti Cusl”, tra i rappresentanti e i possibili eletti di SU era in atto una guerra silenziosa: il tarocco del santino, cioè del “foglietto minimal” d’informazione politica, della grandezza di un bigliettino da visita o poco più, con sopra i nomi e le foto dei candidati (illegale per certi versi, come ad esempio il regolamento generale d’Ateneo; nella quotidianità universitaria, normale e distribuito). Il tarocco consisteva nel cancellare “per sbaglio” gli altri candidati della tua lista che volevano ricoprire il tuo stesso ruolo di rappresentanza durante la fotocopiatura.
Bene, sembrerebbe che almeno due persone all’interno di SU abbiano giocato questa carta: Alessandra Brambati (ora senatrice accademica di SU, Scienze Biologiche) e Barbara Brindisi (anch’essa senatrice accademica di SU, Giurisprudenza), o perlomeno questo è venuto fuori da alcuni dialoghi intrattenuti con molti rappresentanti di SU, e da alcuni rappresentanti di altre liste (Demos, Pantera). Per non nasconderci dietro delle falsità, c’è da aggiungere che il malcostume del santino è una normale illegalità italiana. Il grande Totò ce lo ricorda così: “Vota Antonio La Trippa”.
A questo riguardo, sembra che ci sia stata, dopo aver provato l’accusa con prove alla mano, un mea culpa con tanto di ammissione di debolezza da parte della senatrice Brambati, sfociato in un malcontento generale senza nessun tipo di ripercussione. Le uniche espressioni di malumore sono venute fuori, un po’ tra le righe e un po’ silenziose, dal gruppo di Scienze Politiche di SU e da un piccolo gruppo di Festa del Perdono (rappresentanti di SU a Filosofia, Lettere e Giurisprudenza).

Un’altra crepa. Alla seduta di ottobre del Coordinamento Assembleare di SU, il polo di scienze non si presenta. Festa del perdono e Scienze Politiche iniziano ad incontrarsi tra di loro per discutere delle questioni più urgenti. In una di queste riunioni è presente anche Giulio Formenti, forse per sbaglio, o forse per caso. Comunque, durante questa riunione informale di venti persone, iniziano a volare insulti, spintarelle e sputi. Secondo alcuni dei presenti “la questione era il comportamento di Formenti nel C.i.Di.s., riguardo il suo modo di spadroneggiare da capo sugli altri rappresentanti di Sinistra Universitaria, sul suo modo di manipolare i fatti, raccontare mezze verità, il suo fraintendere forzatamente qualsiasi cosa censurando istericamente ciò che non gli piace”. Secondo l’interessato invece, “la questione nasce da una rivalità personale ed emotiva, e qualcuno, maleducato, non si sa controllare”. Conseguenza: Formenti ha fatto un esposto ai commissariato verso tre rappresentanti di SU del polo di Festa del Perdono, Contu, Diodato e Augello.

Denis Trivellato

17 dicembre 2009

Seconda tranche bando attività culturali e sociali

Segnaliamo a tutti gli studenti della Statale l'importante annuale "bando per le attività culturali e sociali" la cui illustrazione è condensata in un "vademecum" sul sito dell'università.

La prossima scadenza è alle ore 15 del 22 gennaio 2010, ultima data per consegnare le proprie richieste di finanziamento (di iniziative studentesche) e riguarda la seconda ed ultima tranche per l'anno accademico 2009/2010.
Affrettatevi, tutti gli studenti possono partecipare, ci sono ancora 90 mila euro da assegnare in progetti da massimo 2500 euro ciascuno.

http://www.unimi.it/cataloghi/divsi/avviso_attcult.pdf
http://www.unimi.it/studenti/1174.htm

15 dicembre 2009

Anteprima giovani alla Scala

Tutti sanno che il 7 Dicembre, festa del patrono di Milano, si apre la stagione lirica al Teatro alla Scala. Tutti sanno che è impossibile assistere alla “prima”: i biglietti sono tutti già venduti; o per meglio dire offerti. Vedere il “tappeto rosso” è deprimente: sembra che alla Scala ci possano andare proprio tutti, tranne chi è veramente interessato.
Fortunatamente il 4 Dicembre la Scala apre le porte ai giovani ad un prezzo più conveniente e, si spera, ad un pubblico migliore: sto parlando dell’Anteprima Giovani, una buona iniziativa che ha avuto, soprattutto negli ultimi due anni, un notevole successo. La prevendita è avvenuta a Novembre e la biglietteria nella galleria della Metropolitana in Duomo è stata presa d’assalto da tantissimi ragazzi. La fila si è formata sin dalle prime luci del giorno e si è ingrossata sempre di più (la biglietteria apriva alle 12.00); è stato necessario fare una lista per occupare la propria posizione ed essere chiamati in ordine. Si è calcolato che ci fossero più di seicento ragazzi in coda quella mattina. Non tutti sono riusciti a portare a casa il biglietto e sono tornati a casa con la coda tra le gambe, battuti da chi si è presentato all’alba. I biglietti venduti sono stati all’incirca cinquecento (calcolando che su seicento ragazzi, ne sono passati circa duecentocinquanta e ognuno di loro poteva comprare fino a due biglietti). Altra possibilità era la biglietteria in Internet, che ha messo a disposizione trecento biglietti: all’apertura delle vendite on-line, il numero si è frantumato in due minuti. Tutto esaurito anche su questo fronte. Il resto dei biglietti è distribuito tra le varie associazioni e scuole. Anche la nostra università fa la sua parte attraverso il gruppo di ragazzi del CIS. La notizia importante è che, se ci fossero davvero più possibilità, i ragazzi andrebbero volentieri alla Scala. Il teatro dovrebbe dunque pensare bene a questo grande successo e soprattutto all’aumento continuo della domanda (il più delle volte non soddisfatta).Si è già fatto qualche passo, grazie al sito internet http://www.lascalaunder30.org/ e una serie di altre promozioni (rintracciabili sul sito ufficiale del teatro).
Magra consolazione è sapere che l’unico canale televisivo a trasmettere la diretta della prima è su SKY (Classica, canale728). Non ci resta quindi che un profondo odio nel vedere gente come Valeria Marini entrare alla Scala, al posto di giovani desiderosi di opera lirica.

Daniele Colombi

14 dicembre 2009

Piazza Fontana 40 anni dopo

12 dicembre 2009. Per l'anniversario della strage di Milano il corteo alternativo si scontra con le forze dell'ordine. Contestato Pierfrancesco Majorino, capogruppo del PD in Consiglio Comunale.

di Gregorio Romeo

Crepe in Su


Tutti sappiamo cos’è successo in Su dopo il 16 novembre, il giorno delle elezioni per la conferenza degli studenti (chi non se lo ricordasse può leggere qui http://vulcanostatale.blogspot.com/2009/11/normal-0-14-false-false-false-it-x-none.html)
Questo invece è il racconto a puntate dei retroscena che hanno portato a quella spaccatura

Prima puntata

Questa spaccatura interna a Sinistra Universitaria non è nata in un giorno. Si può invece dire che negli ultimi nove mesi, all’interno dello stesso movimento, si sono celate senza controllo molte crepe. L’emergere di una di queste ha portato alla luce problemi di vecchia data.
Ecco una
prima crepa. Nel mese di settembre iniziarono sul sito di Sinistra Universitaria e sulla mailing list ufficiale del movimento delle moderazioni sugli argomenti da trattare e sulle persone che potevano partecipare. Ad esempio Vasile, rappresentante di SU a Scienze Politiche, ma anche altri come Contu, Turco furono “eliminati” dalla mailing list di SU. Altri, invece, sono stati solo pregati in modo rigoroso di non discutere più di alcune questioni, come Grechi, Augello e Bettoni. Il Moderatore della mailing list e del sito di SU, in quel periodo, era proprio Giulio Formenti. Dopo questa ennesima “prova di forza”, fu chiesto a gran voce da molti rappresentanti di SU di Festa del Perdono di togliere il moderatore, o perlomeno di sostituirlo. Fu accettata quest’ultima proposta, e uno di questi nuovi moderatori divenne la senatrice Brambati. Le cose non cambiarono, e le azioni moderatrici neppure. Così si costituì una seconda e parallela mailing list sinistrauniversitaria@googlegroups.com, dove un po’ per il gusto dell’epurazione e un po’ per principio confluirono tutti, o quasi tutti, i rappresentanti di SU di Fdp e Scienze Politiche, lasciando al polo scientifico la vecchia mailing list generale@sinistrauniversitaria.net . Contemporaneamente, alcune persone dall’Aula Pesci (storica aula di SU in fdp, vicino il BronxLab) vennero invitate a non utilizzare quegli spazi. Giulio Formenti sulla questione dichiara “Sinistra Universitaria in Festa del Perdono e a Scienze Politiche si comporta come un collettivo, inoltre l’Aula Pesci viene utilizzata per banchetti, manifestazioni e riunioni del Pd, deturpando così l’immagine di Sinistra Universitaria, la quale è apartitica nei confronti dei movimenti nazionali”, e aggiunge “molte persone che non fanno parte di Sinistra Universitaria la utilizzano in modo indecoroso”. Mentre la senatrice Brambati dichiarava qualche mese fa, sempre su tale questione, “sono stata costretta a moderare la mailing list e le discussioni sul sito di SU, a causa di continui attacchi personali, molto volgari, che interrompevano le discussioni più serie”.
Un’
altra crepa. All’insediamento del nuovo C.i.Di.s., organo interuniversitario sul diritto allo studio universitario (alloggi, borse di studio, ecc.), venne stipulato un patto. Questo Patto, firmato SU-LdS (“Liste di Sinistra”, la lista maggioritaria della Bicocca), affidava a Giulio Formenti l’incarico di rappresentante degli studenti nel Consiglio di Amministrazione per entrambe le università fino al completamento del regolamento. Dopo, si sarebbe dovuto dimettere per poter poi essere sostituito da un altro rappresentante, espressione di una sintesi SU-LdS. Il signor Formenti, come raccontano, all’inizio accettò senza problemi. Finite le vacanze il regolamento venne approvato, ma Formenti? Nessuna dimissione. Fine dei patti.
Una rappresentante di LdS scriveva in una mail qualche mese fa: “Alle parole non sono seguiti i fatti: abbiamo sostenuto Giulio Formenti con la promessa di una sua dimissione dall'organo a settembre, dopo la stesura di un regolamento elettorale, ma ciò non si è verificato. Pertanto ci riserviamo da una possibile collaborazione futura con Sinistra Universitaria”. Lui si difende affermando che “Nessuno mi può chiedere di dimettermi, inoltre, quello di LdS che doveva prendere il mio posto, era impresentabile, … oltre al fatto che stava per partire per tre mesi in Brasile e che pertanto non avrebbe potuto gestire quel ruolo come invece lo sto portando avanti io”. A molti SUisti non andò giù il comportamento di Formenti.

Denis Trivellato

11 dicembre 2009

La nostra università, la nostra rivoluzione


Il progetto Facoltà di Proporre del Collegio di Milano presenta una riforma che arriva dagli studenti

Nel confuso e acceso clima di dibattito e scontro nato in seguito alle recenti scelte del Governo in materia di Scuola e Università, abbiamo sentito la necessità di comprendere meglio la situazione, che ci coinvolge proprio in quanto studenti.

Abbiamo voluto sospendere preliminarmente ogni interpretazione, mossi dalla convinzione che prima di formulare proposte è necessaria l’acquisizione di un’adeguata conoscenza di contenuti, sostenuta dal dialogo continuo con le diverse realtà interessate. Per tali motivi abbiamo avvertito l’esigenza di raccogliere e organizzare informazioni e dati attendibili, reperibili da chiunque abbia la volontà di dedicarvisi con impegno. Solo così ci siamo sentiti in diritto di confrontarci con il ventaglio sociale coinvolto nell’azione di protesta.

Così nasce il progetto di ricerca Facoltà di Proporre, un’indagine sullo stato attuale dell’Università italiana intrapresa da alcuni studenti del Collegio di Milano, in collaborazione con alumni e studenti esterni. Del gruppo di lavoro, coordinato da Matteo Andreozzi, fanno parte Amos Badalin, Roberta Guarragi, Claudia Macerola, Flavia Marisi, Miriam Muccione e Adele Tiengo, iscritti alle Facoltà di Lettere e Filosofia e di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Milano.

Quella degli studenti universitari è una categoria anomala. È l’anima stessa dell’Università e la difende con forza, ma spesso dimostra di esserne semplice fruitrice, concentrandosi esclusivamente sulla conservazione dei servizi rivolti a chi studia. Si perde di vista, dunque, il vero obiettivo: il perfezionamento della didattica e della ricerca, garanzia per lo sviluppo di un Paese e per il miglioramento della qualità della vita della collettività. Il nostro gruppo ha sentito, invece, l’esigenza di tornare a concepire l’Università come una realtà tanto dinamicamente protesa al nuovo, quanto imprescindibilmente legata allo studio di se stessa. Per questi motivi abbiamo scelto di affrontare la situazione in cui versa il mondo universitario proprio con i suoi stessi strumenti, i nostri strumenti: lo studio e la ricerca.

Abbiamo avviato un progetto che ci permettesse di seguire con competenza il dibattito sulla riforma, di discernere le informazioni dei media, spesso incomplete o arricchite da inferenze politiche e ideologiche, consentendo a chiunque legga il nostro lavoro di fondare le proprie osservazioni o proposte su basi solide e approfondite. Da qui la finalità del nostro progetto, il quale vorrebbe assumere la funzione di supporto contenutistico per tutti coloro che avvertono la necessità di prendere una posizione in merito, senza farsi travolgere dagli eventi o rassegnarsi ad assistere passivamente. La nostra ricerca espone in maniera semplice e chiara tutto ciò che abbiamo ritenuto necessario sapere per essere in diritto di formulare opinioni e proporre miglioramenti.

Il primo passo è stato capire come l’Università sia arrivata ad essere quella che oggi frequentiamo, come è nata e quali sono stati i suoi sviluppi. Abbiamo studiato l’intero sistema dell’istruzione, per poi soffermarci su quella terziaria. Per comprendere le motivazioni dello stato di cose attuale abbiamo letto la storia dell’Università italiana del secolo scorso e i cambiamenti epocali che l’hanno trasformata, addentrandoci poi nell’ambito dell’organizzazione degli Atenei.

Dopo aver delineato i profili dei ministri protagonisti degli interventi che hanno scatenato le contestazioni degli ultimi mesi, abbiamo trattato l’iter delle normative al centro delle polemiche. Applicando ordine e metodo al vortice mediatico che in non poche occasioni ha sconvolto la realtà dei fatti, abbiamo tracciato una cronistoria e sviluppato un’analisi puntuale dei provvedimenti in materia universitaria. Alcuni di questi sono stati affrontati per non pregiudicare la visione d’insieme, mentre una particolare attenzione è stata dedicata a quelli reputati più critici.

Parallelamente all’analisi verticale abbiamo allargato il campo di ricerca orizzontalmente, considerando le osservazioni degli attori della protesta. Alla luce delle conoscenze acquisite, ci è stato possibile meglio riconoscere i pareri puramente pretestuosi, nonché verificare e approfondire aspetti che non avremmo potuto cogliere autonomamente. Affinché la nostra ricerca rimanesse strettamente legata al contesto in cui è nata ci siamo aggiornati quotidianamente sulle posizioni di studenti, dipendenti universitari, professori, ricercatori, dottorandi, assegnisti, rettori e politici. In particolare abbiamo affrontato le modalità con cui si è manifestato un parere favorevole o contrario ai provvedimenti, quali opinioni hanno avuto riscontro, le motivazioni addotte e le eventuali proposte.

Fatta eccezione per alcuni testi di particolare rilevanza, il cuore della nostra ricerca si è svolto interamente su Internet, attraverso e-book, blog, siti delle testate nazionali, delle associazioni sindacali, ma soprattutto del Governo Italiano, del MIUR, dell’ISTAT e dell’OCSE. La vera particolarità del progetto consiste nella metodologia adottata per la raccolta dei dati. Lo sforzo collettivo ha portato alla luce informazioni di difficile reperimento, alle quali abbiamo dato visibilità grazie alla continua stesura di un testo interattivo, sempre consultabile su Internet all’indirizzo web http://progettofilosofi.pbwiki.com.

Nella fase finale dei lavori abbiamo raccolto le riflessioni di esperti in materia, personalità di spicco e specializzati nel settore, con lo scopo di delineare alcuni possibili ambiti all’interno dei quali esercitare la nostra “facoltà di proporre”. Quindi, abbiamo individuato alcuni campi d’intervento, all’interno dei quali sviluppare dei propositi di miglioramento per il sistema universitario e che, in fase di elaborazione del documento, abbiamo suddiviso in ambiti preliminari, universitari e ausiliari.

Nelle proposte preliminari ci siamo soffermati su considerazioni riguardanti l’informazione dei cittadini e le modalità di attuazione dei provvedimenti. Abbiamo constatato che, nonostante il diffuso interesse verso il mondo accademico e il proliferare di studi in materia, l’insufficiente sensibilizzazione che gli organi d’informazione compiono intorno a queste tematiche si riflette nella mancata consapevolezza sociale delle funzioni dell’istituzione universitaria e dell’importanza della promozione dei risultati della Ricerca, principale chiave di sviluppo di un Paese. Numerose sono le statistiche ufficiali sul rendimento delle singole università, che non vengono diffuse adeguatamente, perdendo la loro utilità di strumenti di valutazione e valorizzazione, con l’ulteriore effetto di accelerare il processo di sradicamento degli atenei dal loro territorio.

Per quanto riguarda le proposte universitarie, abbiamo individuato alcuni nodi problematici, che negli ultimi anni sono stati oggetto di insolute controversie. Abbiamo esaminato la questione dell’autonomia universitaria, di cui abbiamo percorso criticamente le molteplici implicazioni; approfondito la necessità di migliorare i servizi di diritto allo studio; indicato alcuni strumenti per favorire carriere meritocratiche per studenti, dottorandi, ricercatori e professori; suggerito modalità di investimento nell’alta formazione degli insegnanti specializzati; analizzato la possibilità per le università di trasformarsi in fondazioni di diritto privato e sondato la prospettiva, per gli atenei italiani, di aprirsi ad orizzonti internazionali.

Infine, abbiamo elaborato alcune proposte ausiliarie, approfondendo ambiti che, in quanto studenti, avvertiamo come particolarmente vicini al nostro modo di concepire l’università: sostenibilità ecologica ed economica, biblioteche, reti wireless e istituzione di una rete di studenti eccellenti.

Il progetto - vincitore del primo premio alla 49^ edizione del concorso nazionale “I giovani nella vita pubblica del Paese” del Comune di Viareggio - è stato illustrato a Max Bruschi, consigliere del ministro Gelmini, che ci ha stupito, e anche un po’ lusingato, dicendo che avrebbe attinto alle informazioni contenute nell’e-book ogni volta che sarebbe stato necessario, e che avrebbe presentato personalmente le nostre proposte di riforma al ministro Gelmini. Adesso, non ci resta che aspettare che la nostra richiesta di confronto venga accolta.

Flavia Marisi e Adele Tiengo

9 dicembre 2009

Videocracy a Venezia


Diciamolo subito: lo spettatore italiano, vedendo Videocracy, non scoprirà niente di nuovo. Il film, prodotto in Svezia, trova la sua collocazione naturale all’estero, dove può dare il suo contributo nel dibattito intorno all’Italia, per molti un autentico mistero.
Nonostante ciò la censura del trailer del film, messa in pratica sia da Mediaset (si poteva prevedere), sia dalla Rai, ha dato al documentario un’insperata pubblicità, facendogli ottenere un buon successo di pubblico. Basti pensare che alla proiezione alla Mostra del Cinema, fuori dalla sala strapiena per la prima, resisteva ancora una coda di oltre cento metri. In questo modo “Videocracy”, per alcuni giorni, da opera cinematografica si è trasformato in ennesimo casus belli per uno scontro tra destra e sinistra.
Adesso, ad un paio di mesi di distanza, si può provare a ragionare intorno alle tesi del film con serenità. Per il regista, Erik Gandini, bergamasco residente a Stoccolma, l’Italia ha subito un cambio culturale storico, ben sintetizzato dal sottotitolo “Basta apparire”. Per molti ormai non conta per quale motivo, positivo o negativo, si è visibili: l’importante è esserci. L’unica persona genuina del film, un operaio bresciano che lotta per arrivare in televisione, spiega benissimo come da quando esiste la possibilità di diventare ricchi e famosi senza saper fare nulla, ognuno ha il diritto di provarci. Come dargli torto.
I veri protagonisti sono però i professionisti del tubo catodico: il laido Lele Mora, che dalla sua candida residenza si dichiara fan del duce e di Berlusconi (il secondo però non avrebbe ancora raggiunto il primo nel suo personale gradimento); e il grottesco Fabrizio Corona, che in un inglese sottotitolato in inglese, ci spiega come lui si senta un Robin Hood che ruba ai ricchi per dare a se stesso, prima di mostrarsi nudo intento in pratiche igieniche piuttosto insolite.
La descrizione della società italiana è senza dubbio realistica, resta però lecito chiedersi di chi sia la colpa di tutto ciò. Per Gandini la risposta è semplice, “la responsabilità è nelle mani di Silvio Berlusconi, l'unico italiano che ha creato la tv a sua immagine e somiglianza” e che, continua il regista, “da 30 anni propone i suoi gusti, la sua idea di donna e di intrattenimento”.
Gandini però ormai vive in Svezia da vent’anni, paese dove nel ’95 un politico fu linciato dalla stampa per aver acquistato un toblerone con la carta di credito del partito (il fatto è noto proprio come “scandalo del Toblerone”). Il nostro paese è molto diverso, diversa è la nostra soglia di tolleranza nel rispetto delle leggi, come diverso è il modo in cui le donne vedono se stesse e sono viste dagli uomini. Chissà se sono veramente maggiori le responsabilità del Cavaliere, e non quelle degli italiani e delle loro ataviche abitudini.
Forse, come diceva Gaber, il vero nemico non è Berlusconi, ma il “Berlusconi che è dentro di noi”

Filippo Bernasconi

6 dicembre 2009

Hopper a Palazzo Reale


E’ ospite presso Palazzo Reale a Milano, dal 14 Ottobre al 31 Gennaio, la mostra di Edward Hopper, l’artista che, nell’America tra le due guerre, ritrasse le vite comuni nascoste dietro le finestre e nei caffè.
La mostra spazia dai primi schizzi e autoritratti giovanili ai dipinti più maturi, passando per una fase di suggestione francese (“Soir Bleu”) e una di ritratti di nudi femminili.

Hopper (1882-1967) , vita tranquilla e modesta nel suo appartamento a New York , illustratore per guadagnarsi da vivere ( ma qualcosa di quel lavoro da lui non particolarmente amato si ritrova nelle sue linee nette, pulite, imparentate con la grafica) è, secondo James Hillman, un “genio delle finestre”. Infatti le sue opere sembrano volerci portare al di là del quadro, per offrire uno scorcio di quell’America dietro l’America che non aveva potuto beneficiare del boom economico, che viveva nella solitudine degli spazi urbani, freddi e inospitali nella loro vastità. Così, pur non trattando direttamente temi sociali, nei suoi quadri c’è spazio per la gente qualsiasi: per degli operai visti a Parigi, dove compì tre viaggi e prese ispirazione da Manet e Degas, o per uno scorcio su un personaggio sconosciuto in “Solitary Figure In A Theater”, dove il taglio quasi casuale, cinematografico, dà l’impressione di sbirciare tra le tende della sala, affacciandosi su una delle tante esistenze con le quali ogni giorno veniamo in contatto, senza mai veramente incontrarci.

Le figure di Hopper sono senza occupazione, paiono in attesa, quasi fossero personaggi abbandonati su un palcoscenico senza un copione. Hopper fu anche accusato di una certa goffaggine nel ritrarre gli esseri umani: in effetti se ci avviciniamo alla ragazza bionda di “Second Story Sunlight” possiamo notare che le sue fattezze sono appena abbozzate, e quasi sgraziate. Ma non era quello l’essenziale per Hopper. Quello che voleva era evocare un’atmosfera, e lui stesso dichiarò: “ il mio ideale di pittura è sempre stata la trasposizione più esatta possibile delle impressioni più intime evocate dalla Natura”.
Egli fu pittore della corrente del ritorno all’ordine, un movimento spontaneo nato in diverse parti del mondo e caratterizzato da un rifiuto per lo sperimentalismo e l’avanguardia , che preferiva trovare ispirazione nell’arte del passato. E’ vero che Hopper dipinse il mondo reale, anzi ordinario, partendo sempre dall’osservazione diretta della realtà, e che i suoi quadri ci danno un’impressione di ordine e verosimiglianza. Se però ci soffermiamo sulle sue linde case della middle-class o sulle donne fredde e un po’ in posa, possiamo accorgerci che quella non è una minuziosa e fedele riproduzione del mondo reale. I dettagli delineati sono solo alcuni, secondo un criterio in apparenza casuale: un infisso di una finestra viene ritratto con cura incredibile mentre il resto della stanza rimane assolutamente non caratterizzato, semplice pittura verde senza sfumature, compatta come un grumo di colore. I dettagli da lui riportati sono solo quelli necessari, essenziali, che hanno lo scopo di rappresentare qualcosa. Le persone sono abbozzate, quasi caricaturali. I fari del New England che lo affascinarono tanto sono visti da prospettive insolite, spesso sembra che al quadro sia stata tagliata via la parte principale, come se il pittore avesse osservato il mondo da sdraiato, dietro una finestra, o da un treno in corsa sulla sopraelevata.
Il realismo di Hopper non è allora puramente descrittivo. Nella mostra sono esposti a fianco i bozzetti in inchiostro e penna e gli oli finali. Si passa da vari luoghi reali a un solo luogo summa di tutti quelli, da una donna precisa (la moglie Jo, che gli serviva da modella) a una figura femminile generica. I suoi dettagli non vogliono essere fedeli, ma evocativi, e i suoi tagli prospettici servono a calare lo spettatore in un particolare punto di vista.Far provare per un attimo qualcosa di inafferrabile è il suo obiettivo (“if you could say it in in words, there’d be no reason to paint”).
Questa visione in apparenza serena della realtà nasconde un sentimento di malinconia e inquietudine che ci viene trasmesso senza che, guardando il quadro, possiamo capire come. Così una scena comune diventa surreale, sintomatica dell’alienazione e dell’estraneità delle persone dalla loro vita comune e normale. Questa, vista affacciandosi dentro un quadro-finestra ritratto in modo impersonale, quasi distratto, si svela nella sua assurdità e solitudine; restando per noi, attori in prima persona, troppo lontana proprio perché troppo vicina.

Può essere quindi interessante prenderci una piccola pausa dalle nostre vite frettolose e distratte per dare un’occhiata a queste opere, e farci guidare dall’artista nell’osservazione di aspetti della realtà intorno a noi che solitamente non noteremmo, intenti nel nostro passo veloce che esclude l’alzare gli occhi dai nostri piedi o dal metro di marciapiede davanti a noi. “Tutto quello che ho sempre voluto fare – disse Hopper – è dipingere la luce del sole sul lato di una casa.”



Irene Nava

3 dicembre 2009

Com'è triste Venezia...


“Com’è triste Venezia soltanto un anno dopo” cantava Aznavour, e come di consueto anche la 66esima Mostra del Cinema è stata un nostalgico rincorrersi di rimpianti per mostre passate che non torneranno più, piene di film bellissimi, prezzi economici, servizi efficienti e con un clima migliore.
La realtà ovviamente è ben diversa e i difetti storici della mostra sono sempre gli stessi: lunghe code, film selezionati che lasciano perplessi, prezzi folli e una programmazione poco razionale (una sola visione inizialmente prevista per il discusso Videocracy, mentre l’improbabile documentario “Villalobos”, su un dj tedesco-cileno veniva proiettato più volte in sale deserte).
Ai difetti tradizionali se ne sono aggiunti di nuovi: il cantiere per il nuovo palazzo del cinema che ha trasformato la mostra in autentico labirinto o l’invasione di dozzine e dozzine di membri delle forze dell’ordine, a volte in superflua tenuta anti-sommossa, che davano la sensazione di essere nella scuola Diaz durante il G8.
In realtà, possiamo dirlo, la 66esima Mostra è stata più che soddisfacente: sono aumentati sensibilmente i biglietti venduti e gli accrediti per la stampa, soprattutto straniera. Il numero record di paesi presenti poi, addirittura 25, ha dato alla kermesse un’atmosfera veramente internazionale, anche se alcune volte la sensazione è stata che certi film fossero scelti più per meriti “etnici” che artistici. Impagabile per esempio la proiezione del film cingalese “Ahasin Wetei”, con il pubblico in sala protagonista di un esodo degno dell’Antico Testamento. Per giunta l’accoppiata tra Ang Lee, presidente della giuria, e Marco Muller, direttore della Mostra e notoriamente fanatico del Sol Levante, faceva temere un festival troppo orientato verso l’Asia. In realtà i pur numerosi film orientali presenti erano spesso di ottima qualità, come il taiwanese “Prince of tears”(vi risparmiamo il titolo in mandarino).
Un discorso a parte va fatto per i documentari presenti, veramente tantissimi, probabilmente troppi. Innumerevoli gli argomenti trattati: l’integrazione degli stranieri, l’amore omosessuale, i dj emergenti, il Teatro Piccolo di Milano e così via. Oltre a Videocracy di cui parleremo a parte, “Capitalism” di Michael Moore e “South of the border” di Oliver Stone. Ha riscosso grandi consensi il godibilissimo documentario di Moore, che nel criticare il capitalismo americano mostrandone aspetti francamente grotteschi (inimmaginabili in Italia), finisce per contestare il capitalismo tout court, lasciandoci con un finale un po’ confuso. Non ha fatto invece una bella figura la Mostra e il suo pubblico quando Chavez, presente sulla croisette, è stato acclamato come una star. Il film di Stone infatti tesse le lodi dei vari leader anti-Bush del Sud America, peccando però di una faziosità che inficia quanto di giusto viene detto.
L’assenza del capolavoro, del film che primeggiasse nettamente sugli altri, ha aumentato la curiosità il giorno delle premiazioni. Il film vincente, l’israeliano “Lebanon”, girato tutto all’interno di un carrarmato, è la cruda descrizione della guerra in Libano. Da alcuni è giunta la critica di sempre: quella di una vittoria politica e non artistica. Ma per lo stesso motivo si sarebbe criticata la vittoria dell’iraniano “Women without men” della giovane Shirin Neshat, premiata con il leone d’argento alla regia, dove le tematiche attualissime sono elegantemente travestite da romanzo storico. Tra gli altri seri candidati alla vittoria finale c’era il francese “Lourdes”, evitato inizialmente da molti (come il sottoscritto) nel timore di vedere il solito polpettone misticheggiante. Si è rivelato invece un film scettico e intelligente, a tratti molto emozionante. La sua vittoria, però, avrebbe probabilmente permesso di aggiungere l’accusa di “miscredenza” a chi considera il festival un ricettacolo di parassiti a cui chiudere i rubinetti. Per quanto riguarda l’altro grande escluso dai premi, “Baaria”, criticato dagli spettatori alla mostra ben oltre il giusto e apprezzato dai critici tv ben più del meritato per lo stesso motivo (ovviamente il suo produttore, mister B.), non è mai stato veramente in lizza per la vittoria: in un’opera senz’altro di valore erano di troppo sia la durata eccessiva sia il finale francamente stucchevole.
Discussissimo il premio alla miglior attrice femminile, la semisconosciuta Ksenia Rappoport di “La doppia ora” di Giuseppe Capotondi, per molti un po’ algida (bellissimo invece il film), mentre ha suscitato larghi consensi la coppa Volpi a Colin Firth per “A single man”, da elogiare per aver pronunciato, evento più unico che raro per un anglosassone, il discorso di ringraziamente in italiano (con effetti per la verità un po’ alla Stanlio e Ollio).
La conclusione non può che essere quella di ogni festival: godersi i film, quando ne vale la pena, e lasciare agli altri le speculazioni intorno ai premi.

Filippo Bernasconi