22 novembre 2007

COS'E' LA DESTRA, COS'E' LA SINISTRA?

Momenti di ordinaria lottizzazione politica in Statale. Come ogni anno, le diverse associazioni, schierate e non, si riuniscono per decidere in quali aule svolgere le varie riunioni.
Viene applicato, nella suddivisione degli spazi disponibili, un criterio laico e pragmatico? Naturalmente no, e così vediamo sorgere aule marchiate a fuoco, ideologizzate, destinate a priori a gruppi di centro-destra o di sinistra.
Vulcano, per continuare a costruire il suo giornale presso la tradizionale auletta A che oramai lo ospita da 5 anni, è stato sommariamente inserito nell’elenco "pro gauche". Intendiamoci, si tratta di dettagli. E del resto la linea editoriale del periodico, nata sempre dal dibattito redazionale, è nitida e non teme equivoci. Come la sua indipendenza. Piccolezze tuttavia interessanti per comprendere l’andazzo di una università bloccata, ferma a logiche anacronistiche e conflittuali. Quando sono i vecchi baroni che masticano il passato e seminano misoneismo ce ne facciamo una ragione. Se però sono i ventenni ad applicare criteri antichi ed antifunzionali lo stupore cresce. Insieme alla disillusione più malinconica.
Gregorio Romeo

20 novembre 2007

INTERVISTA A GIAN ANTONIO STELLA

“così i politici italiani sono diventati intoccabili”


Probabilmente il suo libro è stato il veicolo di socializzazione più efficace degli ultimi mesi.
Nelle spiagge, come presso le fermate dei mezzi pubblici, crocchi di manzoniana memoria si affannavano a esporre il proprio sdegno contro la politica dei privilegi, delle tasse, dei tempi moderni nefasti che fanno rimpiangere l’odiata prima repubblica.
Qualunquismo? Forse. Tuttavia corroborato da solidissime e imbarazzanti cifre.
Come quelle che indicano i finanziamenti destinati alle comunità montane: 170.175.114,72 euro per organismi di governo locale a volte posti, magicamente, in piena pianura.
Viatici per garantire poltrone o semplici sgabelli a politici, peones e consulenti di ambigua derivazione.
Un esercito che tocca, dai consiglieri circoscrizionali ai senatori a vita, la quota di 179.485 anime.
Nessun paese, sbirciando in giro per il mondo, gode di una classe dirigente così maggiorata.
Un’ ipertrofia di genti e di cose, se si pensa alle 40.000 auto blu che sfrecciano per le strade italiane.
Ancora una volta, un primato mondiale.
Neppure le vetuste monarchie europee cedono, al contrario dei politici nostrani, al richiamo del fasto. Buckingam Palace, dove vive la regina benedetta dal Signore, spende quattro volte meno del Quirinale, base del “compagno” Napolitano.
224.000.000 euro tondi tondi sono i soldi spesi dallo Stato per finanziare la presidenza della repubblica.
Solo per motivi di spazio (e pietà), da tale elenco vengono omesse le cifre, spropositate, delle indennità pubbliche garantite ai politici, gocce di euro rispetto agli sprechi che contano, ma sintomatiche per intuire la forma mentis di chi ci governa.
Ed in questo fiume di danaro, che la politica spende e guadagna per nutrire se stessa, il paese annega.


Gian Antonio Stella, noto giornalista del “Corriere della sera” e autore del libro “La Casta”, è stato intervistato da Vulcano. Un’occasione per discutere delle anomalie proprie del sistema politico italiano e dell’insofferenza che emerge nel paese.

I pesanti strali di Beppe Grillo, le inchieste che evidenziano i lussi dei politici fra voli di stato e case acquistate a due lire, gli elettori colti da una profonda sfiducia nei confronti della classe dirigente. Gian Antonio Stella come valuta il clima di antipolitica che sembra dilagare nel paese?
“Mi trovo assolutamente d’accordo con l’opinione pubblica che si scaglia contro una certa gestione della politica. Non credo si tratti di un clima di puro qualunquismo. Il sentimento che attraversa oggi l’Italia non è di antipolitica, ma di consapevolezza, sia a destra che a sinistra, riguardo la cattiva gestione del potere. I metodi con cui operano oggi i politici non sono più sopportabili, né economicamente né moralmente.”

Lei non crede che l’inefficienza e la corruzione riscontrabili nel sistema politico siano rintracciabili anche negli altri segmenti di società? Spesso il mondo imprenditoriale o la pubblica amministrazione operano con le stesse logiche e la stessa superficialità delle classe politica…
“Certo, è così. Molti atteggiamenti deteriori sono presenti nella società italiana. Ma non bisogna dimenticare che la classe dirigente deve essere migliore della società, altrimenti perde la sua ragion d’essere. Non parlo di una politica elitaria, però il compito dei politici deve essere quello di guidare la società.”

Quando si parla di costi, i politici spesso affermano che è piuttosto necessario incrementare l’efficienza. Non crede si debba certamente aumentare l’efficienza dell’amministrazione, abbattendo, in ogni caso, i costi?
“Assolutamente si. I politici discutono di efficienza per spostare il tema e non occuparsi dei privilegi e dei costi astronomici.
Del resto, l’efficienza dipende sempre e comunque dalla classe che ci governa. Le leggi vengono varate in parlamento.”

Condivide le proposte di Beppe Grillo riguardo la riforma dei meccanismi di elezione della classe dirigente?
“Non del tutto. Il tetto delle due legislature per i deputati è forse eccessivo. Magari è giusto imporre solo una percentuale di seggi che vadano rinnovati dopo ogni legislatura. In questo modo, dentro il parlamento, verrebbe garantito il ricambio generazionale e ideale ma anche l’esperienza. Riguardo l’impossibilità di accedere alle cariche pubbliche se condannati, dipende dal tipo di reato commesso. Anche io sono stato condannato per aver scritto che Totò Cuffaro (presidente della regione Sicilia. n.d.r) applicava una politica di tipo clientelare. Poi mi hanno assolto in appello, con le scuse dello stesso Cuffaro.”

Oggi la diffidenza nei confronti della classe dirigente è alta. Secondo lei maggiore o minore rispetto ai tempi di tangentopoli?
“Secondo me l’insofferenza è superiore. Quando scoppiò tangentopoli almeno l’elettorato di sinistra continuava a nutrire una certa fiducia nei confronti dei propri rappresentanti. Adesso, credo che nessun italiano sia convinto che esistano politici al di sopra di ogni sospetto. Intendiamoci, non parlo di corruzione. Mi riferisco alla sensibilità su alcuni temi.
Oggi i sondaggi dicono che siano più i partiti di sinistra ad essere penalizzati da questo clima. Questo perché l’elettorato di sinistra è più sensibile riguardo determinate questioni. A destra l’indulgenza degli elettori nei confronti dei propri eletti è maggiore. Un personaggio come Lunardi, che da ministro ha affidato i lavori della tangenziale di Mestre a suo nipote, se fosse stato di sinistra sarebbe stato “crocifisso” dal suo stesso popolo.”

Quali sono, secondo lei, i tre interventi principali che andrebbero operati per rendere più trasparente e meno cara la politica?
“In primo luogo è necessario costringere tutti, al di là delle chiacchiere sull’autonomia, a compilare lo stesso tipo di bilancio. Questo garantirebbe effettiva trasparenza. Tutti i cittadini hanno il diritto di capire con semplicità come vengono spesi i soldi dalle istituzioni.
Poi, organismi inutili come le province vanno definitivamente aboliti. Il loro ruolo può essere ugualmente svolto da un sistema istituzionale più snello.
Infine, è fondamentale interrompere l’adeguamento automatico, in relazione all’inflazione, delle indennità dei parlamentari. Per adesso, alla Camera e al Senato, hanno semplicemente sospeso questo privilegio. Deve, piuttosto, essere cambiata definitivamente la legge.”

Come valuta la sensibilità dei giornalisti riguardo questi temi? Lei, ad esempio, dopo aver scritto “La Casta”, che rapporti ha con il potere politico?
“Ci vorrebbe certamente più coraggio. I giornalisti non si occupano a sufficienza di questi temi. Dopo la pubblicazione del libro per me non è cambiato proprio niente: io ho sempre avuto rapporti buonissimi con la persone per bene e pessimi con quelle che non sono per bene. Senza distinzioni fra destra e sinistra.”

Personaggi corrotti dalla finanza, pronti a disegnare leggi su misura per interessi privati o per la ricchezza della “casta”. Organismi istituzionali, di controllo e di servizio pubblico, monopolizzati dai partiti che nominano chi vogliono senza lasciare spazio alla meritocrazia. Politici in prima linea intenti a difendere con protervia e nessun pudore privilegi trasformati in diritti. A destra come a sinistra. Nel suo libro, scritto insieme al giornalista Marco Rizzo, viene esposto un quadro simile. Ma lei, alle prossime elezioni, andrà a votare?
“Io sono assolutamente contrario all’astensione dal voto come metodo di dissenso. Esiste sempre una soluzione meno peggiore di altre. Purtroppo, data la legge elettorale a liste bloccate attualmente in vigore, non è facile scegliere.
Però il mio voto vale quanto quello di persone che disprezzo profondamente. E per questo non lo butterò mai via.”


Gregorio Romeo

11 novembre 2007

EDITORIALE NOVEMBRE 2007


Oggi in Italia i neolaureati guadagnano in media 23 mila euro l’anno, cioè come un operaio. Lo riporta una ricerca di Od&M Consulting. Qualche settimana fa alcune migliaia di ragazzi sono scesi in piazza per protestare contro il numero chiuso che veniva definito "un sopruso antidemocratico e discriminatorio". Erano consapevoli di difendere un sistema che li consegnerà, statisticamente, a titoli-cartastraccia e a stipendi da fame? La svalutazione della laurea non è una fatalità o una congiura dell’orco capitalista. Avremmo potuto evitarla. Come? Con test d’ingresso selettivi, tempistiche contingentate (leggi: se vai fuoricorso ti raddoppio le tasse), commissioni severe. Insomma estirpando l’idea che l’università sia un diritto e non una conquista riservata ai migliori. Misure a costo zero, anche se impopolari in un paese buonista, conservatore e visceralmente antimeritocratico. Molto meglio il dormitorio di stato su cui troneggia l’insegna ideale: "laureatevi e farete gli operai".
Luca Gualtieri

10 novembre 2007

CARTOLINA DAL MAROCCO


All’ aeroporto di Marrakech è frequente imbattersi in guide improvvisate che cercano di spillare qualche decina di euro ai visitatori in cambio di un giro turistico in città.
Non si possono riconoscere perchè non hanno segni distin­tivi e il loro approccio sembra solo di cortesia, come semplici viandanti.
Così è stato anche per noi, giunti in aereo a Marrakech l’ulti­ma settimana di settembre. Non appena ci avviamo con l’auto noleggiata la guida si affianca in motorino per indicare la stra­da verso la città. Poi, si propone di salire in macchina e così, in poche ore, visitiamo insieme i mercati, le botteghe, assaggia­mo i sapori della tavola e accettiamo di vedere i dromedari in un arido palmeto subito fuori il centro urbano.
Durante il Ramadan, la città, interamente musulmana, è più lenta. Le botteghe chiudono prima e così anche Place Djemaa el Fnaa, nel cuore della Medina (città vecchia) è meno affolla­ta del solito. Ma nell’area coperta dei Souq, verso nord, i mille e più negozi di tappeti e ceramiche sono sempre aperti, in vie strette e quasi buie per la folla di persone e cose esposte.
Qui le compere, e non solo per i turisti, seguono un rituale unico, perchè le cose non hanno mai un valore. La contratta­zione è estenuante: il negoziante fa il primo prezzo, sempre altissimo. Il compratore ribatte per la metà. Il negoziante non accetta, però sembra pensarci su. Allora arriva la contropro­posta, ma non va bene, troppo alta... Finché uno dei due cede, e generalmente i bottegai possono andare avanti ore.

Il caos che regna nella piazza, soprattutto al tramonto, quan­do vengono allestiti tavoli per cenare all’aperto e l’intera area si popola di cantastorie, musicanti, giocolieri, elemosinanti, non deve evidentemente intaccare la spiritualità della mo­schea Koutubia, a sud della piazza, che purtroppo rimane an­cora inaccessibile ai visitatori europei. Dall’omonimo minare­to alto 69 metri, gemello della Giralda di Siviglia per età e stile ( risalgono entrambe al XII secolo ), il Muezzin richiama alla preghiera i fedeli cinque volte nelle ventiquattro ore. Le sue sono parole tonanti, che svegliano nella notte entrando per­fino nel nostro Riad, a qualche centinaia di metri di distanza. I Riad, (in arabo “giardino”) un tempo erano ricche dimore di si­gnori locali. Oggi sono hotel anche lussuosissimi, che offrono ai visitatori riparo dalla rumorosa vita cittadina. L’abitazione si sviluppa attorno ad un cortile centrale aperto, senza vista sui vicoli attorno, isolata dal mondo esterno.
All’interno lo scenario è in molti casi splendido. Pareti coperte da mosaici in maiolica, pavimenti rivestiti di tappeti, mentre nel cortile un rivolo d’acqua scorre in una fontana di terra­cotta.
Per contrapporla a Casablanca, città industriale sull’Oceano Atlantico, gli abitanti la chiamano “Città rosa”. Il colore degli edifici, soprattutto nella Medina, è quello delle terre che cir­condano la città, un rosa tiepido che accompagna la memoria di ogni istante vissuto a Marrakech.
Per secoli è stata definita “Porta del Sud”, luogo di incontro delle carovane di dromedari provenienti dal Nord, con stoffe e tappeti, e di quelle provenienti dal meridione, con oro, avo­rio e schiavi neri.
Oggi Marrakech è il punto di partenza per chi vuole avventu­rarsi nel “Grande Sud”, oltre le montagne dell’Atlante, fino alle prime dune di sabbia, a pochi chilometri dal confine saharia­no con l’Algeria.

In questa regione vivono le popolazioni marocchine di etnia berbera, ancorate a stili di vita antichissimi. Sono le popola­zioni originarie del NordAfrica, spinte nelle aree più interne del Continente dalle invasioni arabe, che si sono succedute nel primo Medioevo diffondendo l’Islam e la lingua araba. Ma i berberi hanno mantenuto e tramandato la loro cultura, prevalentemente orale, e la loro lingua, basata su un proprio alfabeto che conta ben tremila anni.
Così, attraversando le campagne montuose dell’Atlante, nella direzione di Ouarzazate, il Marocco diventa più inafferrabile, i paesaggi si fanno sensazionali, i villaggi sono rari e nascosti. Dalla strada si possono intravedere delle costruzioni in argilla incastonate nelle montagne.
Poi, se un villaggio sterrato non dista troppo dalla strada asfaltata e il terreno è agibile, si può tentare di raggiungere le case di pietra che si raccolgono attorno al solito Minareto, per scoprirne gli abitanti. Almeno una persona nel villaggio parla francese, gli altri il tamazight (per noi “berbero”).
E mentre conosciamo gli uomini adulti che lavorano alla co­struzione di una piccola moschea in pietra, i bambini escono alla spicciolata dalle case. Dapprima, con sospetto, restano fermi davanti agli usci, poi ci approcciano con una palla per giocare insieme. Ci chiedono anche delle penne per scrivere (dicono “bic”). Così, ci facciamo indicare la scuola, che scopria­mo incredibilmente in ottime condizioni in contrasto con la povertà del villaggio.

Intanto delle donne ci chiamano verso le loro case. Vogliono offrirci del tè verde zuccherato al sapore di menta, autentico segno dell’ospitalità delle popolazioni berbere. Un rito che si ripete sulla strada rettilinea verso Zagora, ultima città da attraversare prima di immergersi in un paesaggio rarefatto, dove all’orizzonte le ultime montagne nere bruciate dal sole sembrano crateri, finché la natura si spegne e lascia il posto al deserto.

Dario Augello

1 novembre 2007

NON SI ESCE VIVI DAGLI ANNI '80 N.12



Siamo arrivati alla dodicesima puntata di questa rubrica, undici scritte da me, una da Nicola Spagnuolo, redattore di Vulcano di provenienza oscura, quanto quella degli Etruschi, e sparito pochi mesi fa, senza farci sapere più nulla di sé, proprio come non si sa niente degli Etruschi.
Fatto sta che una puntata la scrisse lui, precipitando in questo modo al penultimo gradino della scala etica, che vede agli ultimi tre posti: il futuro segretario della "cosa rossa", l’autore della rubrica anni 80 e, all’ultimo posto, il lucumone, appellativo del re degli Etruschi, che godeva di scarsissimo potere.
Per Nicola fu un’infatuazione a cui non seppe resistere, come accadde nel 1981 al popolo musicale italiano, quando permise al bel cantante belga Plastic Bertrand di scalare le classifiche con ben due raffinati successi: Hula Hoop, una sorta di pop-new-wave-punk-trash, e Ping Pong.
Ping Pong partecipa a Sanremo nel 1982 raggiungendo la finalissima. La lirica rappresenta la summa poetica di Plastic, spiccando per profondità di introspezione e acutezza nell’analisi di un rapporto di coppia oramai frusto: la relazione tra i due amanti non è altro che una dolorosa e faticosa partita a ping pong. Sì proprio così, un botta e risposta snervante, senza soluzione di continuità, e alla fine chi vince, chi dei due amanti ha la meglio, resta con in mano una piccola racchetta di legno e una pallina leggera e bianca, quasi trasparente.
La morale? Senza una persona con cui giocare a ping pong cosa sarebbe la vita, cosa l’amore? Puoi giocare a ping pong contro il muro, certo si può, ma non è, in fondo, più ripetitivo della masturbazione?
Quanto era importante quello scambio serrato di colpi tra te e qualcuno che si muoveva: e non un muro. Sarebbe bello un muro che si muove… ma non esiste. E’ del tutto inutile continuare a sperare che un muro si muova, che prenda una racchetta in mano; i muri non hanno le mani. I muri sono senza mani, maledizione!
Ecco, questo è pressappoco ciò che il belga Plastic Bertrand voleva dirci quando è calato in Italia tra l’81 e l’82, conquistando con la sua filosofia comportamentale migliaia di ragazzine.
Cinque anni dopo il ragazzone parteciperà all’Eurofestival quale rappresentante del Lussemburgo (paese celebre per la sensibilità nei confronti dello struggimento amoroso), con il pezzo Amour amour, che letteralmente significa un muro un muro. Ma l’incanto era rotto: si piazza penultimo.
Mi piacerebbe concludere con il solito "e di lui non si seppe più nulla come per gli Etruschi" ma non posso perché nel 2002 conduce Star Academy, una specie di Amici di Maria de Filippi belga, ma che non riscuote alcun successo. Lettore, se arrivi fin qui, pensaci: potevi occupare meglio gli ultimi 90 secondi? Il tempo è importante.


Fabrizio Aurilia