15 giugno 2006

LA TRASFORMAZIONE DEL FUMETTO IN TRIENNALE


Alla Triennale di Milano l’arte del fumetto si presenta al pubblico raccontandogli cosa le sta accadendo da più o meno 10 anni a questa parte. Una mostra che prova a fare il punto sui mutamenti e le tendenze stilistiche che attraversano questo medium, secondo un percorso guidato costruito attraverso pannelli, installazioni e, ovviamente, tantissime tavole originali. L’esposizione è divisa in due sezioni: Grafic Novel Art e Asian Wave. Nella prima si presentano le evoluzioni e i cambiamenti narrativi del “romanzo grafico”: si tratta di un genere narrativo in cui la storia non è costruita per un eroe seriale o per uscire a puntate su qualche rivista, ma ha lo stesso respiro di un romanzo. Tanto per capire di cosa si tratta, possiamo citare la grafic novel di maggior successo internazionale degli ultimi anni: Persepolis, autobiografia e opera prima dell’iraniana Marjane Satrapi. Fu Will Eisner il primo rivoluzionario interprete di questo genere fumettistico; oggi i suoi figli sono sparsi in tutto il mondo, e hanno nomi altrettanto altisonanti, basti pensare agli americani Frank Miller e Charles Burns, ai francesi Joan Sfar e David B, o agli italiani Davide Toffolo, Paolo Bacilieri e Gipi.


Altra linea guida della mostra è la cosiddetta “Asian Wave”, l’onda asiatica che ha invaso la cultura fumettistica occidentale (e non solo). “Uno scorcio sulle conseguenze espressive e editoriali di quello che è il fenomeno geopolitico più dirompente nella storia del fumetto e dei media”, secondo Fausto Colombo e Matteo Stefanelli, ideatori e curatori della mostra. Ovviamente si parte ripercorrendo la storia del manga, a cominciare dal suo patriarca, Osamu Tetzuka. Ma più in generale vengono posti in evidenza gli aspetti più originali di interscambio culturale Est - Ovest: autori occidentali impegnati nella grafic novel che mostrano debiti stilistici e culturali verso la tradizione asiatica (come l’italiano Igort e il francese Baru), e asiatici che si aprono al confronto con il fumetto occidentale (è il caso del nipponico Jiro Taniguchi).
Al termine del percorso, viene proposta un’ipotesi di “fumettoteca ideale”. Perché anche un neofita possa iniziare a orientarsi nella lettura, una volta tornato a casa da questa
mostra essenziale e affascinante che sarebbe davvero un peccato lasciarsi scappare.

FUMETTO INTERNATIONAL
Trasformazioni del fumetto contemporaneo
Triennale di Milano, viale Alemagna 6, tel. 02724341
Dal 18 maggio al 3 settembre -
Orario 10,30 – 20,30

Beniamino Musto


13 giugno 2006

EDITORIALE GIUGNO 2006

E se cancellassimo davvero il valore legale della laurea?


Diciamola tutta: in dieci anni l’Università italiana è stata riformata, trasformata, strapazzata da Soloni di ogni colore.
Ma nessuno ha ancora fatto strike.
Forse perchè nella concezione nostrana eccellenza e concorrenza fanno a botte anzichè sposarsi.

O forse perchè certo pseudo-sessantottismo ci ha inculcato il dogma che l’istruzione deve essere tutta per tutti. E i risultati li vediamo. Aule straboccanti, fuoricorso endemici, servizi precari e disoccupazione garantita (per molti, per troppi).

Introdurre criteri di mercato nell’istruzione non è laida baratteria. Potrebbe essere il modo per amputare i rami secchi, defenestrare le baronie, grattar via la muffa. Forse così avremo atenei d’eccellenza per docenti eccellenti, ricercatori eccellenti e allievi eccellenti (con borse di studio garantite, chiaro).

- E gli altri? - osserveranno i buonisti. Beh, non è la scuola dell’obbligo.
Luca Gualtieri

5 giugno 2006

E PROMETTO DI VOTARTI SEMPRE…

Si vota con la testa o col cuore?

Cosa ci attrae, cosa ci convince che un certo partito, un certo candidato “è quello giusto” per noi?

E quanto dura la “fedeltà” elettorale?

La fiducia e l’adesione alle istituzioni del matrimonio e delle elezioni, tradizionalmente alta in Italia, sembra essere diminuita. Si può dire allora, per quanto riguarda le elezioni, che anche gli italiani si allineano sulle posizioni di tedeschi, inglesi e americani, il 20-30% dei quali sceglie l’astensione o l’ “infedeltà elettorale”?

Astensione e instabilità di un segmento consistente del corpo elettorale segnalano indubbiamente un cambiamento valoriale piuttosto netto, ma acquistano un peso ancora maggiore quando l’esito delle competizioni elettorali è deciso da differenze minime tra i blocchi o tra i candidati.

Chiediamoci allora: quali fattori conducono l’elettore in primo luogo alla scelta tra votare e non-votare, e poi, eventualmente, a dare la propria preferenza ad un determinato partito e/o ad uno specifico candidato?

Per molto tempo si è ritenuto che le scelte politiche fossero legate al “qui e ora” di ciascun elettore, ossia a fattori quali l’età, il sesso, il livello di istruzione e il reddito percepito.

Già negli anni ’50, però, un gruppo di studiosi dell’Università del Michigan ha evidenziato come le radici della scelta politica vadano ricercate molto più lontano: dare la propria preferenza ad un partito è la fase terminale di un processo che inizia e si consolida in famiglia nel corso dell’infanzia e dell’adolescenza, e che riflette i modelli di comportamento, di giudizio, di valore proposti ai più giovani da parte degli adulti.

Al modello implicito si aggiungono i comportamenti espliciti di approvazione/disapprovazione attuati dalle persone che l’elettore considera importanti: l’approvazione data all’elettore che si adegua alla tradizione del suo gruppo (familiare, amicale, ecc.) è un importante rinforzo positivo, ma forse ancora più incisivo è il rinforzo negativo della disapprovazione verso chi si discosta dai comportamenti elettorali del suo gruppo di riferimento.

Un altro elemento capace di avere un peso determinante sulla scelta di votare/non votare, ed eventualmente sul chi/che cosa votare, è legato al cosiddetto “effetto recency”, per il quale si tende in genere a dare maggior rilievo agli avvenimenti recenti rispetto a quelli lontani nel tempo. Può accadere così che razionalmente si riconosca che l’approvazione ad un lungo periodo di buon governo non dovrebbe essere messa in discussione a causa di un breve episodio negativo verificatosi alla fine del mandato, ma che poi emotivamente si sia già avviati al più totale disinvestimento.

Già questi primi elementi contribuiscono a rendere il quadro mobile e fortemente sfaccettato.

Da una ricerca effettuata nel 2003 da un gruppo di ricercatori dell’Università di Roma, si evidenzia poi che coloro che si astengono dal voto o votano scheda bianca, pur appartenendo a tutte le fasce di età, sono in prevalenza maschi, mediamente scolarizzati e non garantiti.

L’astensione di questa fascia di elettori può probabilmente essere messa in relazione con l’enorme numero di informazioni trasmesse quotidianamente dai mass media, informazioni spesso parziali e/o contraddittorie, che non chiariscono i dubbi dell’elettore ma anzi ne aumentano la confusione. Da questa confusione nasce talvolta una sensazione di sfiducia, una scarsa propensione a credere alle promesse elettorali, in definitiva una rinuncia a quell’impegno etico-politico che può portare al cambiamento sociale.

Tra coloro che vanno a votare ed esprimono una preferenza valida si possono distinguere due grandi categorie: gli stabili, il cui legame con un partito è così duraturo da rappresentare in pratica una “caratteristica d’identità”, e gli instabili.

Gli instabili vanno progressivamente aumentando, anche perché sono in atto numerosi cambiamenti, che mutano il quadro di riferimento, richiedendo all’elettore continue ridefinizioni della sua posizione. Tra essi ricordiamo:

- l’evoluzione dei vecchi partiti e la nascita di nuovi

- la costruzione/distruzione delle alleanze

- il cambiamento del mercato del lavoro, con i suoi riflessi su occupazione e proprietà

- la modificazione del panorama locale, nazionale ed internazionale, con i suoi riflessi sulla politica e sull’economia

- la sensibilità “in divenire” verso temi di grande portata come la famiglia, l’ambiente, le pari opportunità, ecc.

Come ogni scelta, però, anche la scelta politica risulta strettamente legata ai bisogni profondi degli elettori, che sono portati a prediligere il partito (o addirittura il candidato) la cui immagine pubblica si avvicina di più all’immagine ideale che essi hanno di sé. La scelta tende allora a cadere sul candidato che mostra di avere le doti caratteriali che l’elettore ha o vorrebbe possedere: ad esempio coscienziosità, intraprendenza, capacità di imporre le proprie idee, tenacia, perseveranza, ecc.

Tuttavia, poiché le occasioni in cui i candidati possono essere visti all’opera non sono molte, spesso gli elettori si basano soltanto sulle impressioni che possono trarre dall’assistere a programmi elettorali o duelli televisivi. Qui i candidati fanno il possibile per accattivarsi le simpatie degli spettatori, puntando a metter in luce tratti caratteriali e valori che ritengono siano largamente condivisi dagli ascoltatori.

Così percentuali consistenti di elettori sono indirizzati a concentrare la loro attenzione, piuttosto che sul programma politico dei candidati, su alcuni tratti superficiali della loro personalità, come ad esempio l’energia, l’amicalità, l’entusiasmo, la sincerità.

Perciò, quando accade (evento ormai frequente) che l’ ”effetto recency” si combini con la focalizzazione sui tratti della personalità dei candidati, il numero degli elettori instabili aumenta.

Certo, non è detto che l’infedeltà elettorale sia negativa, perché può rispecchiare scelte dinamiche e sensibilità ai mutamenti: ma è comunque un dato da considerare con la massima attenzione.

Flavia Marisi

2 giugno 2006

I KOMPAGNI PERMALOSI

Sull’intervista di Prodi in cui definisce Prc e Pdci “Folkloristici e innoqui” si è sollevata l’ira composta di Fausto. E meno male che fu proprio il capo del governo a dare la striglia ai propri ministri, i quali appena insediati cominciavano a rilasciare dichiarazioni a ritmo vertiginoso, che neanche le telefonate di Moggi. Ad ogni modo il prode Prodi rettifica; dice di essere stato frainteso: cosa abbastanza comune tra i premier italiani, come spesso ci ricordava Silvione. Elogia il “grande lavoro della coalizione di cui fanno parte a pieno titolo e con persone di valore Comunisti italiani, Rifondazione comunista e Rosa nel Pugno". La Rosa nel Pugno è citata preventivamente, perché non si è mai troppo prudenti, tutto può succedere: un rigurgito di Atlantismo esasperato, una piazzata a distribuire hashish.

Io penso in realtà che non sia stato affatto frainteso: un antico democristiano come Prodi abituato a confrontarsi con dirigenti del Pci di diverso valore, non può che considerare “folkloristici e innocui” le costolette che da quel partito hanno derivato il nome. Certo sempre meglio della Lega che oltre che folkloristica è anche pericolosa.

Ma forse Prodi sbaglia a definirli “innocui”: non lo sono, o almeno nessuno lo è tra i partiti dell’Unione. Qui quando meno te lo aspetti il più insospettabile, il più mansueto ti toglie la sedia da sotto (si veda com’è andata in commissione difesa; nel “folklore” generale L’Italia dei Valori si accomoda sulla poltroncina con l’aiuto degli “innocui” post-fascisti). Insomma il caro Premier dovrebbe essere più cauto per non far arrabbiare nessuno. Nemmeno i Repubblicani Europei della Sbarbati, dei quali non si nulla tranne che hanno un potenziale di voti sterminato rivolgendosi a tutti gli europei repubblicani. Io comincerei a temerli.

Fabrizio Aurilia