9 dicembre 2009

Videocracy a Venezia


Diciamolo subito: lo spettatore italiano, vedendo Videocracy, non scoprirà niente di nuovo. Il film, prodotto in Svezia, trova la sua collocazione naturale all’estero, dove può dare il suo contributo nel dibattito intorno all’Italia, per molti un autentico mistero.
Nonostante ciò la censura del trailer del film, messa in pratica sia da Mediaset (si poteva prevedere), sia dalla Rai, ha dato al documentario un’insperata pubblicità, facendogli ottenere un buon successo di pubblico. Basti pensare che alla proiezione alla Mostra del Cinema, fuori dalla sala strapiena per la prima, resisteva ancora una coda di oltre cento metri. In questo modo “Videocracy”, per alcuni giorni, da opera cinematografica si è trasformato in ennesimo casus belli per uno scontro tra destra e sinistra.
Adesso, ad un paio di mesi di distanza, si può provare a ragionare intorno alle tesi del film con serenità. Per il regista, Erik Gandini, bergamasco residente a Stoccolma, l’Italia ha subito un cambio culturale storico, ben sintetizzato dal sottotitolo “Basta apparire”. Per molti ormai non conta per quale motivo, positivo o negativo, si è visibili: l’importante è esserci. L’unica persona genuina del film, un operaio bresciano che lotta per arrivare in televisione, spiega benissimo come da quando esiste la possibilità di diventare ricchi e famosi senza saper fare nulla, ognuno ha il diritto di provarci. Come dargli torto.
I veri protagonisti sono però i professionisti del tubo catodico: il laido Lele Mora, che dalla sua candida residenza si dichiara fan del duce e di Berlusconi (il secondo però non avrebbe ancora raggiunto il primo nel suo personale gradimento); e il grottesco Fabrizio Corona, che in un inglese sottotitolato in inglese, ci spiega come lui si senta un Robin Hood che ruba ai ricchi per dare a se stesso, prima di mostrarsi nudo intento in pratiche igieniche piuttosto insolite.
La descrizione della società italiana è senza dubbio realistica, resta però lecito chiedersi di chi sia la colpa di tutto ciò. Per Gandini la risposta è semplice, “la responsabilità è nelle mani di Silvio Berlusconi, l'unico italiano che ha creato la tv a sua immagine e somiglianza” e che, continua il regista, “da 30 anni propone i suoi gusti, la sua idea di donna e di intrattenimento”.
Gandini però ormai vive in Svezia da vent’anni, paese dove nel ’95 un politico fu linciato dalla stampa per aver acquistato un toblerone con la carta di credito del partito (il fatto è noto proprio come “scandalo del Toblerone”). Il nostro paese è molto diverso, diversa è la nostra soglia di tolleranza nel rispetto delle leggi, come diverso è il modo in cui le donne vedono se stesse e sono viste dagli uomini. Chissà se sono veramente maggiori le responsabilità del Cavaliere, e non quelle degli italiani e delle loro ataviche abitudini.
Forse, come diceva Gaber, il vero nemico non è Berlusconi, ma il “Berlusconi che è dentro di noi”

Filippo Bernasconi

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