Vi ricordate di “Borat” ?
Omonimo protagonista di uno dei film più politicamente scorretti degli ultimi anni, Borat Sagduyev è un personaggio razzista, sessuomane e ferventemente misogino. Ma questa descrizione non vi ricorda qualcuno?
È ovvio che non si può imputare al solo Berlusconi (ma piuttosto alla mentalità media di cui è espressione e conseguenza) il pessimo risultato riportato dall’Italia nel Rapporto annuale sulle Differenze di Genere, stilato dal Foro Economico Mondiale, ma è anche vero che dal già pessimo 74esimo posto su 134 nazioni partecipanti dello scorso anno, il 2009 ci ha visti finire all’ancor peggiore 79esima posizione.
In Italia le donne sono il 43% della forza lavoro, solo un terzo degli alti quadri sono gestiti da donne ed il rapporto tra uguale compenso per uguale lavoro è così impari che ci precipita al 116esimo posto.
Eppure non sembrerebbe, vero?
Ma allora quali sono i motivi di questo arretramento, o meglio, ristagno sociale?
E qual è il maggiore problema da risolvere per far risalire alle donne italiane qualche gradino sulla quella scala e, soprattutto, per far riacquistare loro un po’ di dignità, un briciolo di uguaglianza in più?
Per le ragazze del collettivo femminista di Via Varchi, la questione più spinosa da affrontare è la mancanza di autocoscienza nell’Italia stessa: molte donne non si rendono conto della realtà che vivono, ritengono normali cose che normali, e giuste, non sono; come ad esempio vedersi costrette a lasciare il lavoro per mancanza di aiuti statali o agevolazioni. Ritengono causa scatenante di questa mancanza di autocoscienza l’educazione: religione, scuola, famiglia hanno creato e creano tuttora una
sorta di stigmatizzazione psicologica per la quale la ribellione alla subordinazione uomo-donna resta un’eccezione e il raggiungimento di un qualsiasi risultato comporta sempre una giusti
ficazione. Sostengono inoltre che a peggiorare le cose contribuisce la condizione dell’Italia come “Stato-Vetrina”, ossia un Paese industrializzato, civile e, nonostante la crisi, economicamente benestante. In teoria, quindi, non ci si dovrebbe aspettare questa situazione e invece…
Per smantellare questa vetrina e costruirne una nuova, migliore, suggeriscono di evitare il paragone improponibile dei paesi Scandinavi, che da sempre occupano le prime posizioni nella lista del rapporto, di considerarli solo un modello a cui ispirarsi, e porre invece l’Italia a confronto con quei Paesi che per la loro condizione economica, sociale o civile vengono ritenuti impensabili di pari opportunità e che invece hanno qualcosa da insegnarci: ci sono infatti più parlamentari donne in Marocco che in Italia ed una donna uzbeka è più equamente stipendiata di una italiana. Ed è proprio vero che il Kazakhstan è lontano dall’ Italia. Ed è altrettanto vero che l’Italia sciovinista di Berlusconi è guardata dall’alto di ben 32 postazioni dal misogino e maschilista Kazakhstan di Borat Sagduyev.
LEA MELANDRI
Nello scorso Novembre presso la sede delle Acli a Milano Lea Melandri, che partecipa da ormai quarant’anni con impegno e passione al movimento per le donne, ha parlato di uguaglianza nell’Italia di oggi.
Questo movimento ha ormai obbiettivi diversi dal femminismo degli anni 70, ha spostato l’attenzione dalla “questione femminile” (che si concentrava sul combattere il modello patriarcale e crearne uno esclusivamente femminile) alla questione del rapporto fra i sessi.
Sia la figura della donna che quella dell’uomo sono cambiate molto in pochi anni. L’uomo non è più l’unico in una famiglia che percepisce uno stipendio, il bread winner, figura fondamentale per la stabilità economica; da ciò risulta un uomo molto più fragile e meno responsabile.
E’ vero che la donna rispetto agli anni 70 si è emancipata, ma come? Se a quel tempo il motto era “ il corpo è mio e lo gestisco io” oggi sembra più essere “ il corpo è mio e me lo vendo io”, si pensi alle varie veline o vallette che vediamo tutti i giorni in televisione. Non tutte le donne però scelgono questa strada. Oggi sono presenti nella vita pubblica molto più che in passato, ma si ha l’impressine di non vederle perché parlano la stessa lingua degli uomini. In definitiva le donne oggi o si omologano al modello maschile, svantaggiate da questo e rimanendo così nell’ombra, o riprendono la vecchia etichetta di “oggetto” o “corpo senza cervello”con l’unica differenza che decidono loro a chi vendersi.
Guardando i giornali o leggendo i quotidiani emerge con chiarezza che il pensiero che conta è quello maschile. I luoghi decisionali sono tutti in mano agli uomini. Le donne hanno acquisito dei diritti, ma l’emancipazione tutto sommato non da grande fastidio, anche perche spesso le donne emancipate si assimilano all’uomo.
Finché gli uomini non considereranno un modo diverso di porsi della maschilità, finche nella vita pubblica non si comincerà a guardare alla donna come ad un individuo, corpo e mente, non possono esserci grandi cambiamenti e in questo all’estero sono molto più avanti di noi.
Effettivamente stanno emergendo associazioni mas
chili che si pongono in discussione si chiedono cos’è la maschilità e cosa vuol dire essere uomini, fuori da logiche di dominio o paura. Così l’associazione “Maschile/plurale”, che ha ramificazioni in tutta Italia e che ha indetto per la prima volta una manifestazione a Roma rivolta “da uomo a uomo”.
Alla fine del suo discorso Lea Melandri ha però detto “in tutti gli incontri e i dibattiti a cui ho partecipato, non ho mai avuto la sensazione che da una parte o dall’altra ci fosse una qualche reciprocità. Nessuno sembra aver letto ciò che le donne anno scritto. Ne deduco che c’è un lavoro enorme da fare”
LA LIBRERIA DELLE DONNE
Essendo, per natura, più portata
all’azione che al dialogo, ho deciso, senza molto sforzo, di risparmiarvi un mio discorso sul femminismo, per proporvi ad una realtà viva e concreta, nella quale l’argomento viene scomposto e rinnovato ogni giorno: La Libreria delle Donne.
Nata a Milano nel 1975, nel pieno
del movimento femminista italiano, la Libreria dispone di 3 mila autrici e una quantità complessiva di opere che si avvicina ai 10 mila titoli; ma non sol
o! Il suo obiettivo finale è di essere una realtà politico - letteraria, dove la regola è dettata dalla relazione e dalle esperienze personali. Per questo si organizzano riunioni, proiezioni di film, confronti politici, culturali e la pubblicazione trimestrale della rivista “Via Dogana”- dove si trovava la sede storica della Libreria. Siamo, perciò, di fronte ad una realtà attiva che non si riallaccia a nessun partito o istituzione, visto che si porta avanti “una polit
ica del partire da sé”: ogni riflessione nasce dalla propria storia - “la ricchezza di quello che si vive in prima persona supera tutte le possibili rappresentazioni”- e dalla quotidianità può relazionarsi con il mondo che la circonda.
“Relazione” è ancora la parola chiave del Circolo della Rosa, stabilitosi allo stesso indirizzo della Libreria nel 2001. Nasce a Milano nel 1990, con lo scopo di far circolare liberamente il sapere femminile, da un gruppo di 50 donne che non solo propongono, ma accolgono iniziative di ogni sorta. Ad esempio, nella “Quarta Vetrina”, si espongono le opere di giovani artiste, scelte da critiche d’arte ed esposte per la durata di due o tre mesi. Inoltre, al martedì e al sabato il locale rimane aperto proponendo un curioso aperitivo tra salatini, bibite e libri; anche la cena è concessa, a patto che si prenoti il giorno prima.
E’ vero: questa interazione tra Libreria e Circolo può apparire, ai più, come un covo di femministe fanatiche che cercano di dimostrare come Dio sia donna…niente di più sbagliato! Sono luoghi di incontro tra donne e uomini, dove nessun punto di vista viene escluso, ma, anzi, considerato necessario per comprendere ciò che ci circonda.
Le diversità hanno sempre rappresentato il fermento di ogni sviluppo del pensiero e la base di ogni società libera, la quale, a causa della realtà socioeconomica che ci circonda, non può rimanere chiusa e conformista, ma aperta e dinamica. E così Libreria&Circoli non rivendicano la parità tra i sessi, ma reclamano con forza le differenze e le coltivano attraverso la filosofia, l’arte e la letteratura.
Il maschilismo è l’ennesima paura del diverso? Certo che sì…Ma è una paura che, originata da cause diverse e rivolta verso vittime differenti, ci riguarda un po’ tutti, e come tale dobbiamo sforzarci di controllare.
Francesca Gabbiadini, Gemma Ghiglia e Elena Sangalli
Vorrebbero almeno le rose
Per un non-misogino le recenti manifestazioni d'odio nei confronti delle donne sono, paradossalmente un sollievo.
La misoginia è difatti latente nella società italiana; la sua palese manifestazione è però occasione per andare allo scoperto e dichiarare la propria contrarietà.
Le donne occidentali (per lo meno quelle pensanti) sono oggetto d'un offensiva violentissima; paradossalmente, fra gli attaccanti sono schierate molte donne.
E' diffusissima l'idea per cui le vittime di stupro siano delle meretrici, la disparità sul lavoro è diffusissima, i diritti che vengono riconosciuti sono delle idiozie (l'ingresso nell'esercito) o delle prese in giro (le quote rosa, date per scontate nei paesi civili - in Norvegia si sono rese necessarie, ma hanno perlomeno portato a risultati). Le donne sono valorizzate solo per l'avvenenza e ciò ha originato bugie immani, dal falso mito per cui con l'età s'imbruttirebbero (la confusione fra imbruttimento e abbruttimento fa comodo a chi spaccia spazzatura mediatica) allo stravolgimento in negativo dei canoni di bellezza.
Tale situazione è generale, ma ben riassumibile in un episodio e ben mostrata in una serata televisiva.
L'episodio è il caso delle escort in Puglia, nient'altro che l'ennesima concretizzazione di uno dei peggiori aspetti della mentalità misogina dominante in Italia: l’idea che le donne debbano vendere il proprio corpo. Spacciata da una delle parti coinvolte per vicenda minuscola e privata, è in realtà una vicenda enorme e pubblica: per il giro di tangenti e perché non ha coinvolto solo le escort in questione, ma tutte le donne (consapevoli o meno) del paese.
La serata televisiva quella del 29 settembre su La7, nella trasmissione L'infedele, durante la quale gli scatenati Alessandro Sallusti e Michaela Biancofiore sostenevano rispettivamente che i... "maschi" DEVONO dire o almeno pensare "che bella figa" (testuale) vedendo una donna avvenente e che "dobbiamo essere felici di avere un premier virile". Un Pier Paolo Pasolini qualunque sarebbe quindi stato un pessimo presidente.
Ciò in perfetta sintonia con la mentalità d'una nazione ben raffigurata da un trafiletto del Newsweek in cui Katie Baker riporta alcune cifre (usando per pretesto la storica frase rivolta da Berlusconi alla Bindi) riguardo la disparità nei ruoli dei generi. Una mentalità che scambia per innovazione la pubblicità delle calze con in sottofondo Sorelle d'Italia, credendo che mutare il genere dei soggetti dell'inno nazionale porti a qualcosa. Invano Umberto Veronesi ha chiesto, con una lettera al Corriere della Sera, che le donne stesse ridefiniscano il proprio ruolo e si liberino dal retaggio (anti-)culturale - e religioso - di cui sono vittime (non è un caso che il documentario del 2009 Alina Marrazzi Vogliamo anche le rose abbia ricevuta più attenzione all'estero che in Italia).
Sostengono le ACLI che gli uomini siano sconcertati dal piglio con cui le donne rivendicano i proprio diritti; il circolo Maschile Plurale si appella allo scemare della mascolinità. I fatti dimostrano che possono stare sereni; il tedio di cui si sono serviti e che ha ammorbato loro stessi ha colpito anche le donne, tranne quelle capaci di pensare da sé. Che sono sia belle che intelligenti.
Tommaso de Brabant
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