30 ottobre 2010

A un anno dalla Merini. Milano ricorda

Non cercate di prendere i poeti perché vi scapperanno tra le dita.”

A. Merini

ald_20_672-458_resizeIl primo novembre dello scorso anno si spegneva Alda Merini, la celebre poetessa e scrittrice che ha avuto una vita molto travagliata, ma dominata dall‘amore per Milano e per i Navigli. Proprio Milano, spesso, dimentica troppo velocemente i suoi figli benemeriti perché troppo presa dal cosmopolitismo e dal dinamismo. Ma per Alda non è stato e non sarà così: dopo una lunga querelle, si è infatti finalmente conclusa la vicenda della futura “casa museo di Alda Merini”. A ospitare la memoria della scrittrice non sarà però l’appartamento di Ripa di Porta Ticinese, in cui la Merini ha vissuto dal ritorno nella sua città natale, bensì una delle abitazioni appena ristrutturate di via Gola, di proprietà del Comune. Nelle stesse stanze dovrebbero trovare dimora anche una neonata “scuola di poesia” e la sede dell’associazione culturale a lei intitolata. La stessa amministrazione locale il 21 marzo scorso ha posto una targa celebrativa sui Navigli.

In questi giorni sono molti gli eventi che vogliono ricordare una delle poetesse più importanti del Novecento italiano: Vulcano vi consiglia la “Serata omaggio ad Alda Merini”, il primo novemre alle 21.00 al Teatro della Cooperativa, con Renato Sarti, Rosanna Mora e Marta Marangoni.

Davide Contu

27 ottobre 2010

“SIAMO TUTTI INDISPONIBILI” La protesta dei ricercatori della Statale

Il DDL Gelmini, dopo numerose proteste in piazza e in parlamento, ha trovato la sua battuta d'arresto nella Commissione di Bilancio che, per mancanza di copertura finanziaria, ha deciso di rimandare la discussione del decreto al 7 dicembre, al termine della fase di bilancio. L'indisponibilità finanziaria sopracitata riguarda i 9.000 posti promessi ai ricercatori, posti sentiti da molti come un tentativo da parte del governo di far scemare la protesta e nulla più: è impensabile cercare di assumere tutti quei ricercatori quando gli stessi fondi alla ricerca hanno subito tagli ingenti. Se fino al 2008 solo il 3% (la percentuale più bassa d' Europa) del PIL veniva destinato alla ricerca, ora l'investimento è stato drasticamente ridotto allo 0,9%. Ma il DDL Gelmini porta con sé anche altri problemi. Con l'ideazione, ad esempio, della figura di un “super-rettore”, che ha il potere di nominare i membri del Consiglio di Amministrazione, la rappresentanza dei ricercatori scompare in favore di privati e baroni. La lotta al baronato è stato il cavallo di battaglia della ministra Gelmini, peccato che, nel concreto, con l'istituzione del super-rettore, con l'autovalutazione interna alle Facoltà e con il blocco del turn over, l'élitarismo accademico non faccia altro che acuirsi. Un punto in particolare riguarda poi anche noi studenti. Molti infatti avranno pensato a un futuro nell'università e nella ricerca ma, con questa riforma, appare difficilmente realizzabile: se già prima il 90% della progressione di carriera dipendeva dalle conoscenze e non dal merito, ora i nuovi ricercatori avranno un contratto a tempo determinato di 3 anni, prorogabile a 5 che, senza le giuste conoscenze, difficilmente verrà rinnovato. Davanti a questa situazione non stupisce la decisione dei ricercatori di far fronte comune, insieme a precari e studenti, contro questo decreto. In molti si sono dichiarati indisponibili e hanno deciso di operare un blocco della didattica che va dal non tenere lezione, compito che peraltro non è previsto dal loro contratto (per stessa definizione un ricercatore si occupa di ricerca), all'occupazione di alcune Facoltà, nello specifico Fisica alla Statale di Milano e Ingegneria alla Sapienza di Roma.

Vulcano ha intervistato Piero Graglia, ricercatore del Dipartimento di Storia della Società e delle Istituzioni della Facoltà di Scienze Politiche della Statale di Milano, tra i coordinatori della Rete29Aprile.

Lei fa parte della Rete29Aprile. Può spiegare brevemente cos'è e di cosa si occupa questo movimento?
Rete29Aprile è un raggruppamento spontaneo nato per organizzare la protesta dei ricercatori indisponibili e di tutti coloro che si sono detti contrari al disegno Gelmini.
Quali sono i punti del DDL Gelmini che colpiscono maggiormente l'Università e la ricerca in particolare?
Innanzi tutto l'attività di ricerca scompare e così viene emarginato il sapere più originale e innovativo. È gravissimo anche il “fondo ad esaurimento” dei ricercatori, che con i contratti a 3 più 3 vengono usati per fare didattica, perché è certo più economico assumere a tempo determinato che creare posti fissi. È un'università fondata sul lavoro dei precari. Un altro punto a cui sono fortemente contrario è l'autovalutazione d'ateneo. Altro che lotta al baronato! Una valutazione seria deve essere effettuata per dipartimento e da una fonte esterna, altrimenti non serve a niente, si riduce a un atto autocelebrativo.
Cosa ritiene positivo di questa riforma?
L'unica cosa salvabile del DDL è l'incentivo salariale per chi ha svolto un lavoro degno di nota ma non condivido il metodo con cui viene stabilito. Sono anche favorevole all'accorpamento dei dipartimenti, con circa 45 docenti per ognuno.
Uno dei punti più controversi della riforma sembra riguardare la meritocrazia. Qual è la sua opinione?
L'unico modo per dare onore al merito è un lavoro di valutazione a tappeto su ricercatori, associati e ordinari eseguito da soggetti esterni all'università. Per quanto possa essere state enfatizzate meritocrazia e lotta al baronato, questo DDL, di fatto, protegge i baroni. Contestano le leggi ad personam e poi aumentano esponenzialmente il potere dei rettori. Siamo ben lontani dall'idea di università aperta e meritocratica che questo decreto vorrebbe propinare.
Quali sono le cose che dovrebbero e che concretamente possono essere cambiate nel nostro Ateneo?
Questo Ateneo funziona abbastanza bene ma c'è poca partecipazione, soprattutto nei Consigli di Facoltà. Da noi viene fatta la “seduta ristretta”, che prevede solo associati ed ordinari. Permettere la partecipazione di tutti sarebbe una piccola ma significativa concessione alla trasparenza e alla democrazia. Noi ricercatori svolgiamo lo stesso lavoro e abbiamo le stesse responsabilità di associati e ordinari, e dovrebbe esserci riconosciuto. È anche per questo che, con Rete29Aprile, abbiamo proposto il ruolo unico del professore universitario.
Il 7 dicembre in Parlamento si tornerà a discutere del decreto: quali scenari si prospettano nella migliore e nella peggiore delle ipotesi?
Nella migliore delle ipotesi il decreto verrà riformulato tenendo conto degli emendamenti che Rete29Aprile ha presentato alla Camera tramite Granata (Fli). Verrebbe elaborato un DDL diverso o perlomeno sanato nei suoi punti peggiori. Nell'altra ipotesi, invece, la maggioranza si arroccherà su questo disegno e andrà avanti a colpi di fiducia. Se ciò dovesse accadere, spero solo che al decreto verrà dato il tempo di agire, almeno così si capirà che è sbagliato.

Gemma Ghiglia

Intervista al Coordinamento dei ricecatori dell'università Bicocca

Qual è la situazione odierna dell’Università degli Studi Milano-Bicocca?
Milano-Bicocca è un Ateneo giovane con grandi potenzialità e ottime prospettive, ed è ancora nella fase di sviluppo. Il taglio dei fondi all’università e il blocco del turnover mettono il nostro Ateneo nelle condizioni di non potersi sviluppare nel migliore dei modi e continuare a garantire una offerta formativa di elevata qualità per un numero di iscritti costantemente in crescita. Inoltre, essendo un Ateneo non ancora maturo, ha dovuto far fronte alle varie riforme dell’Università e in particolare al passaggio al 3+2 appoggiandosi molto sulla didattica volontaria dei ricercatori.

Quali sono le mansioni coperte oggi dai ricercatori in Bicocca?
I ricercatori fanno primariamente ricerca, se ci riescono. L’attività ovviamente dipende dal settore in cui si lavora, ma comprende sempre sperimentazione, consultazione della produzione scientifica internazionale, partecipazione e/o organizzazione di congressi scientifici, stesura di articoli su riviste accreditate o libri. In molti settori inoltre i ricercatori si occupano di seguire le attività di stage e di tesi degli studenti, oppure svolgono altre forme di didattica integrativa, quali esercitazioni o integrazioni ai corsi, seminari e cicli di lezioni. In aggiunta a tutto ciò spesso svolgono il ruolo di supplenti per uno o più corsi frontali, e quindi preparano lezioni, rispondono alle domande degli studenti, svolgono esami. Insomma, di solito hanno delle giornate piuttosto impegnative.

Cosa farete domani, una volta che il DDL 1905 diventerà legge?
In caso il DDL Gelmini venga approvato senza modifiche sostanziali, continuando a mantenere la linea di sostituzione dei ricercatori attuali con contrattisti a tempo determinato con obbligo di docenza, che faranno ricerca nei ritagli di tempo, gli attuali ricercatori si troveranno di fronte ad un dilemma: continuare anch’essi a fare didattica oppure dedicarsi alla ricerca, e considerando che sono l’unica componente universitaria che per legge dovrebbe dedicarsi proprio a quest’ultima crediamo che questa scelta sarebbe doverosa, e necessaria perché la ricerca in Italia non scompaia.

Quali sono le vostre posizioni?
Il DDL Gelmini ci trova praticamente tutti contrari perché svilisce il nostro ruolo all’interno dell’Università, non cambia il nostro stato giuridico ma al contempo ci sostituisce con una figura che avrà obblighi didattici così pesanti che potrà fare ricerca forse per sei mesi l’anno. La ricerca non è un lavoro part-time: occupa tempo ed energie, e non è sempre compatibile con altri tipi di impegni. Per chiunque di occupi di ricerca, in qualsiasi ambito, conciliare il lavoro sperimentale e l’attività didattica richiede notevoli doti di funambolismo.
La ricerca sarà la grande vittima di questa riforma, e con essa la qualità della didattica universitaria, che da sempre trae la sua fonte proprio da essa.

Cosa avete ottenuto fino ad adesso?
Abbiamo ottenuto il rinvio della discussione del DDL Gelmini a dopo la legge finanziaria. Abbiamo sensibilizzato studenti e opinione pubblica sulle condizioni in cui versa il sistema universitario italiano. Grazie alla mobilitazione sono stati proposti emendamenti per l’introduzione di 9000 posti di associato in sei anni e correttivi sui blocchi stipendiali dei giovani ricercatori.
Insomma, siamo preoccupati perché non vediamo come l’università potrà mantenere alti standard formativi e ci viene promesso che avremo la possibilità di far carriera: ma cosa farà un associato in una università declassata, sotto finanziata e senza prospettive? E cosa farà chi rimarrà ricercatore senza poter accedere a fondi di ricerca? Ci stanno forse dicendo che dovremmo accontentarci di prendere uno stipendio… ma di cosa dovrebbero accontentarsi gli studenti?

Fino a dove pensate di spingervi con la protesta?
La protesta ha lo scopo di evidenziare un problema, la soluzione del problema purtroppo è al di fuori della nostra portata. Se questa è l’università che si desidera noi non potremo che convivere con questa triste verità. E adattarci. Qualcuno di noi sta già pensando di emigrare.

Cosa siete disposti a rischiare?
In realtà siamo in una posizione privilegiata, ed è qualcosa che ci viene spesso rinfacciato: noi almeno abbiamo un lavoro. Cosa rischiamo? Che alcuni dei corsi che faticosamente abbiamo contribuito a creare vengano disattivati, che i nostri superiori ci etichettino come piantagrane, o peggio, che le nostre Facoltà o Atenei subiscano dei danni per la nostra indisponibilità. Tuttavia riteniamo che sia il momento anche per i nostri Atenei di farsi carico degli eventi: la riforma non sarà indolore per nessuno, e i danni che ne deriveranno fanno apparire ridicoli i rischi che potremmo creare noi.

Dite NO su tutta la linea del DDL 1905? O esistono anche degli spunti positivi?
Il DDL contiene ottimi spunti di attenzione alla meritocrazia, andrebbero potenziati e resi davvero significativi e soprattutto applicabili nel sistema universitario italiano.

Qual è la vostra proposta?
Ci sono tante proposte sul tappeto proprio perché i problemi di cui ci stiamo occupando sono diversi e complessi. Un’ottima base di partenza sono le proposte avanzate dalla Rete29aprile, che raccoglie i ricercatori che protestano contro il disegno di legge, rintracciabili a questo indirizzo: http://www.rete29aprile.it/FILES_UPPATI/R29A%20e%20VII%20commissione%20camera_finale.pdf.
Quello che noi chiediamo in questo momento è che la legge sia costruita ascoltando tutte le voci che lavorano e vivono dentro l’università, cosa che finora non è avvenuta.
Cosa cambiereste della Governance dell’Università degli Studi di Milano Bicocca?
Nel Senato Accademico di Milano-Bicocca non ci sono rappresentanti dei ricercatori. Mai come ora ne abbiamo sentito l’esigenza: ci è sembrato di essere esclusi dalla nostra Università.
Denis Trivellato

LE RIFORME NON FINISCONO MAI - La protesta dei ricercatori universitari

La genesi
Dal 1999 ad oggi sono state proposte ed approvate dal parlamento due riforme dell’Università. In questo periodo si sta approvando la terza, il cosiddetto DDL 1905, o seconda parte della Riforma Gelmini.
In prospettiva, il Governo in carica ha intenzione (di nuovo) di modificare l’assetto accademico italiano. Le stesse forze politiche, o quasi, nel 2004-2005 fecero una riforma universitaria (Riforma Moratti) che andasse a colmare-implementare le problematiche e i vuoti scaturiti dalla precedente riforma del 1999 (Riforma Zecchino-Berlinguer) sulla base delle direttive europee.
Le motivazioni addotte per tutti questi rimestamenti legislativi possono essere individuate nella volontà di:
- Innalzare la qualità del lavoro e del mercato (dei lavoratori);
- Allinearsi al modello accademico europeo;
- Contenere la spesa pubblica;
- Migliorare la qualità dell’insegnamento;
- Limitare o eliminare i corporativismi (baronati) all’interno dell’accademia italiana;
- Riportare il genio italiano in patria (ovvero sanare il fenomeno della fuga dei cervelli);
- Estendere il diritto allo studio.

Ora, i continui interventi relativi all’università indicano che le formule legislative precedentemente adoperate non hanno funzionato o addirittura hanno peggiorato la situazione. Non si spiegherebbe altrimenti la continua riformulazione, i continui “aggiustamenti” apportati al settore accademico.
In realtà, confezionando una riforma ogni cinque o sei anni (1999, 2004, 2010?) non si ha neanche il tempo per capire se “la potatura ha dato i suoi frutti”, se la generazione di laureati “prodotta” sia più appetibile per il mercato del lavoro nazionale ed europeo. O forse bisogna intendere le varie riforme come tappe di un’unica macro-trasformazione riformativa.
Negli ultimi dieci anni si sono create tre generazioni differenti di studenti e di laureati, con percorsi accademici differenti e allo stesso mercato del lavoro non è stato dato il tempo di assorbire una sola di queste generazione.

Il caso Milano-Bicocca
Nell’aprile del 2010, sei facoltà su otto (tutte tranne Giurisprudenza ed Economia) hanno presentato delle mozioni ai propri consigli di facoltà, in cui i piani di studio venivano approvati con riserva. Tale riserva considerava la possibilità, da parte dei ricercatori, di ritirare la propria disponibilità all’insegnamento se il DDL 1905 non avesse subito modifiche sostanziali durante l’iter legislativo. In giugno il DDL passa dalla commissione incaricata al Senato, che lo approva nel mese successivo senza alcun cambiamento sostanziale.
A questo punto i ricercatori delle Facoltà di Psicologia, Medicina e Scienze matematiche fisiche naturali hanno ribadito la loro astensione dalla didattica, quale forma di protesta contro una possibile approvazione in toto del DDL, che comporterebbe due conseguenze: meno denaro in busta paga e la cancellazione di alcuni corsi tenuti da anni dai ricercatori in questione.
Considerando che queste tre facoltà da sole rappresentano circa il 54 % dei ricercatori della Bicocca (224/412) l’inizio dell’anno accademico è stato rimandato di una o due settimane.

Il ricercatore in Italia, perché protesta?
Di fatto, il ricercatore non è obbligato ad esercitare la didattica frontale, che è un surplus a volte pagato a volte gratuito.
Con l’attuale DDL 1905, per avanzare nella carriera accademica servirà avere un curriculum vitae competitivo in campo scientifico (titoli, pubblicazioni...) e le ore investite nell’insegnamento e nelle prove d’esame non apporteranno nessun benefit per la carriera.

La ricerca con il DDL 1905
Cosa ne sarà della qualità della ricerca? Per fortuna il DDL 1905 pensa anche a questo, regolando alcune norme già esistenti nella 133/08, ovvero la privatizzazione delle università mascherata da fondazione. Sarà il privato e quindi la logica del profitto a regolamentare l'attività di ricerca. Cosa ne sarà allora di tutte quelle ricerche che, come quella medica nel campo delle malattie rare, non producono frutti immediati?

Denis Trivellato

26 ottobre 2010

TOP 10 DELLE TEORIE COSPIRATIVE PIU’ ASSURDE – PARTE PRIMA

10. IL POLLO FRITTO PROVOCA STERILITA’
Ma solo in individui di sesso maschile e dalla pelle nera. Questa vecchia leggenda metropolitana sarebbe legata agli studi sulla sifilide portati avanti sulla popolazione afroamericana di Tuskegee, in Alabama. Secondo un’altra versione, il responsabile della sterilità sarebbe il pollo fritto della Kentucky Fried Chicken, che in realtà è guidato dal Ku-Klux-Klan. Dettaglio che non contribuisce a eliminare da questa teoria una leggera sfumatura di razzismo.
Credibilità: Inesistente

9. SHAKESPEARE ERA UNA DONNA
Non avete mai sospettato un raffinato tocco femminile dietro i doppi sensi in “Sogno di una notte di mezza estate”? O il desiderio di riscatto del sesso debole come motore della perfidia di Lady Machbeth?
Lo scienziato John Hudson, che ci ha pensato prima di voi, ritiene che ciò avvenga perché il poeta cinquecentesco era in realtà una donna ebrea di origine italiana, Amelia Bassano Lanier, autrice realmente esistita e sospettata di usare lo pseudonimo di William Shakespeare per pubblicare i suoi lavori migliori, possibilità negata alle donne nella Londra elisabettiana.
A sostegno di questa teoria, alcune analogie tecniche nel linguaggio dei due artisti e la presenza dei tre nomi della Lanier in altrettante opere del bardo immortale.
Ma non è la prima volta che qualcuno cerca di dare un’identità femminile a Shakespeare, che nel corso degli anni è stato considerato l’alter ego della contessa Mary Sidney o della Regina Elisabetta. Se non siete convinti, nulla vieta di contestare Hudson, magari citando le parole di Amleto a Ofelia: “Ma vatti a chiuderti in convento!”.
Credibilità: Rasoterra

8. LASCIATE RIPOSARE COBAIN IN PACE (ALLE SEICHELLES!)
8 Aprile 1994: Kurt Cobain è stato ritrovato morto nella sua casa sul lago Washington. Il rapporto del medico legale dichiara il suicidio, ma i fan non sono convinti.
Prima di morire per una pallottola in testa, Kurt si era iniettato eroina pari a tre volte la dose normalmente letale per una persona. Perché, se si voleva sparare?
E come ha fatto dopo una dose cosi massiccia di droga?
Inoltre una delle carte di credito di Kurt mancava quando fu ritrovato il suo corpo e
qualcuno cercò di usarla ripetutamente dopo la sua morte per prelevare somme molto alte.
I tentativi cessarono quando il suo corpo fu ritrovato. Inoltre la scena che si ritrovò davanti la polizia non indicava affatto un suicidio: fu la moglie Courtney Love a suggerire così alla polizia.
La teoria più dilagante tra gli inconsolabili fan del grunge vuole questa morte un omicidio architettato dalla vedova, malamente travestito da suicidio e fortuitamente impunito.
Anche se ogni tanto qualcuno giura di averlo avvistato, vivo e vegeto. Magari a braccetto con Jim Morrison e John Lennon. Manca Elvis, ma è assente giustificato: partecipa ogni anno a un concorso di sosia del re del rock’n’roll. Ma perde sempre…
Credibilità: Bassina

7. L’ALLUNAGGIO E’ STATO UNA BUFALA
20 luglio 1969. Il mondo intero ha lo sguardo incollato al televisore per assistere alla diretta del primo uomo sulla luna. Siamo in piena guerra fredda e subito si diffonde l’idea che l’atterraggio sia un falso girato in studio addirittura dal regista Kubrick. Il tutto in un estremo tentativo della NASA di battere sul tempo i rivali sovietici. Per ammissione dello stesso Neil Armstrong alcune di quelle immagini sono fotomontaggi realizzati perchè lui e soci si erano dimenticati, ad esempio, di posare accanto alla bandiera americana. Come se sulla Luna ci fossero molte altre cose da vedere che non prevedano crateri e polverone.
Questa teoria è in calo di credibilità: se nel 1970 ci credeva un terzo degli intervistati, oggi è solo il 6%.
Credibilità: medio/bassa – perché scervellarti quando puoi divertirti allo stesso modo al cinema?

6. IL GOVERNO USA E’ IL MANDANTE DELL’11/9
Secondo questa tesi Al Qaeda è assolutamente estranea agli attentati del 2001, che sarebbero stati invece organizzati dalla Casa Bianca per giustificare la guerra in Iraq, conflitto che avrebbe portato quattrini agli amici della famiglia Bush, ma che George W. aveva qualche problemino a giustificare al corpo elettorale. Sostiene questa idea il documentario “Loose Change” per il quale nessun aereo si è schiantato contro il Pentagono. Le immagini mostrate al rallentatore evidenziano che nessuna figura si è abbattuta sul ministero della difesa, si vede solo una grande esplosione. La carcassa non è mai stata ritrovata e il carburatore non può polverizzare un Boeing 757, cos’è successo dunque? Niente aereo = niente terroristi = azione dall’interno. A questo punto mettete su la colonna sonora di Psycho perché è il momento di farsi delle domande: che cosa è successo davvero l’11 settembre 2001? Se non c’è stato nessun aereo, perché il governo americano dovrebbe mentire in maniera tanto spudorata? Quali altri segreti ci sta nascondendo? Credibilità: media.
Continua...
Elisa Costa

SEDIA A ROTELLE: UNA VITA SPEZZATA?

I posti auto per i diversamente abili sono sempre vuoti, quando si cerca parcheggio da mezz’ora il pensiero di non poterli occupare è frustrante. Certe disposizioni politically correct risultano perfino scomode a chi ha la fortuna di potersi definire “normale”. Ma sono anche l’unico mezzo che garantisce una parvenza di normalità a chi convive con un handicap.
Abbiamo voluto incontrare alcuni di loro e raccontarvi le loro storie.
Benvenuti nel mondo della sedia a rotelle: un universo parallelo che in fondo è uguale al nostro, solo visto da una diversa prospettiva.

ANTONIO, 49 anni, sulla sedia a rotelle dal 2003.
La sua moto travolta da un camion. Poi la corsa in ospedale, e le settimane in terapia intensiva sospeso tra la vita e la morte.
Questa parte della sua vita Antonio la chiama “il brutto incidente”, quella che per lui ha significato un limbo doloroso, fino alla definitiva, durissima diagnosi: la conferma che la sua vita si era spezzata. Tra la quarta e la quinta vertebra, per esattezza. Paralizzato dalle spalle in giù, questa la nuova realtà che ha dovuto accettare con se stesso e con la sua famiglia.
“É dal momento in cui ti siedi che iniziano i drammi. Io ho dovuto imparare a stare sulla carrozzina, conoscere la carrozzina, le mie forze e le mie barriere. A distanza di sette anni è ancora un continuo avanzare come i bambini piccoli. Qualche anno fa ho avuto la febbre altissima. Il dottore pensava avessi la colecistite, ho fatto l’intervento e sono stato meglio. Ma per la diagnosi è andato tutto a tentativi: non potevo dire “mi fa male qui, sarà questo”. Io non ho dolore. Chissà cos’è questo!”.
Antonio oggi lavora in un ufficio, guida la macchina e cerca di conciliare il più possibile il suo handicap con la volontà di una vita “normale”, anche se non è sempre facile. “Vorrei fare più attività fisica, ogni tanto vado a nuotare. Ma non sono molte le piscine attrezzate per chi è come me, mentre di palestre per fare sport non ce ne sono del tutto!”.
Alla fine dell’intervista, prima di andare Antonio ci racconta anche di quanti ragazzi ha conosciuto in questo ambiente, rimasti paralizzati da giovanissimi a causa di un incidente il sabato sera o di una bravata finita male. “Io ho una certa età, ma a sedici, diciassette anni sembra che uno non abbia vissuto davvero. E sono molti più di quanti si possa immaginare”.

A.B., 70 anni, poliomielitico dalla nascita, sulla sedia a rotelle da dieci anni.
Com’è muoversi a Milano in carrozzina?
Beh, la metropolitana non l’ho mai presa perché può succedere che l’ascensore funziona dove sali ma non dove arrivi. Anche con gli autobus non ho esperienze. Andare in giro per strada è pericolosissimo, il giorno che c’è il lavaggio delle strade parcheggiano le macchine sul marciapiede, con la carrozzina bisogna andare in strada ed è pericolosissimo.
Cos’è cambiato, relativamente alle cure, nel corso della sua vita?
L’attenzione è cambiata. Io ho camminato fino a 39 anni senza ausilio, sbattevo le gambe ovviamente, e se c’era vento forte perdevo l’equilibrio; una volta sono caduto. Quando sono andato in pensione, nel 2000, sono finito sulla carrozzina a causa dei dolori. Ciononostante non mi sono “seduto”, faccio molte cose: data la mia esperienza in banca, curo gli interessi della mia famiglia e di altre persone. E poi faccio volontariato per il centro “Il Gabbiano”. Da qualche mese inoltre ho una nipotina da curare! Ogni tanto vado in parrocchia, e ultimamente faccio anche teatro.
Per quanto riguarda la vita domestica, è la casa ad adattarsi a lei o è lei ad adattarsi alla casa?
Sono io ad essermi adattato, e non ho chiesto alla casa niente in più di quello che ho. C’è un seggiolino tra water e lavandino, e un altro a cui mi appoggio, ma sono seggiolini dell’ Ikea per intenderci! Nella doccia abbiamo tolto un vetro, così riesco ad entrare, e c’è un seggiolino. Solo queste cose.
Tiriamo le somme: cosa le toglie e cosa le dà la sua condizione?
Mi toglie tanto. Pensa che non ho un ricordo di vita sana. Cosa mi ha dato… ecco, guardiamola dal lato positivo, mi ha dato una famiglia, un diritto al lavoro in quanto categoria protetta, per essere alla pari con gli altri. Nella vita c’è il buono e c’è il cattivo, il cattivo

X, 54 anni, affetto dal morbo di Wilson da quando aveva 24 anni.
X ha un nome, un cognome e due bellissimi occhi azzurri, ma per ragioni di privacy possiamo parlare solo di questi ultimi. Sono il primo e più immediato mezzo che lui ha per comunicare. L’altro è una macchinetta rossa dalle lettere usurate, che impiega per scrivere brevi messaggi. Ma per rilasciare questa intervista ha voluto a tutti i costi battere le sue risposte sulla tastiera del proprio computer.
Come hai attrezzato casa alle tue esigenze?
Cerco di adattarmi io.
Cosa ti piace fare, di solito?
Uscire. Di solito al bar.
Come ti trovi a girare per Milano con la carrozzella?
Male. Molto male. (Dietro di lui Giacomo Marinini, presidente dell’associazione “Il Gabbiano”, ricorda di quando sono andati al museo di Storia Naturale e non hanno incontrato problemi né con l’ATM né con la struttura. X ci pensa un attimo, poi prende a battere) Sì, ma è stato un caso. In genere gli autobus hanno la pedana, ma è rotta!
Che rapporto hai con le altre persone?
Buono. Anche perché io sono molto socievole quando sono fuori.

DAVIDE, 24 anni, affetto da tetraparesi spastica e MICHELE, 23 anni, affetto da spina bifida. Entrambi studenti alla Statale di Milano
Com’è muoversi a Milano con la carrozzina?
D: È complicato, non in tutti i marciapiedi ci sono gli scivoli. Clamorosamente ce ne sono più in periferia che in centro. Tram ed autobus sono accessibili, a parte quelli vecchi che non sono più molto frequenti. Noi abbiamo a disposizione un pulmino, gratis per me e per un accompagnatore, basta fare una tessera per disabili.
M: Io aggiungo solo una chicca: solo la linea gialla della metro ha gli ascensori, non in tutte le stazioni, e in piazza Duomo ce n’è uno solo. In Centrale non esiste nemmeno, c’è un montascale che una volta su 2 non funziona. E la scala mobile per un disabile in carrozzina è impraticabile, vuol dire rompersi l’osso del collo.
E in università?
D: È tutto a posto, diciamo che nella sede di Scienze Politiche non ci sono posti dove non si può accedere.
M: In Festa del Perdono è un po’ diverso, non si può raggiungere Crociera Alta perché l’ascensore è troppo stretto. L’ultima volta mi hanno aiutato in quattro sulle scale.
D: Uno dei due ascensori vicini all’Aula Magna è largo abbastanza per noi, ma non arriva a tutti i piani.
E proprio nell’atrio dell’Aula Magna hanno appena rifatto la rampa, allungandola e facendula girare ad angolo, che ne pensate?
D: È una cosa buona, ma fare quella rampa è faticoso, pur essendo a norma, perché l’inclinazione c’è. Io mi sono dovuto far spingere: non vuol dire che da solo non ce la fai, però arrivi stanchissimo. Ad ogni modo non potevano fare di meglio con lo spazio che avevano.
M: Per farla da soli occorrono una forza ed un fiato enormi, perché è pendente e lunga pur essendo appunto a norma, ma con una mano si fa.
Come vi organizzate per uscire la sera?
D: Nella maggior parte dei locali non si riesce ad entrare se si ha la carrozzina elettrica, perché spesso c’è un gradino alto.
M: Infatti, quattro persone possono sollevare una carrozzina “semplice”, mentre non ce la fanno con una elettrica con motore e tutto.
D: La cosa assurda poi è che in molti locali pubblici non c’è il bagno per disabili.
M: Però qualcuno lo trovi, dai. Se ti sbatti un po’ li trovi.
E voglia di sbattersi, di darsi da fare, tutte queste persone ne hanno da vendere. Conciliare la forzata dipendenza dalla sedia a rotelle con il naturale desiderio di autonomia è una sfida non da poco, ma perseguita con grande coraggio, e spesso con poca risonanza nella vita delle persone “normali”. Noi, portando all’attenzione di voi lettori le loro storie, speriamo quantomeno di avervi stimolato a guardarvi intorno da un’altra prospettiva, e magari a pensarci su prima di parcheggiare senza problemi sul marciapiede.

Elisa Costa e Alice Manti
Associazione “Il Gabbiano - noi come gli altri”
Tra le persone che abbiamo intervistato due ci sono state indicate dall’associazione ONLUS “Il Gabbiano”, che ha sede operativa in via Ceriani 3 (zona Baggio). È dotata di una comunità alloggi e si propone di creare occasioni di svago, di dare supporto psicologico alle persone disabili e alle loro famiglie mediante un Centro d’Ascolto. Fornisce inoltre servizi di orientamento e consulenza legale.
L’Associazione è in cerca di volontari: chi fosse interessato può contattare i responsabili allo 0248911230, o mandare una mail all’indirizzo associazionegabbiano@tiscali.it

22 ottobre 2010

La Festa del Teatro

Un’iniziativa per far avvicinare il grande pubblico allo spettacolo dal vivo, proponendo prezzi simbolici da 0 a 4 euro.

Uno dei tanti motivi per cui i giovani non vanno a teatro, oltre alla poca conoscenza di questa arte, è l’ostacolo insormontabile dei prezzi dei biglietti, che viaggiano da 15 euro fino ad arrivare a cifre esorbitanti a seconda del teatro cui ci rivolgiamo. Fortunatamente Milano dispone di molte sale teatrali e andando oltre le pochissime informazioni che si ricevono sui programmi delle stagioni, è possibile godersi qualche serata a basso prezzo. La Festa del Teatro abbatte qualsiasi problema di prezzo, vendendo biglietti a pochi euro per un grosso circuito teatrale che comprende anche il Piccolo e i maggiori teatri di Milano. Un’occasione da non perdere per chi è appassionato, un’opportunità per chi cerca di avvicinarsi da tempo al mondo del teatro. Per tre anni la provincia di Milano ha organizzato questo evento, riscuotendo particolare successo e registrando il tutto esaurito su parecchie date – l’evento dura circa un week end, solitamente in periodo autunnale. Quest’anno per la città non si sono visti i cartelloni che promuovono l’evento, i giornali non ne hanno parlato, né si sono avute avvisaglie dai teatri. Sul sito della provincia di Milano si legge un comunicato del vice presidente e assessore alla cultura Maerna che si dice lieto di una nuova partecipazione alla Festa del Teatro da parte della provincia. In un'altra pagina dedicata alla Festa si può leggere che la nuova edizione è in programmazione. Qualche accenno sulla presenza allo Spazio Oberdan del maestro Pasquale Squitieri, che racconterà le sue esperienze legate al mondo teatrale e cinematografico: un po’ poco.
Una veloce ricerca però svela che le redini dell’organizzazione, a quanto pare, sono passate in mano alla provincia di Monza e Brianza. Chiare, infatti, le dichiarazioni del presidente di provincia Dario Allevi:“Dopo il grande successo della 1° Festa del Cinema MB la scorsa settimana, proponiamo la Festa del Teatro come ulteriore occasione per dimostrare la grande vivacità culturale della nostra Brianza”. Aggiunge Enrico Elli, assessore alla cultura: “Questa edizione della Festa del Teatro è la prima targata solo MB, completamente autonoma rispetto agli altri anni, quale espressione di una consapevole volontà della Provincia di indirizzare risorse, energie ed investimenti nel teatro, un importante strumento di crescita culturale e di valorizzazione per il nostro territorio. È una Festa che idealmente dà l’avvio a tutte le stagioni teatrali della Brianza e costituisce, così, un’occasione privilegiata per presentarle nel meglio della loro produzione. L’ampio successo delle scorse edizioni testimonia come la Festa sia attesa e accolta con entusiasmo da un pubblico sempre più vasto ed eterogeneo, che apprezza spettacoli coinvolgenti, di elevata qualità e di sicuro interesse: un risultato per il quale desidero ringraziare tutti gli organizzatori e collaboratori”.
Il programma della Festa con date, orari, teatri e tariffe è disponibile sul sito internet di Lombardia spettacolo e viene presentato on line tramite un filmato.
Novità della stagione è l’introduzione del progetto “Lirica in Brianza”: nasce un piccolo circuito lirico in grado di proporre 5 importanti rappresentazioni sui palcoscenici dei principali comuni della provincia. Non saranno solo gli spazi convenzionali del teatro al centro della Festa, ma anche i foyer, le biblioteche e lo stesso parco di Monza. Questi i comuni coinvolti: Monza, Arcore, Bovisio Masciago, Brugherio, Cesano Maderno, Concorezzo, Limbiate, Nova Milanese, Seregno e Vimercate.
Non è chiaro, dunque, il ruolo della provincia di Milano: se avrà una parte principale nell’organizzazione in altro periodo, se collaborerà con la provincia di Monza o se ha rinunciato del tutto alla Festa del Teatro – una decisione, quest’ultima, davvero inspiegabile. La mancanza di informazioni non aiuta il panorama teatrale milanese, già in ombra durante il periodo dell’anno e in difficoltà economica. Se poi vengono oscurate anche le iniziative che porterebbero nuovi spettatori e nuove entrate, si dà il definitivo colpo di grazia. Ancora una volta il mondo teatrale sembra dunque destinato una élite e quindi a essere poco considerato dal grande pubblico, con il rischio di ‘ingabbiare’ la realtà teatrale solamente nelle uniche due strutture conosciute perché famose in tutto il mondo: la Scala e il Piccolo. Milano, in verità, sarebbe in grado di offrire molto di più, grazie alle numerose sale presenti. Ma tra la Festa che rimane avvolta dalle nelle nebbie della mala informazione e la chiusura di piccoli enti teatrali, resta difficile infrangere l’idea del teatro come arte per pochi. Non fu certo un caso che quando Strehler e Grassi aprirono le porte del Piccolo, nel 1947, lo definirono un teatro d’arte per tutti.

Daniele Colombi

21 ottobre 2010

IL CLIMA STA CAMBIANDO: Cosa fa l'UE? Cosa possiamo fare noi?


Il cambiamento del clima e le sue conseguenze sono uno degli argomenti più dibattuti degli ultimi anni.
Quali passi sono stati fatti a livello internazionale per affrontare la situazione?
Con il protocollo di Montreal (entrato in vigore 1 gennaio 1989) sono stati banditi i cloro fluoro carburi (CFC) gas serra creati dal' uomo, non presenti in natura. Altro traguardo importante è stato raggiunto con il protocollo di Kyoto -entrato in vigore nel 2005- che impone l'obbligo ai paesi industrializzati di operare una riduzione delle emissioni di ben altri cinque gas serra (ovvero metano, ossido di azoto, idrofluorocarburi, perfluorocarburi ed esafluoruro di zolfo) oltre all'anidride carbonica, in una misura non inferiore al 5% rispetto alle emissioni registrate nel 1990 — considerato come anno base — nel periodo 2008-2012. Grandi speranze si riponevano nel vertice di Copenaghen che però si è concluso il 19 dicembre dell'anno scorso con un deludente accordo non vincolante.

L'unione europea, che era pronta a ridurre le proprie emissioni del 30% se anche gli altri paesi industrializzati avessero assunto impegni analoghi, in seguito al risultato insoddisfacente si è impegnata comunque a ridurre le proprie emissioni entro il 2020 di almeno il 20% rispetto ai livelli del 1990.

Concretamente quali sono le misure adottate dall' UE?
La misura di gran lunga più importante, sviluppata nell'ambito del programma europeo per il cambiamento climatico (ECCP), è il sistema di scambio delle quote di emissione (ETS), varato all'inizio del 2005.
Gli stati dell'UE concedono a ciascun impianto o centrale elettrica il diritto di emettere ogni anno un determinato quantitativo di anidride carbonica, le cosiddette quote di emissione. Sono fissate penali molto elevate per le imprese che sforano, mentre gli impianti che emettono meno anidride carbonica possono vendere le quote di emissione inutilizzate ad altri impianti. Un importante incentivo finanziario per le imprese, incoraggiate a ridurre le proprie emissioni adottando nuove tecnologie, con risvolti positivi non solo per l'immagine dell'azienda, ma anche dal punto di vista economico. Il tetto delle emissioni consentite viene ridotto di anno in anno dagli Stati. In realtà l'attuale sistema prevede ben ventisette tetti diversi, ma a partire del 2013 dovrebbe essere stabilito un limite unico per tutti i Paesi appartenenti all'UE.
Il sistema si applica attualmente a 11.000 centrali elettriche e impianti ad alto consumo, che nel loro complesso sono responsabili di quasi la metà delle emissioni di anidride carbonica nell'Unione.
Nel 2012 l' ETS sarà esteso anche alle emissioni derivanti dal trasporto aereo.
Per il periodo 2007-2013 l'Unione Europea ha aumentato il proprio budget per la ricerca nel campo dell'ambiente e dell'energia fino a 8,4 miliardi di euro. Un altro passo avanti è stato l'incentivo dato allo sviluppo delle tecnologie CCS (cattura e stoccaggio di biossido di carbonio), che consentono di catturare l'anidride carbonica emessa dai processi industriali e di stoccarla sottoterra, dove non può contribuire al riscaldamento globale.
L' Uninone Europea ha inoltre attuato varie strategie per mettere in condizione anche i Paesi in via di sviluppo di sostenere un industria compatibile con la nuova emergenza climatica e si è anche impegnata a stanziare a 2,4 miliardi di euro nell'ambito dell'assistenza finanziaria annua a questi Paesi nel periodo 2010-2012.


I cambiamenti climatici sono un problema mondiale ed è sicuramente necessaria un azione decisa a livello globale, ma anche il comportamento dei singoli individui può fare la differenza.
Cosa possiamo fare noi per diminuire le emissioni dei gas a effetto serra?
Ci sono i soliti piccoli accorgimenti più o meno conosciuti che vanno dal non lasciare il carica batterie del cellulare attaccato alla presa, al prendere lampadine a basso consumo, dal non lasciare elettrodomestici (come il computer o la tv) inutilmente accesi al non usare l'auto se non è strettamente necessario (le automobili private producono il 12% delle emissioni di anidride carbonica).
Soluzioni indubbiamente efficaci ma meno alla portata di tutti consistono nel passare a un fornitore di elettricità verde (quindi che proviene da fonti di energia rinnovabile), prendere auto a basso consumo, acquistare quando possibile prodotti con il marchio ecologico europeo (che indica che i prodotti soddisfano rigide norme ambientali), scegliere hotel e destinazioni per le vacanze che perseguono obbiettivi ambientali.
Quindi due sono le cose principali che ognuno di noi può fare: consumare responsabilmente (orientando così anche la produzione verso la sostenibilità ambientale come già avviene nei paesi del nord Europa) e fare pressione come cittadini verso chi ci rappresentata, dicendo forte e chiaro che vogliamo un mondo pulito per noi e per le generazioni future.
* fonti: "L'azione dell'UE contro il cambiamento climatico" e "i cambiamenti climatici: che cosa sono?" pubblicati dalla commissione europea.

Elena Sangalli

VIVERE IL TEATRO A MILANO: Il seminario di Stefano de Luca e l'associazione Cicale dell'Arconte

In un momento poco felice per il panorama teatrale milanese, segnato dalla chiusura del Teatro Libero, ecco alcuni suggerimenti per chi desidera vivere in maniera diretta e partecipativa la realtà teatrale meneghina.

Il 10 novembre avrà inizio a Milano il nuovo laboratorio condotto da Stefano de Luca.
Probabilmente, se non siete iscritti alla facoltà di scienze dello spettacolo o se non siete assidui frequentatori del Piccolo Teatro, questo nome vi dirà poco. In tal caso, eccovi alcuni ragguagli. Steafano de Luca è uno tra i registi teatrali più attivi a Milano. Si diploma nel '90 alla Scuola del Piccolo Teatro di Milano, diretta da Giorgio Strehler (personalità mitica nel panorama teatrale italiano, che insieme a Luchino Visconti ha legittimato la regia come forma d’arte).
Nel '95 frequenta il primo corso per assistenti alla regia di Strehler; seguono seminari con Peter Brook, Ian Mc Kellen, Carolyn Carlson al Piccolo Teatro, Cecily Berry alla Royal Shakespeare Company. Non contento, decide di frequentare anche la scuola di Lev Dodin al Maly Teatr di San Pietroburgo, per un corso di perfezionamento. In seguito lavora come assistente alla regia di Giorgio Strehler, dal 1995 al 1997 e, dopo la morte del grande Maestro, di Lamberto Pugelli, Carlo Battistoni, Ferruccio Soleri e Guido Ceronetti.
Ha insegnato all'Accademy of Film and Drama di Budapest, all'Accademia alla Scala di Milano, alla Escuela superior de Arte Dramatica di Valencia, all'UCLA di Los Angeles, alla Shangai Theatre Academy.
Ora che Stefano de Luca vi è più noto, e se coltivate ambizioni artistiche e teatrali o fra di voi c'è un aspirante attore o regista, meglio se motivato da forte passione e con qualche esperienza di palcoscenico alle spalle, vi potrà far piacere sapere che parte a novembre un nuovo seminario tenuto dal regista ed organizzato dall'associazione culturale no-profit Le Cicale dell'Arconte. Il laboratorio si compone di trenta ore complessive di lavoro. Si aggiungono quindici ore di dimostrazioni aperte del lavoro con la compagnia Lupus/Agnus sullo spettacolo Verginella, durante le giornate del seminario.

L'associazione le Cicale dell'Arconte nasce con lo scopo di creare nella città di Milano un nuovo punto di incontro per la diffusione e la condivisione della cultura teatrale e delle arti visive. E' composta da un gruppo di lavoro di giovani con competenze diversificate, accomunati dall'esigenza di mettere a confronto l'esperienza di Maestri internazionali, con quella di realtà professionali presenti sul territorio ed ha come primo interesse la creazione di un laboratorio permanente dove ci si interroghi sul processo creativo. Un progetto che sta particolarmente a cuore all'associazione è la volontà di creare una realtà economicamente accessibile. La città di Milano offre infatti molte possibilità culturali e numerose occasioni per la fruizione dell’arte e del teatro, l’incontro tra i due mondi però, spesso risulta essere il frutto di commissioni esterne in stretta dipendenza da esigenze commerciali. Per quanto riguarda la pedagogia e la formazione, la città propone soluzioni legate a contesti accademici accessibili ad un numero limitato di partecipanti oppure corsi professionali di formazione teatrale ed artistica che limitano ugualmente la partecipazione, risultando inaccessibili dal punto di vista economico.
Milano, accanto ai settori culturali più in vista a livello internazionale, moda e design, offre occasioni di condivisione artistica con grandi mostre d’arte, dei più famosi pittori del passato, grandi fiere d’arte contemporanea e moderna, fondazioni che si occupano di portare anche da noi artisti conclamati in tutto il mondo, ma, la fruizione, in ognuno di questi momenti, si sviluppa sempre in una direttrice esterna: il pubblico è sempre e soltanto pubblico e non partecipa al processo creativo: prende atto dell’esistenza di tali artisti, che però non interagiscono col territorio e con l’identità della città, e rimangono in loco per il tempo previsto dalla mostra per poi sparire senza lasciare tracce significative.
Le Cicale dell'Arconte si propongono di diffondere la cultura teatrale e artistica per mezzo di progetti strutturati secondo momenti di formazione, stage, seminari e workshop tenuti da Maestri teatrali, esponenti delle arti visive e giovani artisti internazionali, e momenti di condivisione del lavoro svolto con la comunità milanese, grazie a open class e installazioni artistiche, che hanno come location luoghi fortemente frequentati dalla collettività milanese.
Le Cicale vogliono interagire direttamente con tutti coloro che desiderino dare un'occhiata al lavoro svolto e dare la propria opinione in proposito, vi invitiamo pertanto a visitare il sito
http://www.lecicaledellarconte.com/

troverete anche tutte le informazioni riguardanti il laboratorio di Stefano de Luca.

Irene Rossetto

20 ottobre 2010

IL CLIMA STA CAMBIANDO: IL RISCALDAMENTO GLOBALE

Secondo il quarto rapporto di valutazione del Comitato intergovernativo sul cambiamento climatico (IPCC), redatto nel 2007, la temperatura del pianeta è aumentata in media di 0,76 gradi rispetto ai livelli preindustriali e la tendenza è in continua accelerazione. L'atmosfera si sta surriscaldando, ma perché?

Il clima sta cambiando per il forte aumento delle emissioni dei gas a effetto serra. Questi gas (anidride carbonica, metano e vapore acqueo) sono in realtà essenziali per la vita sul nostro pianeta, infatti lasciano filtrare la luce solare e trattengono parte dei raggi infrarossi che, riflessi dalla superficie, riscaldando il pianeta. Senza l'effetto serra la temperatura al suolo sarebbe di -18 gradi. I gas serra quindi vengono prodotti in natura, ma dall'inizio della rivoluzione industriale anche la società umana li immette nell'atmosfera. Questo avviene soprattutto con l'anidride carbonica, che viene liberata bruciando i combustibili fossili come carbone, petrolio e metano.
In 150 anni, in particolare negli ultimi trenta, abbiamo bruciato gran parte di questi combustibili e rilasciato i loro gas nell'atmosfera in un brevissimo lasso di tempo, se paragonato alla vita del nostro pianeta. Ma dov'è il problema? Alzi la mano chi non ha sentito ripetere all'infinito a scuola la storia della fotosintesi clorofilliana: gli alberi assorbono l'anidride carbonica e immettono nell'atmosfera ossigeno. Un po' meno risaputo è che il mare assorbe quantità industriali di questo gas. La terra quindi ha dei meccanismi efficienti per mantenere l'equilibrio dei gas nell'atmosfera... peccato che non bastino più! Complice la deforestazione, meno della metà dell'anidride carbonica attualmente prodotta viene riassorbita!

I rapporti dell’ IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) dicono che se la temperatura cresce più di due gradi rispetto ai livelli preindustriali il cambiamento climatico sarebbe pericolosissimo e irreversibile. Ci sarebbe uno scenario quasi apocalittico: ondate di caldo, ondate di freddo, siccità, tifoni, uragani, alluvioni e aumento delle malattie (soprattutto quelle trasmesse dagli insetti come la malaria).
A causa dello scioglimento delle calotte polari il livello del mare si sta alzando velocemente. Se ci fosse il famoso aumento di due gradi la pianura padano-veneta verrebbe sommersa; questo poi non sarebbe niente a confronto con la nuova era glaciale, ipotizzata da alcuni scienziati, che a causa dello scioglimento dei ghiacci della Groenlandia, renderebbe gelida la corrente del Golfo, tanto importante per il nostro ecosistema.
Se non si prenderanno provvedimenti per ridurre le emissioni, nel prossimo futuro la temperatura, nel migliore dei casi, aumenterà ancora di 1,8 gradi e nel peggiore di 6,4 rispetto all'era preindustriale. Considerando che già è aumentata di 0,76 gradi queste stime non si possono ignorare. Che fare per restare entro la soglia dei due gradi? Anche se smettessimo subito di emettere anidride carbonica il pianeta ci metterebbe 200 anni a smaltirla quindi la temperatura aumenterebbe lo stesso ancora per un bel po'. Dato che tornare indietro non si può, l'aumento attuale dobbiamo tenercelo. Però se vogliamo mantenere l'innalzamento della temperatura al di sotto della fatidica soglia dei due gradi si devono quantomeno stabilizzare le emissioni globale dei gas serra entro il 2020, per poi ridurle del 50% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2050.
Chi emette tutta questa anidride carbonica? Il primo premio va al settore energetico per la produzione di energia elettrica, a partire dalla combustione di riserve fossili (immette circa il 40% dei gas serra prodotti dall'uomo), ma anche le industrie manifatturiere, il traffico stradale e aereo, e il riscaldamento urbano fanno la loro parte.

Solo il 30% della popolazione terrestre, quella dei paesi industrializzati, consuma il 70% dell'energia richiesta. In queste condizioni come si fa a convincere i paesi in via di sviluppo che le emissioni dei gas serra vanno diminuite? Le innovazioni tecnologiche, che servono per questo obiettivo, costano e possono essere introdotte solo con politiche ambientali forti, coerenti e durature. Anche i paesi più avanzati fanno fatica ad adeguarsi, nonostante le spinte della società civile. La strada è però obbligatoria per tutti.
Cosa possiamo fare noi per ridurre le emissioni dei gas serra? Cosa sta facendo l'Unione Europea?

continua....

Elena Sangalli

17 ottobre 2010

RIASCOLTIAMOLI: NOT MOVING – “SONG OF MYSELF” (Wide, 1989)


Da un’enciclopedia dedicata alla musica rock: “l’ultimo album del gruppo esce nel 1989 e consiste in un interessante progetto a sostegno degli Indiani d’America”.

Il nome deriva dall’omonimo brano dei DNA di Arto Lynsday presente in una compilation ‘mitica’ del 1978, “No New York”, che stravolse irrevocabilmente l’ortodosso approccio alla musica. Da allora il rock virò verso un rumorismo che divenne arte (leggi Sonic Youth), anche se quella proposta fu accolta negativamente sia dal pubblico che dalla critica.
Per tornare al gruppo, bisogna dire che sono originari di Piacenza e sono stati fra i più significativi dell’underground italiano negli anni ’80. Proprio in questo decennio la scena rock italiana è tra le più vive, interessanti e propositive: Litfiba e Diaframma a Firenze, orientati verso sonorità dark-new wave, Skiantos e CCCP in Emilia, più orientati verso sonorità grezze e ‘sporche’. Pochi anni, questi, in cui l’Italia si è avvicinata al resto del mondo.

“Strange Dolls”, pubblicato dall’etichetta Electric Eye, è il loro debutto nel 1982. Si tratta di un Ep contenente 4 canzoni.
La line-up dei primi anni conta sulla cantante Lilith, il chitarrista Paolo Molinari, la tastierista Maria Severine, il bassista Dany e il batterista Tony Face (proveniente da una delle prime band hardcore italiane: i Chelsea Hotel).
Nel loro sound alternativo si ritrovano tracce di rock’n’roll, blues e garage. Le loro influenze dichiarate: Cramps , gli X , i Gun Club ma anche la psichedelica dei 60s (13 Floor Elevators e Seeds in particolare), la surf music e il punk rock di stampo newyorkese (Patti Smith, Dead Boys, New York Dolls e Stooges, il gruppo di Iggy Pop).
Il loro primo vero album è del 1986: “Sinnermen” (pubblicato dalla neonata label toscana Spittle Records ). Il gruppo dura ancora qualche mese, per poi dividersi in due : dopo il trasferimento di un chitarrista in Danimarca, anche il bassista “Dany” abbandona per emigrare in Germania.
Particolarmente meritevole di attenzione è però il loro ultimo album, dal titolo “Song of Myself”, accreditato a LANCE HENSON & FRIENDS.

Tra i numerosi ospiti c’è Giovanni Lindo Ferretti (allora cantante dei CCCP), parte dei Negazione, Luca Re dei Sick Rose e soprattutto il Cheyenne Lance Henson, un Nativo americano, poeta tra i più rappresentativi della letteratura americana contemporanea, dal 1978 attivamente impegnato nella lotta per i diritti dei Cheyenne e delle popolazioni indigene nel mondo.
L’album è composto da nove tracce in lingua inglese, come del resto tutti i lavori dei Not Moving: indizio di innumerevoli ore di ascolti di musica straniera e di volontà di avvicinarsi a un certo standard linguistico.
E’ un bellissimo incrocio di punk (vedi la canzone che porta il titolo del mini Lp), psichedelia (soprattutto in ‘The Ballad of Sister Snake’, con qualche ricordo di Sid Barrett), poesia recitata e cantata.

E’ compresa anche una cover molto sentita di ‘Ohio’ di Neil Young. Si tratta di un potente brano rock diventato immediatamente un classico, composto subito dopo i tragici avvenimenti del 4 maggio 1970, data in cui quattro studenti vennero uccisi dalla Guardia Nazionale USA nel campus della Kent State University, nello Stato dell'Ohio. La rivisitazione è introdotta dalle urla di Ferretti e preceduta da una lirica di Lance Henson, “Another Song of America”: driving west on Ohio highway 76/just past the Kent state turnoff/a soft rain begins/God damm you america/what have you done to your children/the wind speaks their names/anyway you breathe it. (Un altro canto per l'America: Guidando verso ovest sulla statale 76 in Ohio/appena superato il raccordo per la Kent state/inizia una leggera pioggia/Dio ti maledica america/cosa hai fatto ai tuoi figli/il vento pronuncia i loro nomi/in qualunque modo tu respiri).
Anche l’introduzione delle altre canzoni contenute nell’album consiste nelle liriche del poeta, scandite in tono pacato e solenne.

Particolarmente riuscita e coinvolgente è la traccia numero 6: ‘They Will Fall’, interpretata dalla femminilità torbida di Lilith, anticipata dal riverbero di una chitarra elettrica e dall’espressivo suono di un violino. Il canto che la precede, “Peyote Song”, ci porta l’atmosfera pacifica di un mondo e una cultura lontani.
L’album è permeato da un senso di coralità in cui pare che nessuno voglia predominare, per lasciare così spazio a uno spirito collettivo autentico.
Stupisce positivamente il fatto che nella provincia italiana, nella culla della musica leggera tradizionalista e conservatrice, ancora più di vent’anni fa sia stato realizzato un lavoro di tale portata innovatrice.

E’ d’ esempio anche il loro impegno: “da sempre ci è cara la causa pellerossa”, dichiara il gruppo. E infatti nel 1994, dopo numerosi cambiamenti, i Not Moving si rifanno vivi con l’album “Homecoming”, ancora una volta vicino alle istanze della cultura nativa americana. Una band da riscoprire e un disco da riascoltare.
www.myspace.com/thenotmoving

Alessandro Manca

15 ottobre 2010

Si ai diritti, no ai ricatti.


Si ai diritti, no ai ricatti” è lo slogan della manifestazione nazionale indetta dalla FIOM che si terrà il 16 Ottobre a Roma e che vedrà la partecipazione non solo del mondo del lavoro ma anche di quello dell’istruzione. L’obiettivo è condiviso: chiedere allo Stato italiano un cambio di rotta in tema di diritti, che negli ultimi anni sono stati progressivamente sacrificati sull’altare del profitto.
Si ai diritti, no ai ricatti” è anche lo slogan dell’assemblea tenutasi a Milano, Lunedì 11 Ottobre presso l’aula magna dell’Università Bicocca, voluta dall’Attivo delegati FIOM-CGIL Lombardia.

I circa mille posti dell’aula magna si riempiono velocemente, come nelle grandi occasioni, e presto i partecipanti sono costretti a seguire in piedi negli spazi restanti. Un’altra volta mi è capitato di vedere quell’aula così gremita: era il 10 Marzo 2010 e l’occasione era il dibattito dal titolo “Epistemologia laica: le verità della scienza” con Margherita Hack come ospite d’onore. Allora il soggetto erano la scienza e la sua storia, in quell’aula si respirava un’atmosfera unica mentre venivano rievocate le lotte fondamentali dell’uomo per affermare la sua libertà, scevra da ogni tipo di condizionamento e vincolo.
Come allora anche Lunedì l’atmosfera rievocava un passato fiero di lotta, anche in questo caso per l’affermazione della libertà dell’individuo attraverso il riconoscimento dei suoi diritti.
Ideatore di questo evento non è il mondo accademico, ma quello del lavoro, un sindacato in particolare: la FIOM – Federazione Impiegati Operai Metallurgici.
Grazie a questo sindacato e alle lotte che lo vedono protagonista – una per tutte quella di Pomigliano – la funzione del sindacato come strumento sta recuperando la sua dignità. Negli ultimi anni, infatti, il ruolo dei sindacati è cambiato radicalmente. Il loro lavoro non riguarda più la promozione di nuovi diritti o la loro conservazione, ma una costante concertazione su quanto i diritti acquisiti nelle lotte del passato vadano ridotti.
Tra gli ospiti erano presenti Gert Bauer, segretario generale della IGM Reutilmgem – il sindacato tedesco dei metalmeccanici; Massimo Roccella, professore ordinario di Diritto del Lavoro presso l’Università di Torino; Vauro Senesi, giornalista e vignettista del Manifesto, noto ai più soprattutto per le vignette finali del programma di RAI2 “Annozero”; Maurizio Landini, Segretario Generale FIOM-CGIL Nazionale.
L’intervento conclusivo di Landini ha toccato temi fondamentali quali le recenti crisi economiche e l’eccessivo laissez faire delle Amministrazioni Pubbliche e Statali in materia, con particolare riferimento alla condizione italiana. Un discorso degno di nota, soprattutto quando ricorda che la FIOM non è isolata; che le lotte di cui si fa capo non si rivolgono solo agli operai iscritti ma a tutta la società, al fine di garantire tutti i diritti dell’individuo e non solo quelli del lavoro.
È proprio su questo tema, i diritti, che il 16 Ottobre a Roma la FIOM non sarà sola: nella manifestazione, infatti, sarà presente anche il mondo della scuola per il diritto allo studio e contro i tagli dei fondi pubblici.
Il 16 a Roma non verranno solo mosse delle critiche ma verranno proposte delle alternative, cosa che spesso viene dimenticata. Alternative che vedono al centro l’essere umano e i suoi diritti, e proposte che chiedono una maggiore presenza di quello Stato che in tempi recenti si è dimostrato spettatore impotente del decadente spettacolo generato da quell’astratto e non meglio definito soggetto che chiamiamo “mercato”.
La manifestazione vedrà studenti e operai sfilare insieme, dunque - come dovrebbe essere - nella lotta per i diritti dell’individuo, una rivendicazione dell’importanza dell’essere umano sopra ogni altra cosa, sia esso il profitto o l’economia stessa. Fatto, questo, significativo in quanto simbolo di una diversa concezione della società: unita, capace di manifestare concretamente il proprio dissenso e di proporre delle alternative, consapevole che il benessere di ogni singola sua parte è la premessa per il benessere collettivo.
L’augurio conclusivo dell’assemblea di Lunedì è stato quello che la manifestazione del 16 Ottobre possa segnare il punto di svolta per una società migliore.

Ce lo auguriamo tutti.


Davide Baresi

9 ottobre 2010

No Gelmini day – le foto dalla manifestazione di Milano

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Foto: Francesca Di Vaio

8 ottobre 2010: testimonianze dalla manifestazione contro la Riforma Gelmini

Sembra siano stati più di diecimila gli studenti che ieri, 8 ottobre 2010, hanno partecipato a Milano al corteo contro i tagli alla scuola promossi dal governo. Manifestazioni analoghe si sono svolte contemporaneamente in più di 80 città italiane e hanno coinvolto studenti delle scuole superiori, ricercatori universitari e alunni delle scuole medie.
Il corteo è partito alle 9.30 da piazza Cairoli e ha interessato diverse vie del centro città fino a dividersi intorno alle 11.00. Un gruppo ha continuato la protesta fino al Provveditorato di via Ripamonti mentre altri manifestanti hanno affollato la Statale in via Festa del Perdono.
Tra le richieste dei manifestanti: un aumento dei fondi destinati all’istruzione e maggiori sicurezze per tutti gli studenti e i ricercatori a rischio precariato.
Moltissimi i cartelloni, le provocazioni e gli striscioni in difesa dei diritti della scuola pubblica e contro il ministro Gelmini. Non mancavano anche fumogeni, caschetti gialli e carta igienica a simboleggiare la precarietà e la scuola a rotoli.


















H 9.00 I gruppi di studenti si ritrovano in Piazza Cairoli













La manifestazione ha avuto carattere pacifico, ad eccezione di alcuni scontri con la polizia in zona Missori e disordini nella sede di Festa del Perdono.

Assieme ai giovani anche molti insegnanti hanno partecipato al corteo.
“Una scuola che non rispetta gli studenti, che fa classi di quaranta alunni non è la scuola che vogliamo. Siamo contro la Gelmini perché abbiamo un’altra idea di scuola, perché crediamo nella centralità della scuola, della cultura e dell’università”.
Davide Rossi, insegnante e segretario generale del Sisa (Sindacato Indipendente Scuola Ambiente), il primo sindacato che mette insieme studenti e docenti.

Tra gli universitari erano presenti studenti del San Raffaele (“Le idee corrono anche lì ma la situazione è diversa: è un’università privata, i corsi iniziano comunque!”) e membri dei Giovani Democratici dall’università di Pavia (“speriamo che questa manifestazione porti dei risultati a livello regionale. Con questa riforma viene a mancare il diritto allo studio, noi vogliamo proporre una scuola migliore”).

H 11.00 Mentre un gruppo di manifestanti va a protestare di fronte al provveditorato, altri entrano nel chiostro della Statale


















“Il problema è che mancano i fondi. Non abbiamo i soldi per acquistare il materiale didattico, per la sussistenza. In una facoltà come scienze in cui c’è bisogno di molta pratica oltre alla teoria, mancano i fondi per pagare qualcuno che assista gli studenti con i loro esperimenti”.
Genetista dell’Università di Pavia

“I tagli incidono soprattutto sul turnover, sulle nuove assunzioni, ma anche sulla qualità delle ricerche e dei laboratori. Questa riforma non solo non ci dà fondi ma ce li ha tagliati del 20% rispetto agli anni scorsi”.
“Un percorso-tipo per lo studente prevede il dottorato di ricerca, 3 anni o anche di più, cui segue un contratto a tempo determinato. Sono circa 12 anni di insicurezze al termine dei quali se ci sono soldi e ci si è comportati bene si può sperare in un posto fisso, se non ci sono soldi anche se bravi e volenterosi l’unica alternativa è cercare lavoro da un’altra parte!
Noi siamo qui con il motto COSTRUIAMO L’UNIVERSITA’ – COSTRUTTORI DI SAPERE: la ricerca serve per costruire il futuro dei giovani e della nazione. Ma se non ci sono mattoni e muratori non si può costruire un futuro”.
Ricercatori dell’Università di Pavia

“Farmacia è una delle facoltà più in mobilità contro i tagli. Il grosso problema è che in questa riforma ci sono troppi punti che non vanno bene per il sistema universitario. Non è pensabile una riforma a costo zero.
Tutto è da ricondurre alla legge 133 che ha tagliato progressivamente i fondi di finanziamento universitario. Non è così lontano il giorno in cui non avremo più soldi per fare dei laboratori adeguati, con una didattica sempre più scarsa dal punto di vista della qualità.
Non si può pensare non investire: fare una riforma dovrebbe essere come ristrutturare una casa, ci si mette del denaro in previsione dei benefici che se ne trarranno in futuro. Il problema è che questa riforma non vuole mettere soldi e così diventa una distruzione della scuola pubblica.
L’università oggi ha bisogno di una riforma, ma non di questa!”
Ricercatore della Facoltà di Farmacia alla Statale di Milano



Elisa Costa e Gemma Ghiglia
Foto: Francesca Di Vaio

8 ottobre 2010

THE COVE - Proiezione a cura del seminario permanente di etica e animalismo della Statale

Il seminario permanente su etica e animalismo è un gruppo di studio nato all’interno dell’Università degli Studi di Milano che si pone l’obiettivo di affrontare le questioni dell’animalismo (il nostro rapporto con gli animali non umani, gli usi che ne facciamo, i loro diritti) attraverso considerazioni e argomenti di filosofia morale. Il gruppo, formato da docenti e studenti universitari, ma anche esperti non appartenenti al mondo accademico, si ritrova ogni giovedì alle 17.00 presso la stessa Università degli studi di Milano, Dipartimento di Filosofia, aula seminari, terzo piano (sottotetto).
Attivo ormai da svariati anni, il seminario ha un fitto calendario di incontri che viene pubblicato periodicamente, insieme a eventuali letture consigliate riguardanti l'argomento di ogni singola giornata di studio. È stato da poco reso pubblico sul sito del gruppo (http://thequilp.blogspot.com/) il calendario degli incontri previsto per il semestre in corso, e tra questi spicca la proiezione del film documentario (premio Oscar nel 2009) The Cove, organizzata per le ore 16:30 del pomeriggio del 4 novembre 2010, presso l’aula 510 della sede di via Festa del Perdono.
Vincitore del premio Oscar 2009 come Miglior Documentario, The Cove è un film che in parte narra una storia di attivismo animalista, e in parte racconta anche se stesso, il suo concepimento e il suo making of. Diretto da Louie Psihoyos e prodotto da Paula Dupré Pesmen e Fisher Stevens, il film è scritto da Mark Monroe. Il produttore esecutivo è Jim Clark e il co-produttore è Olivia Ahnemann. Il documentario concretizza un’idea che il regista ha sviluppato dopo avere avuto una conversazione con il celebre attivista americano Richard O’Barry. Addestratore di delfini (tra cui quelli protagonisti del famoso telefilm Flipper) per quasi quindici anni, O’Barry è divenuto ormai da trentacinque anni un convinto sostenitore delle cause animaliste che fanno riferimento ai cetacei e agli animali acquatici in generale.
In una videointervista inclusa all’inizio del documentario, ma fatta a O’Barry molto prima che vi fosse la anche solo lontana idea di girare The Cove, l’attivista confida al futuro regista della pellicola un segreto agghiacciante. Esiste una baia (in inglese “the cove”, da cui il titolo del film) a Taiji, in Giappone, in cui ogni anno vengono clandestinamente uccisi circa 23.000 delfini. Nello stesso luogo diverse migliaia di esemplari degli stessi animali vengono catturati con metodi brutali e venduti ad addestratori di tutto il mondo. La carne dei 23.000 sterminati viene invece venduta in minima parte al mercato culinario locale, e in larga parte immessa anche nel commercio nazionale e internazionale, dove viene però spacciata per carne di balena. Psihoyos decide di capirci di più e segue con una telecamera O’Barry a Taiji, dove l’ex addestratore confessa di recarsi spesso proprio per cercare di smascherare (sempre senza successo) lo sterminio segretamente perpetuato dai giapponesi.
Non è però la visione del massacro di delfini a convincere il regista statunitense della necessità di girare un documentario che racconti ciò che accade nella piccola insenatura di quella altrettanto piccola città giapponese. È piuttosto l’impossibilità di vedere e comprendere ciò che realmente succede nella baia a tramutare Psihoyos nel regista di The Cove. L’insenatura è infatti completamente nascosta allo sguardo umano e ogni strada percorribile via terra o via mare per avvicinarvisi non è soltanto ostruita, ma anche sorvegliata ventiquattro ore su ventiquattro da numerosi agenti delle autorità locali. Quegli stessi agenti pedinano e controllano inoltre ogni spostamento di O’Barry e, ormai, anche di Psihoyos, in quanto troppo interessati a quella zona su cui vige l’assoluto divieto di accesso. A Taiji succede qualcosa di strano e di misterioso che merita di essere raccontato e di cui, se O’Barry dice il vero, l’intera popolazione mondiale deve essere messa a conoscenza.
L’idea iniziale è quella di girare la pellicola con metodi pienamente legali, ma l’ostruzionismo e il negazionismo del governo giapponese, uniti alle continue pressioni e provocazioni della polizia locale obbligano di fatto il regista a cercare un’altra soluzione per verificare e raccontare ciò che accade nella segretissima insenatura. Viene così assemblata una squadra d’elite composta da attivisti, ex militari, esperti surfisti e apneisti che, grazie ai più avanzati mezzi tecnologici (quali microfoni subacquei, videocamere a infrarossi e telecamere nascoste all’interno di finte rocce), si infiltrano sotto copertura nella baia di Taiji e ne documentano gli orrori. Il risultato è un mix provocatorio che unisce avventura e giornalismo investigativo in un’inchiesta che ha il chiaro obiettivo di spronare non solo il pubblico, ma anche i politici di tutto il mondo a reagire.
La pellicola, che verrà discussa probabilmente già durante l’incontro successivo, del giorno 11 novembre 2010, rappresenta un’ottima occasione per avvicinarsi ai temi discussi all’interno del seminario anche per i non esperti sulla questione animale, nonché una concreta opportunità per entrare a far parte di questo tavolo di discussione permanente aperto a tutti gli interessati.
L’appuntamento è alle ore 16:30 del pomeriggio del giorno 4 novembre 2010, presso l’aula 510 della sede di via Festa del Perdono.

The Cove è una pellicola della collana Real Cinema Feltrinelli (http://www.feltrinellieditore.it/SchedaLibro?id_volume=5001482), la cui riproduzione e proiezione è stata consentita per gentile concessione della Giangiacomo Feltrinelli Editore (http://www.feltrinellieditore.it).
Per ulteriori informazioni scrivere a quilpers@googlegroups.com.

Matteo Andreozzi

Yellow submarine:l'esondazione del Seveso e i disagi alla Linea 3

Era una notte buia e tempestosa… - Si potrebbe cominciare a raccontare così l’ultima esondazione del Seveso, causata da un forte temporale abbattutosi su Milano. È difficile chiamare fiume quello che in realtà è un corso d’acqua lungo una cinquantina di chilometri, che termina la sua corsa immettendosi nel naviglio Martesana. Eppure sabato 18 settembre, straripando in Viale Fulvio Testi in direzione di Viale Zara e invadendo tutte le vie limitrofe, le acque del Seveso trasformano le strade in fiumi di fango. Per gli abitanti, purtroppo, non è una grossa novità: ci si arrangia con quel poco che si ha – sacchi di sabbia o sacchetti neri impermeabili - per evitare danni ingenti alle cantine e ai garage; ma questa volta le gallerie della linea 5 in costruzione offrono un nuovo canale all’irruenza delle acque, che si rovesciano direttamente nel collegamento con la linea 3, alla stazione di Zara. Il disastro è compiuto: in Viale Zara, all’altezza della fermata Marche della futura metro, si apre una voragine che inghiotte terra e una macchina parcheggiata, lasciando penzolare i binari del tram su cui corrono le linee 5, 7 e la metro tranviaria 31 che giunge da Cinisello Balsamo. Sembra di vedere un nuovo tipo di montagne russe, ma c’è poco da scherzare. All’altezza del civico 91 il piccolo hotel Gala e il ristorante la Valletta, già in difficoltà per la chiusura del controviale, rimangono ora del tutto isolati, con conseguenze economiche non indifferenti. In una notte sola una delle principali arterie di ingresso alla città di Milano è resa praticamente inagibile, tanto più che già gli scavi l’avevano ristretta e trasformata in una serie di deviazioni e corsie uniche.
Lunedì tragico – La settimana ricomincia nei peggiori dei modi. La metro gialla è chiusa fino a Repubblica, l’ATM fornisce dei mezzi sostitutivi per cercare di limitare il danno, ma è una tragedia annunciata. Tutta la zona è bloccata con code chilometriche e immobili, tutti gli autobus e le navette di collegamento sono stipate, qualcuno si muove a piedi alla volta delle fermate, altri provano a chiedere informazioni al personale messo a disposizione dall’ATM, ma le notizie non sono chiare: si parla di qualche ora di chiusura, di qualche giorno, addirittura di mesi. «La nostra pazienza ha esondato», recita un volantino fuori dall'Esselunga di viale Zara, il quale invita tutti i residenti delle zone 2 e 9, a Nord di Milano, ad affrontare l'emergenza e a partecipare a una riunione straordinaria. Il comune di Milano risponde scaricando la responsabilità su un solo assessore (Mascaretti), ma dal Consiglio di Zona straordinario non emerge alcuna soluzione.
Un nuovo volantino spiegherà che nulla è stato risolto titolando “Il Seveso esonda e la Giunta affonda nel fango di Viale Zara”: l’assessore Mascaretti non è stato in grado di rispondere alle spiegazioni richiestegli in tale sede, e in più afferma con candore di avervi partecipato solo “per ascoltare i cittadini”.

Odissea milanese – Il giorno successivo la situazione peggiora. Un nuovo ostacolo si pone tra la zona 9 e il centro città: la metro gialla si blocca al mattino presto fino a Porta Romana, stavolta per un guasto tecnico. La gente, disperata, comincia a prenderla sul ridere e spera in qualche scherzo. Piazze della Repubblica diventa un punto di ritrovo per centinaia di persone che non sanno più cosa fare per potersi muovere e andare a lavorare. I mezzi sostitutivi per arrivare in Duomo non ci sono ancora: gli unici autobus disponibili tornano indietro a Maciachini. Ancora una volta bisogna fare appello all’arte dell’arrangiarsi: con i taxi, con i pochi tram – già stracolmi - o semplicemente passeggiando per i Bastioni di Porta Venezia e il Parco di via Palestro. I tempi di percorrenza si allungano e capita di impiegare più di un’ora e mezza per arrivare in centro. Fortunatamente il danno dura poco: in tarda mattinata la circolazione torna regolare fino a Repubblica: ed è già una conquista.
Il quartiere mormora - I giorni passano e le notizie sono sempre più preoccupanti: 70 milioni di euro di danni, linea 3 chiusa per due mesi, molti dubbi e preoccupazioni sull’inaugurazione della linea 5, prevista per la primavera del 2011. Nascono anche delle teorie diverse sulla causa di tale disastro: pare infatti che l’esondazione del Seveso non abbia provocato direttamente l’allagamento della metro, ma che sia stato causato da un tubo dell’acquedotto esploso sotto Viale Zara. I 60 mila metri cubi d’acqua, pompati ogni minuto, si mescolano al fango delle gallerie della metro 5 e si riversano nella linea 3, arrivando fino alla fermata di Centrale. Altre voci sostengono che la colpa sia di un contadino che avrebbe il controllo delle chiuse dei canali scolmatori del Seveso e il più delle volte si troverebbe impossibilitato a eseguire il proprio compito. Discorso che assomiglia più a una leggenda e non trova alcun riscontro nei fatti. Al contrario la notizia dell’esplosione di un tubo dell’acquedotto può essere ritenuta vera, dal momento che la conferma viene direttamente dal sindaco di Milano Letizia Moratti. La prima cittadina, per placare gli animi, scende nelle gallerie della metro a constatare di persona i danni e chiede lo stato di calamità naturale, ma sia la Provincia che il governo danno risposte vaghe, dicendo di aspettare.

Ritorno alla normalità – Lunedì 27 settembre alle 17.00 viene annunciata la riapertura di tutte le stazioni della linea 3: da Maciachini a Centrale la circolazione è regolare. Nei primi minuti la gente sembra non credere alla notizia, anche perché ormai tutti si erano rassegnati ad aspettare qualche mese. Invece la metro prosegue il suo tragitto anche dopo la stazione Centrale, benché a velocità ridotta (20km/h). Ci sono volute 200 ore di lavoro da parte di una squadra di 500 persone dell’ATM, oltre ai tecnici di alcune aziende fornitrici, per tornare alla normalità; cento ore per svuotare le stazioni e le gallerie dai 150 mila metri cubi di acqua e fango, e altre cento ore per il ripristino della linea. Un lavoro eccellente che merita le prime pagine dei giornali milanesi, i cui titoli parlano di tempi record e gestione eccezionale. Solo pochi giorni fa l’Assessore ai Lavori Pubblici, Bruno Simini, annunciava con molta cautela una possibile riapertura per i primi di ottobre. Non è chiaro se abbia commesso un semplice errore di calcolo o abbia adottato una strategia per dimostrare le capacità della giunta comunale in situazioni d’emergenza.

Punti interrogativi – “Nel giro di 48 ore torneremo alla velocità normale” spiega il presidente dell’ATM Elio Catania, il quale non vuole ancora rivelare l’entità esatta dei danni – la cui stima resta sempre attorno ai 70 milioni di euro. Restano domande e dubbi sull’avvenimento: come mai si parla ancora di un canale scolmatore da costruire, quando il progetto venne presentato negli anni ’70? Come è possibile che non fosse stata prevista un’eventuale esondazione delle acque del Seveso in cantieri situati in un territorio più volte soggetto a inondazioni? È possibile che un’intera zona di una città come Milano resti isolata e paralizzata per una notte di forti temporali? Che cosa potrebbe accadere se questa stessa situazione si ripresentasse durante l’Expo 2015? Manca ancora tanto tempo all’evento mondiale, ma tra litigi, fondi mancanti e imprevisti naturali, sembra difficile pensare di essere pronti a ricevere milioni di persone in città. E pensare che uno dei temi dell’esposizione universale sarà proprio l’acqua…

Daniele Colombi