5 dicembre 2008

Rokia Traorè: la sirena del Mali



Delle sirene, quegli splendidi e pericolosi animali mitologici che la tradizione ha tramandato sino ai giorni nostri, la cantante e musicista maliana Rokia Traorè ha pressoché tutto. In primis, una bellezza fisica stordente, che par celare un segreto inafferrabile, nella sua completezza. Delle sirene, Rokia ha anche una voce divina che, -c’è da scommetterci- sarebbe capace di far naufragare anche i moderni marinai. Scherzi a parte, Rokia è davvero un’artista con una marcia in più, perché non si limita a proporre al pubblico occidentale la musica cara alla propria tradizione. A differenza di quanto faceva, ad esempio, Ali Farka Tourè, il più grande e rimpianto chitarrista blues africano (che peraltro ha anche il merito di aver scoperto la Traorè), Rokia non mostra interesse verso operazioni di recupero, propriamente filologiche. Alla nostra non è sufficiente mettere insieme un paio di tamburi tindè e accordare la propria voce agli strumenti a corda tipici del Mali. La nostra sirena fa molto di più. La nostra sirena inventa linguaggi, incrocia generi, fa sintesi. Per dirla meglio: Rokia ha vissuto e continua a vivere il fenomeno della globalizzazione (non solo in ambito musicale), in maniera tutt’altro che passiva.

Per lei, ascoltare Machine Gun di Hendrix o Jammin’ di Bob Marley non significa subire un vero e proprio e choc, come era accaduto, per esempio, in un paese come il nostro tra gli anni ’50 e ’60 del secolo scorso. Per la giovane e sensibile artista maliana, invece, ascoltare Hendrix o Marley, (ovviamente i due nomi hanno qui una funzione puramente metonimica) non è un’assoluta scoperta. Tale evento, piuttosto, fa subito scattare in lei un meccanismo memorativo di riconoscimento. Si materializza così un filo rosso che sprofonda le radici nell’infinito e ancestrale tempo dell’Africa. Un’Africa che qui non può che finire col coincidere con quella “Grande Madre” da cui tutto ha avuto inizio. Si è andati lontani, forse troppo. Torniamo alla nostra umile presentazione di Rokia Traorè. Si diceva giustamente del rapporto eterodosso che lega Rokia alla tradizione musicale del Mali, perché è innegabile che la ricerca che propone parta inequivocabilmente dai suoni di quella storia. Rokia non rinnega nemmeno per un attimo quei quattro quarti che anzi elegge a veri e propri pilastri della sua musica. Semplicemente, la Traorè si è accorta dello straordinario viaggio che il blues e le sue successive modificazioni genetiche hanno compiuto in giro per il mondo. La nostra ha studiato con commovente umiltà e sincera passione per la conoscenza la storia della musica afro-americana ed ora non dimostra di conoscere a menadito i frutti della pianta del blues. Nei suoi dischi sembra spesso voler ripercorrere l’itinerario che la cosiddetta “musica del diavolo” ha effettuato, cullato dalle limacciose del Mississipi: dalle gigantesche piantagioni dell’Alabama o della Georgia, alle metropoli di Memphis e Chicago.

E’ solo tenendo a mente tutto questo che si comprende la profonda passione, o meglio, la quasi venerazione che Rokia nutre per Jimi Hendrix. E’ solo a questo punto che si intuisce la profonda importanza ideologica che si cela dietro alla scelte di cantare servendosi degli idiomi più diversi. Del resto né l’inglese, né il francese, né l’africano, né altre lingue, sono la Lingua del Mondo. È piuttosto dal loro incontro che può nascere un frutto artistico universalmente godibile. Un frutto che ogni paio di orecchie declinerà in maniera diversa e che forse finanche capirà in maniera diversa. Ma tutte queste diversità non sono poi così importanti, sembra sussurrarci implicitamente Rokia, che ormai vive da anni in Francia, dove produce e incide i propri dischi. Piuttosto, tali diversità possono divenire non solo importanti, ma anche funzionali nella prospettiva di un arduo ma fascinoso superamento delle stesse.

La musica di Rokia, è una musica delle minoranze, una musica di riflusso. Una musica che il miope orgoglio autoriale non riesce a scalfire. Questa musica restituisce alla collettività del popolo africano, (in questo senso più che mai ampliato) tutto quello che in secoli di vite, gioie e patimenti è stato partorito. Nel canto della splendida Rokia c’è dunque il sublimato sostrato culturale di un continente intero. Il suo lato tragico, il suo lato comico e la loro sintesi etica ed estetica Questa sintesi altro non è che la consapevolezza dell’esistenza di una “ricchezza collettiva”. Insomma, le diversità sono, secondo Rokia, motivo di imperdibile ricchezza. Nella sua musica, che ci piace presentare come alternativa al montaliano “male di vivere”, così, non possono non essere intraviste queste splendide parole dello studioso Albert Jachard: “l’altro, come individuo o come gruppo, è prezioso nella misura in cui è dissimile”. Rokia è dunque una sirena moderna, la cui funzione è diametralmente opposta a quella che la mitologia tradizionale affidava a questi esseri. Più che far perdere il senno e la via, la Traorè sembra volerci aiutare ad orientarci. Dapprima oscura e poi luminosa, come una stella vespertina.

Davide Zucchi

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