È normale: tutti, o quasi, preferiamo chi ci strizza l'occhio a chi ci rimprovera. Il populismo, si sa, paga fin dall'epoca delle democrazie (o simil tali) più antiche e oggi, grazie a vari e prodigiosi strumenti, può far persino diventare dei santi. Certamente la grigia e aureolare saccenteria di certi professoroni non può neanche sognarsi di competere. Lo hanno capito benissimo i politici di sinistra. Tanto è vero che il loro stereotipo più diffuso è quello dello snob spocchioso che sale in cattedra ad insegnare a tutti la morale e il buon governo. Gli elettori non capiscono; ed eleggono altri.
E pensare che fu proprio la sinistra a nascere populista. Nel senso di vicina al popolo, certo, ma anche, e soprattutto, al suo stomaco. Spaventava proprio la sua capacità di muovere masse rozze e ignoranti.
Oggi le cose stanno esattamente agli antipodi; ma la sinistra continua a dirsi di popolo. E infatti, proprio per questo, si arrocca nel suo castelluccio di pedante presunzione i cui muri ormai si sgretolano come pane andato a male.
Ma se, a questo punto, per qualcuno potrebbe essere fin troppo facile sottolineare la pericolosità della dittatura della maggioranza (citando magari De Tocqueville e Stuart Mill), ancora più facile sarebbe, o potrebbe essere almeno, chiedersi, riflettendo sui più basilari meccanismi della democrazia: si può veramente pretendere dagli elettori (non dai sudditi) che votino per delle autoreferenziali élites intellettuali e provino reverenza per degli atteggiamenti così professorali?
Quando la presunzione si atteggia, e sembra vera e propria boria, allora si ha l'impressione che diventi una patologia. E, purtroppo, di natura epidemica.
Danilo Aprigliano
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