23 maggio 2008

NON SONO UNA SIGNORA/2 ART.13

Il tredicesimo articolo della Costituzione, il primo dopo i principi fondamentali, riguarda la libertà personale. Nella tradizione anglosassone assume il nome di Habeas Corpus. Una conquista del 1679 che consiste nell’impossibilità di arrestare qualcuno tanto per il gusto di farlo, ma richiede la vigilanza del potere giurisdizionale che garantisce una maggior tutela dei cittadini. Qual era il problema alla radice? I cittadini potevano essere arrestati senza capi d’accusa, in assenza di qualsiasi indizio, solamente sulla base del puro arbitrio.
In questo articolo un’affermazione in particolare merita di essere sottolineata.
ART. 13: (...) E’ punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà. (...)
Insomma, niente tortura, a prescindere che le finalità siano probatorie o di puro divertimento dei carcerieri. Non é nemmeno un’affermazione cosi incomprensibile all’interno di una Costituzione moderna. Da sottolineare che qui non si parla di "divieto" ma di "punizione" nel caso la tortura venga consumata. Provate a prendere la vostra copia della Costituzione. Scorrendo le sue parole vi accorgerete che non esistono altri articoli che prevedono espressamente una punizione. E’ giusto pensare che la tortura di una persona sotto arresto sia quanto di più vigliacco un essere umano possa concepire. Lo facevano i nazisti. Lo facevano i fascisti durante la guerra di liberazione. Lo fanno tuttora le dittature sparse per il mondo. Lo fanno gli americani nelle carceri costruite in vari paesi, più o meno democratici, sparsi per il mondo. Ma ormai noi sappiamo che la tortura é da vigliacchi. A tal punto che merita questo trattamento particolare nella Costituzione.


Sorge però un grande problema. Il nostro paese é l’unico in Europa che non ha mai approvato alcuna legge che condanni la tortura. Abbiamo ordinanze che puniscono con il carcere chi lava i vetri delle auto e non abbiamo alcuna legge che preveda il reato di tortura. A dispetto della nostra Costituzione, e degli obblighi internazionali che l’Italia ha sottoscritto, torturare è lecito. O almeno, non esiste come delitto. Si chiama "violenza privata".
Vi ricordate quel lontano 2001, quando duecento persone furono arrestate, poi tutte rilasciate perché, detto banalmente, non avevano fatto niente di niente ma erano solo state pescate nel mucchio durante le manifestazioni contro il G8 a Genova? Quelle duecento persone sono state sequestrate, picchiate, minacciate, percosse, insultate, durante il sequestro, durante il tragitto, durante la «detenzione». In quel famoso carcere preparato appositamente per contenere «la più grande violazione dei diritti umani dal dopoguerra ad oggi, nell’Europa occidentale». Non é forse tortura questa?
Ma talvolta la nostra dignità sembra eclissarsi. Sotto l’ombra della, così detta, "violenza privata".


Marco Bettoni

21 maggio 2008

EDITORIALE MAGGIO 2008

Chi dice che il nostro Paese è avaro di memoria avrà avuto modo di ricredersi. Dai saluti romani al nuovo Divo Capitolino Iannus Alemannus, agli scontri della Sapienza, gli italiani ricordano bene come si conduce il dibattito democratico. Guardiamo i fatti: alcuni neofascisti se la sarebbero presa, in definitiva, per l’annullamento della conferenza sulle foibe alla quale era stato invitato Roberto Fiore, segretario di Forza Nuova. Questa la causa primaria, l’ "aition", come direbbe Pericle. Già, le foibe: tragedia rimossa per decenni dalla cronaca, dalla storia e dalla memoria. Ma siamo sicuri che il modo migliore per risarcire il popolo italiano di una memoria messa sotto il tappeto come sporcizia culturale, sia quello di invitare ad una conferenza un dichiarato neonazi-fascista? Non è il modo migliore, ma è il "nostro": in Italia non è possibile condividere niente, è ontologicamente necessario mettere cappello, così da lottizzare e parcellizzare la memoria. Le foibe, dimenticate consapevolmente dalla sinistra, sono patrimonio della destra, e giustamente, il preside della Facoltà di Lettere della Sapienza, che organizza una conferenza per parlarne, non può che chiamare l’esponente più "discutibile" della malandata destra italiana: un ragionamento assurdo ma geneticamente italiano. E quanto è tipicamente italiano scrivere di scontri tra studenti di sinistra e estremisti di destra? Benvenuti nel primo numero di Vulcano del 1977.
Fabrizio Aurilia

15 maggio 2008

UNA QUESTIONE DI PULIZIA


Siamo un popolo di incompresi. Chi ci definisce razzisti e xenofobi non ci capisce. Noi non siamo intolleranti e approfittatori, noi siamo generosi. Se uno straniero puzza, c’è un Borghezio che lo lava. È vero, usa il Vetril, ma sono dettagli da cronaca di costume. E se vivono in un campo sporco e pieno di topi, c’è un Galan che risolve la questione: "Questi non sono campi, sono immondezzai, non vedete quanta spazzatura? Bisogna spazzarli via". La domanda sorge spontanea. Di che si parla? Forse una risposta può arrivare da frasi illuminanti come "Hanno fatto pulizia", "Bisognava pur pulire", "Certo bisogna ancora pulire un po’". In tempi come questi, il pensiero corre a Napoli e alla Campania. Ingenuità. A parlare sono i commercianti della zona Stazione Centrale di Milano e si riferiscono ai bambini rom. Ed è quasi commovente la rude semplicità di De Corato, che con estremo pragmatismo invoca le ruspe. Questa sì che si chiama schiettezza, alla faccia di chi ci reputa intolleranti. Come si diceva? Italiani brava gente...
Chiara Caprio