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27 giugno 2010

Qualche anno fa le Iene avevano suscitato scandalo mostrando l’ignoranza caprina di molti dei nostri parlamentari, che davanti a domande elementari si esibivano in sviste madornali. Indimenticabile fu l’on. Fini (Giuseppe, di Forza Italia), che scambiò il Darfur con uno stile di vita frenetico, pensando forse al fast food.
Oggi la situazione è radicalmente cambiata, però in peggio: venerdì 26 marzo a Torino, parlando alla platea dei sostenitori di Cota (d’accordo, probabilmente non degli squisiti intellettuali), il ministro Giulio Tremonti si è pavoneggiato assicurando che "noi siamo gente semplice, poche volte ci capita di leggere un libro...".
Ora, Tremonti non è affatto uno zotico, è stato professore universitario (per un breve periodo addirittura ad Oxford), e i libri non solo li legge, ma ne ha anche scritti una decina.
Siamo al ribaltamento della situazione stigmatizzata dalle Iene: dall’ignorante che finge di conoscere cose che non sa, alla persona colta che simula di essere ignorante; dalla vergogna per l’ignoranza, alla vergogna per la cultura.
Il politico in questo non ha colpe specifiche, in democrazia è fisiologico cercare il consenso. Il colpevole è quell’elettore che invece di votare cercando di ritrovare i propri pregi, sceglie chi lo accomuna nei suoi stessi vizi.
Filippo Bernasconi

9 maggio 2010

LA CITTA' SOTTOSOPRA

Negli anni Sessanta la grafica della metropolitana di Milano poteva vantare la firma del quattro volte “compasso d’oro” Bob Noorda. L’estrema semplicità e funzionalità della pianta del metrò milanese è stata poi esportata dallo stesso Noorda anche a New York e a San Paolo, in Brasile. Da qualche tempo però la mappa disegnata da Noorda è stata sostituita dalla sua rivisitazione postmoderna. Le linee sono le stesse –ci mancherebbe- ma sono completamente disorientate: basti dire che San Donato e Maciachini sono alla stessa altezza, in orizzontale! La città sotterranea, percorsa ogni giorno da centinaia di migliaia di milanesi, pendolari e turisti è schiacciata, capovolta e distorta, senza più alcun legame con la città di fuori. Mentre la nostra sindaca non si risparmia in pomposi elogi per la Milano che verrà, quella dell’Esposizione universale, la Milano di oggi si protende talmente verso il dopo, verso la città che sarà fra cinque anni, che non si preoccupa di quello che è in questo momento, di quello che comunica quotidianamente ai suoi abitanti. Disinteresse e falso avanguardismo. Ostentato voler essere, voler parlare e dire di sé senza ascoltarsi. E chissà se qualcuno, nel 2015, penserà che, forse, la gara con Smirne era stata truccata!

Giuditta Grechi

29 marzo 2010

Saccenti e abbandonati

È normale: tutti, o quasi, preferiamo chi ci strizza l'occhio a chi ci rimprovera. Il populismo, si sa, paga fin dall'epoca delle democrazie (o simil tali) più antiche e oggi, grazie a vari e prodigiosi strumenti, può far persino diventare dei santi. Certamente la grigia e aureolare saccenteria di certi professoroni non può neanche sognarsi di competere. Lo hanno capito benissimo i politici di sinistra. Tanto è vero che il loro stereotipo più diffuso è quello dello snob spocchioso che sale in cattedra ad insegnare a tutti la morale e il buon governo. Gli elettori non capiscono; ed eleggono altri.

E pensare che fu proprio la sinistra a nascere populista. Nel senso di vicina al popolo, certo, ma anche, e soprattutto, al suo stomaco. Spaventava proprio la sua capacità di muovere masse rozze e ignoranti.

Oggi le cose stanno esattamente agli antipodi; ma la sinistra continua a dirsi di popolo. E infatti, proprio per questo, si arrocca nel suo castelluccio di pedante presunzione i cui muri ormai si sgretolano come pane andato a male.

Ma se, a questo punto, per qualcuno potrebbe essere fin troppo facile sottolineare la pericolosità della dittatura della maggioranza (citando magari De Tocqueville e Stuart Mill), ancora più facile sarebbe, o potrebbe essere almeno, chiedersi, riflettendo sui più basilari meccanismi della democrazia: si può veramente pretendere dagli elettori (non dai sudditi) che votino per delle autoreferenziali élites intellettuali e provino reverenza per degli atteggiamenti così professorali?

Quando la presunzione si atteggia, e sembra vera e propria boria, allora si ha l'impressione che diventi una patologia. E, purtroppo, di natura epidemica.

Danilo Aprigliano

14 marzo 2010

“Se prenderemo il negus gliene farem di belle”

L’Italia si avvicina all’America: gli avvenimenti di Rosarno ricordano, senza bisogno nessuno di sforzi immaginativi, quel gustosissimo gioco dell’Alabama di qualche decennio fa: la caccia al negro. E non è certamente difficile raffigurarsi gli italiani del futuro piuttosto prossimo avventurarsi in simili ludibri. Diretti, magari, e coordinati da qualche colto ed elegante conduttore di Canale cinque.
Forse non saranno così raffinati da organizzarsi in associazioni modello Ku Klux Klan, ma certamente abbastanza ironici da raggrupparsi in ronde colorate e girare per le città e i paesi armati di fucile o rivoltella e deliziare tutti con rocambolesche e succosissime sparatorie; condite, come in un mitico spaghetti-western, da virtuosismi armaioli. E magari, calcando le orme di un Clint Eastwood Leoniano, riusciranno pure a far fuori decine di negri alla volta e, se si dovesse intromettere, anche il maresciallo dei carabinieri intervenuto per fermarli; mascherato, per l’occasione, da sceriffo comunista.
Ovviamente la guida morale della nazione non potrà che essere il sommo esempio di saggezza, rigore, senso della giustizia quale è l’ormai nazional-popolare Bruno Vespa, il quale, da magnificentissimi studi Rai, condurrà, come un bravo pastore le sue pecore, le pie e buone anime degli italiani sulla via del bene: sempre protetti dalle sante figure di riferimento del nuovo pantheon morale: Craxi, Borghezio, Mangano, Formigoni.

Danilo Aprigliano

22 gennaio 2010

Nostalgie

Quella di paragonare l’epopea berlusconiana al fascismo è ormai un’usanza quasi comune, soprattutto tra i giornali di sinistra (o comunque tra quelli non asserviti) e i cosiddetti “giustizialisti”. Ma, riflettevo di recente con un amico in un caffè virtuale, si può infamare Mussolini in questo modo?
Il recente show del primo ministro dal fido Vespa, con il pretesto dei prefabbricati realizzati dalla provincia di Trento, potrebbe forse ricordare i cinegiornali Luce celebrativi della bonifica di Latina e Littoria; ma Mussolini la bonifica la portò a termine sul serio, e quindi aveva anche ragione di gloriarsene. Il Duce, inoltre, (come ha anche sottolineato in varie occasioni la nipote) non ha mai fatto diventare ministro la sua amata Claretta Petacci.
Qualche malizioso, a questo punto, potrebbe anche pensare che sto facendo un giochino sporco, e pericoloso, tentando di riabilitare Mussolini in confronto a Berlusconi: niente paura. Non sono cose che si fanno davanti a un caffè, figuriamoci davanti a un caffè virtuale.
Però, mentre agitavo il cucchiaino con il mouse, mi è venuto da pensare: se fossi di destra, pure io sarei un nostalgico. E chi non lo sarebbe, vedendo questo Paese passare dalla scuola di Giovanni Gentile a quella di Mariastella Gelmini?
Danilo Aprigliano

19 luglio 2009

SEDOTTA E ABBANDONATA

Recentemente Milano ha ospitato la nuova performance della gettonatissima artista genovese Vanessa Beecroft. Immancabili i prezzemolini della nightlife, i pii adepti al culto dell'esserci e orde di manager si sono riuniti davanti ai cancelli del PAC. Oltre alla sua straordinarietà, l'evento ha acquisito valore perché sintomatico dell'involuzione che sta caratterizzando il rapporto tra la cultura e il suo pubblico: un sentimento non più sincero ma utilitaristico, spinto dall'impetuosa diffusione di quella economia della cultura e dell'arte che, serpe perniciosa, striscia tra i mortificati pavimenti universitari.
Giovani manager ormai si muovono tra happening e vernissage alla ricerca dell'affare. Non più artisti, studenti e intellettuali, ma ambiziosi commercianti regolamentano l'antica anarchia dell'intelletto. Ma la cultura può rinunciare al suo piccolo ritaglio di libertà? Può ridursi a crematistica? Può contaminare quel che resta della propria verginità? Prima il corteggiamento era lungo, ora l'amore dell'inseguimento erotico tra il pretendente e la sua amata è stato sostituito dall'arte della sveltina. La cultura più che donna è donnetta, costretta, per sopravvivere, ad avere un valore, a costare. Non si cerca più: Si quantifica, Si possiede. Non più appassionati amanti, ma code di clienti si assiepano fuori dal suo giaciglio, pronti a prenderla per pochi minuti. Tutti la vogliono, ma i gentiluomini sono ormai rimasti pochi. Allora, come chiedeva Alfredo Jaar lo scorso inverno, dov'è la cultura? Senza amore, senza casa, rischia di sopravvivere comatosa solo nelle parole mediatiche dei benpensanti, illusa di aspettare l'uomo della sua vita.


Corrado Fumagalli

13 giugno 2009

PER GRAZIA RICEVUTA

“Ha vinto il partito della vita ed ha perso il partito della morte!” Afferma trionfante Gasparri dopo l’approvazione, in senato, della legge sul testamento biologico. Circa la puerile faciloneria e al cattivo gusto dell’affermazione è inutile esprimersi, il contenuto del decreto di legge però è cosa che ci interessa, ed è sostanzialmente il seguente. Divieto di disporre circa alimentazione e idratazione forzata, mentre la validità della “dichiarazione anticipata di trattamento” è da considerarsi a discrezione dei medici, figura professionale che, ultimamente, si trova ad affrontare laceranti dubbi etici: tener conto o meno della volontà di un paziente? Denunciare o no i malati clandestini?
Per il governo la decisione, in entrambi casi, è scontata. Michele Ainis, docente di diritto pubblico a Roma Tre, sostiene che il provvedimento, oltre ad essere contrario alla logica, offende almeno tre diritti costituzionali e pare scritto sotto dettatura delle gerarchie cattoliche. La Chiesa stessa non crede alle proprie orecchie: il titolo del quotidiano Avvenire, Troppa grazia, è più che eloquente. Ma è stato davvero per compiacere le sfere ecclesiastiche che si è approvato un decreto così miope e impopolare? Forse, più che un disegno ordito dalla pur storica alleanza destra-chiesa cattolica, ci troviamo semplicemente di fronte ad un prodotto frutto della pochezza intellettuale, del provincialismo e dell’arretratezza culturale di una classe politica abituata a ragionare sull’onda dell’emotività e della propaganda facile. Siamo un paese arretrato e pensare di avere un governo al passo coi tempi… che dire? Troppa grazia.

Laura Carli

9 marzo 2009

CURARE PER NON PREVENIRE


In Italia, si sa, il corso che seguono le leggi difficilmente è quello regolare, così accade che una sentenza passata in giudicato venga bloccata appena prima dell’attuazione, senza presupposti giuridici che lo consentano. E’ quello che è capitato con l’ormai celeberrimo e discusso caso Eluana Englaro, quando ad ottobre la Corte d’appello civile di Milano ha autorizzato il padre, in qualità di tutore, ad interrompere il trattamento di idratazione e alimentazione forzata.
La maggioranza al governo, come al solito compatta, soprattutto in odierni tempi di lotta contro l’infida magistratura, sputa veleno contro la sentenza, facendo appello a una conclamata e roboante difesa della vita che si estende al limbo del coma vegetativo permanente, e che finisce per mettere in ombra questioni meno di impatto mediatico ma assolutamente drammatiche. Il rapporto Airtum 2008 rivela che nel nostro Paese le neoplasie infantili crescono del due percento l’anno, con un andamento doppio rispetto a quello europeo e addirittura cinque volte maggiore rispetto agli indici americani. L’inquietante tendenza viene subito spiegata come il risultato dei nostri avanguardistici metodi nel campo della diagnosi precoce. Come dire: non è colpa dell’Italia che forse ha problemi di inquinamento, pesticidi o alimenti malsani, semplicemente siamo i più bravi di tutti a fare le diagnosi. A questo proposito il governo decide di puntare sui nostri fattori di forza: sceglie cioè di investire nell’accesso alla diagnosi precoce, tagliando invece gli investimenti nella prevenzione. Curare insomma è meglio di prevenire. E’ questo che significa essere "paladini della Vita".

Laura Carli

1 dicembre 2008

QUESTO MATRIMONIO NON S'HA DA FARE?

I primi di giugno a Viterbo si è consumata una storia di ordinaria intolleranza. Forse non così ordinaria, dato che il gesto di discriminazione proviene da chi predica la tolleranza come valore.
Il caso del ragazzo rimasto paralizzato a due mesi dal matrimonio e che decide di procedere ugualmente, senza nemmeno rimandare le nozze, è già commovente. La trama però si colora di tristi tinte dickensiane quando la giovane coppia si trova davanti un ostacolo imprevisto: “Questo matrimonio non s’ha da fare”, dice il vescovo di Viterbo. La motivazione? Il ragazzo non è più in grado di farsi onore perpetrando la specie. La sensibilità collettiva rimane turbata, mentre la Curia si difende sostenendo che si è trattato di una decisione obbligata, conforme ai dettami del magistero cattolico. Questo arroccamento dottrinale, oltre a danneggiare la coppia, rischia di riportare in auge il crudele concetto di malattia e deformità percepite come colpa e, soprattutto, non corrisponde al sentire dei fedeli, sempre più inclini ad un cattolicesimo “liberal”, se non critico. Lo strapotere della Chiesa è indubbio, forte anche del gran numero di fedeli su cui dice di contare. Ammettiamo pure che la mentalità italiana sia inevitabilmente intrisa di cattolicesimo, ammettiamo che il novanta percento della popolazione italiana sia, talvolta suo malgrado, battezzata; mi chiedo però quanti si sentano realmente rappresentati da un’istituzione religiosa così arroccata nella difesa del diritto divino da negare un estremo atto di pietà (penso al caso di Welby), o un significativo gesto di vicinanza a dei giovani che hanno già sofferto molto? Ai cattolici l’ardua sentenza.

Laura Carli

21 novembre 2008

AMNESTY INTERNATIONAL- ANCONA CALCIO 0-2

Pare che il consiglio Episcopale Permanente abbia spalleggiato la Santa Sede nella sua iniziativa di ritirare i finanziamenti ad Amnesty International per “la clamorosa inclusione, tra i diritti umani riconosciuti, della scelta di aborto”. Ora, la scelta della Santa Sede di eliminare i finanziamenti può risultare discutibile (come la recente decisione, da parte di un associazione cattolica, di acquistare l’Ancona, team calcistico di serie C), ma diventa addirittura paradossale se si precisa il fatto che Amnesty non ha mai ricevuto né sollecitato finanziamenti da parte dell’organo ecclesiale, nonostante la sospensione di questi sia stata largamente pubblicizzata. La linea d’azione seguita dal Consiglio Episcopale si colloca sotto l’insegna di un monito periodicamente riproposto: la profonda crisi morale che investe il Paese.
Con un volo pindarico mi viene in mente un’affermazione di Beppe Grillo, uomo del mese. Tra accuse di neo-qualunquismo o volgarità gratuita, tutti concordano almeno sul fatto che il velato invito sia segno di un’esasperazione diffusa. Al V-Day di Bologna il comico-vate individua la genesi di tale insofferenza in un quesito molto semplice: come educare i propri figli in un paese in cui è la disonestà ad essere premiata col successo? Ammetto che parlare del deficit culturale e legale dell’Italia è originale quanto mettere in dubbio l’obiettività di Emilio Fede. C’è da chiedersi però, dopo le invettive, cosa viene fatto contro il degrado morale.
La CEI, per cominciare, accusa Amnesty e compra una squadra di calcio…

Laura Carli

15 maggio 2008

UNA QUESTIONE DI PULIZIA


Siamo un popolo di incompresi. Chi ci definisce razzisti e xenofobi non ci capisce. Noi non siamo intolleranti e approfittatori, noi siamo generosi. Se uno straniero puzza, c’è un Borghezio che lo lava. È vero, usa il Vetril, ma sono dettagli da cronaca di costume. E se vivono in un campo sporco e pieno di topi, c’è un Galan che risolve la questione: "Questi non sono campi, sono immondezzai, non vedete quanta spazzatura? Bisogna spazzarli via". La domanda sorge spontanea. Di che si parla? Forse una risposta può arrivare da frasi illuminanti come "Hanno fatto pulizia", "Bisognava pur pulire", "Certo bisogna ancora pulire un po’". In tempi come questi, il pensiero corre a Napoli e alla Campania. Ingenuità. A parlare sono i commercianti della zona Stazione Centrale di Milano e si riferiscono ai bambini rom. Ed è quasi commovente la rude semplicità di De Corato, che con estremo pragmatismo invoca le ruspe. Questa sì che si chiama schiettezza, alla faccia di chi ci reputa intolleranti. Come si diceva? Italiani brava gente...
Chiara Caprio

1 gennaio 2008

DA DC A DC

Mi stupisce molto sentir parlare del futuro della sinistra. E più ancora di riempire uno spazio vuoto a sinistra del Pd. Stare a sinistra del partito democratico vuol dire stare fuori dal governo. A vita. Già, perché qualsiasi legge elettorale che partorirà il mega-utero di Donna Veltroni, fecondato dalle semenze di Berluscone, non prevedrà mai più un’alternanza al potere, tanto meno, per la nuova "Sinistra Arcobaleno", che, spogliata della falce&martello, vuol darsi una parvenza di credibilità, posteggiando un Mussi in guardiola ed un Ferrero ad amministrare il baraccone. La sinistra è morta o non è mai nata. Intendo una sinistra europea, di governo, una sinistra di tradizione socialista, persino laburista, direi. All’Italia è sempre mancato il socialismo, o meglio la socialdemocrazia, cosa che i nostri colleghi (Europei Sapiens) hanno sempre avuto ben presente. In Italia un Partito Comunista irresponsabile, finto battagliero, che patteggiava con un centro cattolico gattopardiano, ha contribuito a fascistizzare consapevolmente il nostro paese. A deprimerlo. Lo ha privato di quella spinta al nuovo, al progresso, che invece è caratteristica principale della vera sinistra europea, con la quale i nostri fortunati vicini hanno vissuto le stagioni più floride. E ora ci aspettano altri trent’anni di immobili sballottamenti tra il Pd (la "Dc de sinistra") e il Pdl (la "Dc de destra").
Fabrizio Aurilia

22 novembre 2007

COS'E' LA DESTRA, COS'E' LA SINISTRA?

Momenti di ordinaria lottizzazione politica in Statale. Come ogni anno, le diverse associazioni, schierate e non, si riuniscono per decidere in quali aule svolgere le varie riunioni.
Viene applicato, nella suddivisione degli spazi disponibili, un criterio laico e pragmatico? Naturalmente no, e così vediamo sorgere aule marchiate a fuoco, ideologizzate, destinate a priori a gruppi di centro-destra o di sinistra.
Vulcano, per continuare a costruire il suo giornale presso la tradizionale auletta A che oramai lo ospita da 5 anni, è stato sommariamente inserito nell’elenco "pro gauche". Intendiamoci, si tratta di dettagli. E del resto la linea editoriale del periodico, nata sempre dal dibattito redazionale, è nitida e non teme equivoci. Come la sua indipendenza. Piccolezze tuttavia interessanti per comprendere l’andazzo di una università bloccata, ferma a logiche anacronistiche e conflittuali. Quando sono i vecchi baroni che masticano il passato e seminano misoneismo ce ne facciamo una ragione. Se però sono i ventenni ad applicare criteri antichi ed antifunzionali lo stupore cresce. Insieme alla disillusione più malinconica.
Gregorio Romeo

22 luglio 2007

DIRITTI DISTRATTI

Dietro il fronte, amaramente trasversale, che in Italia intende negare diritti alle coppie di fatto ed omosessuali, non vive solo una depressa e atavica ignoranza. La crisi è più profonda e si inserisce a pieno titolo nel fenomeno che vede decrescere il potere politico, in virtù di una sempre più accentuata anarchia di interessi corporativistici e finanziari. In questo modo, le autorità governative tradizionali, incapaci di rispondere alle sfide cruciali che la contemporaneità presenta, riflettono sulle libertà individuali i propri interventi normativi. Il bigottismo, l’instabilità e la piacioneria tutta italiana spiegano gli imbarazzanti ritardi, in termini di diritti civili, del nostro Paese rispetto al resto d’Europa. Così, mentre si dovrebbe discutere di riforme istituzionali, welfare-state, integrazione e clima, da noi, a giorni alterni, si dibatte della tanto ostentata quanto insignificante castità prematrimoniale del ministro Mastella, dei lifting dell’onorevole Luxuria, dell’harem del presidente Berlusconi. Insomma, come scriveva Piero Gobetti: "senza conservatori e senza rivoluzionari, l’Italia è diventata la patria naturale del costume demagogico".
Gregorio Romeo

6 giugno 2007

BULLI DA CARTA STAMPATA


Oooh, il tema principale di questo inizio 2007 si è rivelato essere il bullismo. Dopo l’Emergenza Stupri di quest’estate, quando sembrava che improvvisamente tutti gli stupratori del mondo si fossero ritrovati in zona Stazione Centrale per trasformarla in una novella Sodoma di perversione e abominio, ora pare che da un giorno all’altro i nostri adolescenti si siano trasformati in piccoli mostri, picchiatori malvagi e razzisti.
Ma fermiamoci a riflettere un attimo. Io ricordo che ai miei tempi le cose non erano molto diverse. Alle Elementari ricordo distintamente dei miei compagni prendere in giro un bambino di colore chiamandolo "cioccolatino". Alle Medie risse e pestaggi, se non erano all’ordine del giorno, poco ci mancava. Al Ginnasio una volta ero al McDonald’s di corso Vercelli (Vercelli, notare bene), e un gruppo di zarri più grandi mi hanno preso a calci in culo perché non volevo lasciare il mio posto a sedere. Mio padre mi ha raccontato che anche ai suoi tempi succedevano le stesse cose; e mio nonno idem.
Allora dove sta la linea di confine che separa ciò che avveniva ieri e l’oggi?
Ah aspettate, c’è effettivamente una differenza colossale: ai tempi non c’erano videofonino e YouTube. E dunque le mamme non dovevano andare a frignare sui tiggì nazionali, video alla mano, di quanta ingiustizia ci fosse nel mondo. Prima ce ne si poteva tranquillamente fottere, era più comodo: "guarda, Luigino ha un occhio nero...mah, sarà caduto dalla bicicletta!"
E intanto, parafrasando Tomasi di Lampedusa, più le cose sembrano cambiare, più nella realtà non cambiano affatto; se ne parlerà ancora per un po’, poi la notiziona ormai avariata sarà sostituita da carne fresca, buona per gli incassi.
Vogliamo scommettere su un infanticidio?

Davide Bonacina

22 maggio 2007

I BARONI RAMPANTI

Poche, interessanti, cifre. 13.679 euro è lo stipendio mensile netto (esclusi rimborsi vari) dei parlamentari italiani. Di gran lunga la remunerazione più alta d’Europa. Meno ricchi i pari Tedeschi, Francesi, Inglesi e Spagnoli che, mediamente, guadagnano 7150 euro per mese.
Il dato stride soprattutto in relazione ai salari degli altri ambiti (dagli operai agli insegnanti ma, paradossalmente, anche manager) che, in Italia, le statistiche dimostrano essere
decisamente più bassi rispetto al resto d’Europa. Conclude il circolo stravagante la Sicilia, una delle regioni con il più alto tasso di disoccupazione, con meno infrastrutture e servizi, dove il costo della politica (fra stipendi e consulenze) centra il milione di euro al giorno. Insomma, la ricchezza della politica è inversamente proporzionale al benessere del paese. Una vera e propria aristocrazia di deputati, senatori, sottosegretari e, fatalmente, amici degli amici. Quando, dagli anni ’70, gli esperti stranieri iniziarono a discutere della politica italiana in termini di vero e proprio “caso”, per sottolinearne, oltre la proverbiale alchimia, l’uso e abuso libertario e autoreferenziale delle risorse pubbliche, non si sbagliavano. Ci sbagliamo oggi, dopo poco più di un decennio dal noto venticello giudiziario, a credere che la politica abbia perso, oltre alle sue virtù, anche i suoi vizi.
Gregorio Romeo

2 febbraio 2007

LA CATTIVA EDUCAZIONE

Ucciderne uno per educarne cento. E’ sempre stato il motto dei brigatisti rossi. Quelli del 2007 nei loro programmi pedagogici avevano previsto, tra le altre cose, l’eliminazione di quel cattivone di Pietro Ichino, professore nel nostro Ateneo. E a quanto pare i nostri messianici educatori avevano scelto proprio la nostra università per tirar su nuovi allievi con la pistola. Ma con scarso successo. Per fortuna i nostri cervelli ancora “poco educati” continuano a credere che il sogno di liberare il proletariato dal giogo dei giuslavoristi a colpi di pistola, per poi magari fare dell’Italia un’ oligarchia marxista-leninista satellite della Corea de Nord, dove ogni anno fabbricare un ordigno nucleare finto per costringere il resto del mondo a barattarne lo smantellamento con barili di petrolio nordamericani - sia solo il delirio di una ventina di casi gravi da ospedale psichiatrico.
Beniamino Musto

12 dicembre 2006

"FIDUCIOSI" A SENSO UNICO

Dopo l’approvazione della finanziaria alla camera, il solito Schifani ha definito vergognoso l’utilizzo della fiducia da parte della maggioranza. E a ragione. Nulla infatti è più vergognoso che veder un governo aspettar tanto a metter la fiducia, provocando il parziale snaturamento di una manovra che aveva una sua discreta coerenza interna.

A Schifani ha fatto poi eco il sempre savio e moderato Casini parlando di «esproprio dell’aula» e dimostrando così un’indiscutibile conoscenza del voto di fiducia. Conoscenza che nasce, senz’ombra di dubbio, dall’esperienza diretta: quando erano al potere lui e i suoi amici, la fiducia fu posta addirittura 46 volte - perfino sulla legge anti-droga Fini-Giovanardi e sulla
riforma universitaria.

Infine è giunta l’attesa chiosa berlusconiana: «Il ricorso al voto di fiducia sulla finanziaria è una cosa che non appartiene ai metodi di una vera democrazia». Niente male da parte di un veterano del voto di fiducia come lui. Ma a fronte delle accuse di brogli di Deaglio, che cos’è quest’ennesima uscita berlusconiana, un’auto-confessione?

Francesco Zurlo

8 novembre 2006

LA ROSA NEL SOGNO

C’era una volta un partito chiamato Rosa nel pugno. Sì lo so, molti non se ne sono accorti. Ora esiste solo un gruppo parlamentare alla Camera, assolutamente inerte, con lo stesso nome: ma un gruppo parlamentare non fa un partito come sanno bene gli elettori dell’Ulivo (ahimè). I Radicali, primi promotori della formazione, hanno appena cambiato segretario: da Capezzone, o Capezzuàn all’inglese, alla Bernardini, storica militante e tesoriera. Il cambio di guida è stato voluto dall’antropofago Pannella che, in continua ricerca di visibilità per il partito, non era soddisfatto che il suo segretario fosse presente in ogni tv nazionale, e seduto a qualsiasi tavolo di volenterosi, e facesse a pacche sulle spalle con un altro famoso digiunatore, l’angelo del focolare Sandro Bondi. L’obiettivo del rinato Partito Radicale è, si legge, “rilanciare il progetto della Rosa nel Pugno.” Sarebbe preferibile dire: lanciare un progetto, almeno uno. Come è possibile che un leader di partito, ogni sera a Markette, non riesca a fare la voce grossa in una coalizione in cui basta un mal di pancia di un sottosegretario a far slittare la finanziaria (che io difendo) di milioni di euro? Ma ora con la Bernardini tutto cambia. Ospite al TG di La7 spiega: “noi non siamo alleati di Di Pietro, ma di Prodi.” Concetto affascinante quanto oscuro. Del resto, se ricordiamo bene, da un partito che vantava come spin doctor Antonella Elia, non ci si poteva aspettare molto. Sempre meglio che avere segretari come il-molto-poco-decisivo-Cesa e Giordano: il secondo fra l’altro mi risulta alleni con buona fortuna il Messina. Forza Palermo.

Fabrizio Aurilia

2 ottobre 2006

UNA COMPILATION DI ILLECITI

Licata, provincia di Agrigento, pochi giorni fa c’è stata l’ennesima morte sul lavoro. O meglio sotto il lavoro. Un immigrato rumeno irregolare lavorava in nero al restauro di una palazzina fatiscente, per conto di un palazzinaro amico dei condoni. Fatalità volle che il palazzo crollasse in faccia all’operaio sotterrandolo e costringendolo ad una morte lunga due giorni, e privo dei piedi amputati durante i soccorsi. Una storia come le altre se non fosse per la macabra e grottesca asportazione. L’indignazione sale nei confronti di questo “imprenditore” che aveva pure dichiarato che al momento del crollo nella palazzina non c’era nessuno. Nessuno da segnalare ovviamente. Dopo però scopriamo altre cose: la palazzina era stata costruita abusivamente negli anni settanta e di recente era divenuta il rifugio di un latitante mafioso, poi sorprendentemente arrestato. Mancava solo un aereo di linea che ci finiva contro dirottato da separatisti sardi. La costruzione è crollata per la vergogna di essere stata co-protagonista di tutti questi reati. Quindi alla fine la colpa della morte dell’operaio di chi è? Dell’abusivismo edilizio? Del mafioso che avrebbe dovuto segnalare la caducità della sua dimora? Del negriero imprenditore siculo? Della Bossi-Fini che avrebbe dovuto rispedire indietro l’immigrato? Questo lo stabilirà un magistrato colluso con l’ausilio di intercettazioni illegali e grazie all’ambiguità di qualche legge.

Fabrizio Aurilia