I posti auto per i diversamente abili sono sempre vuoti, quando si cerca parcheggio da mezz’ora il pensiero di non poterli occupare è frustrante. Certe disposizioni politically correct risultano perfino scomode a chi ha la fortuna di potersi definire “normale”. Ma sono anche l’unico mezzo che garantisce una parvenza di normalità a chi convive con un handicap.
Abbiamo voluto incontrare alcuni di loro e raccontarvi le loro storie.
Benvenuti nel mondo della sedia a rotelle: un universo parallelo che in fondo è uguale al nostro, solo visto da una diversa prospettiva.
ANTONIO, 49 anni, sulla sedia a rotelle dal 2003.
La sua moto travolta da un camion. Poi la corsa in ospedale, e le settimane in terapia intensiva sospeso tra la vita e la morte.
Questa parte della sua vita Antonio la chiama “il brutto incidente”, quella che per lui ha significato un limbo doloroso, fino alla definitiva, durissima diagnosi: la conferma che la sua vita si era spezzata. Tra la quarta e la quinta vertebra, per esattezza. Paralizzato dalle spalle in giù, questa la nuova realtà che ha dovuto accettare con se stesso e con la sua famiglia.
“É dal momento in cui ti siedi che iniziano i drammi. Io ho dovuto imparare a stare sulla carrozzina, conoscere la carrozzina, le mie forze e le mie barriere. A distanz
a di sette anni è ancora un continuo avanzare come i bambini piccoli. Qualche anno fa ho avuto la febbre altissima. Il dottore pensava avessi la colecistite, ho fatto l’intervento e sono stato meglio. Ma per la diagnosi è andato tutto a tentativi: non potevo dire “mi fa male qui, sarà questo”. Io non ho dolore. Chissà cos’è questo!”.
Antonio oggi lavora in un ufficio, guida la macchina e cerca di conciliare il più possibile il suo handicap con la volontà di una vita “normale”, anche se non è sempre facile. “Vorrei fare più attività fisica, ogni tanto vado a nuotare. Ma non sono molte le piscine attrezzate per chi è come me, mentre di palestre per fare sport non ce ne sono del tutto!”.
Alla fine dell’intervista, prima di andare Antonio ci racconta anche di quanti ragazzi ha conosciuto in questo ambiente, rimasti paralizzati da giovanissimi a causa di un incidente il sabato sera o di una bravata finita male. “Io ho una certa età, ma a sedici, diciassette anni sembra che uno non abbia vissuto davvero. E sono molti più di quanti si possa immaginare”.
A.B., 70 anni, poliomielitico dalla nascita, sulla sedia a rotelle da dieci anni.
Com’è muoversi a Milano in carrozzina?
Beh, la metropolitana non l’ho mai presa perché può succedere che l’ascensore funziona dove sali ma non dove arrivi. Anche con gli autobus non ho esperienze. Andare in giro per strada è pericolosissimo, il giorno che c’è il lavaggio delle strade parcheggiano le macchine sul marciapiede, con la carrozzina bisogna andare in strada ed è pericolosissimo.
Cos’è cambiato, relativamente alle cure, nel corso della sua vita?
L’attenzione è cambiata. Io ho camminato fino a 39 anni senza ausilio, sbattevo le gambe ovviamente, e se c’era vento forte perdevo l’equilibrio; una volta sono caduto. Quando sono andato in pensione, nel 2000, sono finito sulla carrozzina a causa dei dolori. Ciononostante non mi sono “seduto”, faccio molte cose: data la mia esperienza in banca, curo gli interessi della mia famiglia e di altre persone. E poi faccio volontariato per il centro “Il Gabbiano”. Da qualche mese inoltre ho una nipotina da curare! Ogni tanto vado in parrocchia, e ultimamente faccio anche teatro.
Per quanto riguarda la vita domestica, è la casa ad adattarsi a lei o è lei ad adattarsi alla casa?
Sono io ad essermi adattato, e non ho chiesto alla casa niente in più di quello che ho. C’è un seggiolino tra water e lavandino, e un altro a cui mi appoggio, ma sono seggiolini dell’ Ikea per intenderci! Nella doccia abbiamo tolto un vetro, così riesco ad entrare, e c’è un seggiolino. Solo queste cose.
Tiriamo le somme: cosa le toglie e cosa le dà la sua condizione?
Mi toglie tanto. Pensa che non ho un ricordo di vita sana. Cosa mi ha dato… ecco, guardiamola dal lato positivo, mi ha dato una famiglia, un diritto al lavoro in quanto categoria protetta, per essere alla pari con gli altri. Nella vita c’è il buono e c’è il cattivo, il cattivo
X, 54 anni, affetto dal morbo di Wilson da quando aveva 24 anni.
X ha un nome, un cognome e due bellissimi occhi azzurri, ma per ragioni di privacy possiamo parlare solo di questi ultimi. Sono il primo e più immediato mezzo che lui ha per comunicare. L’altro è una macchinetta rossa dalle lettere usurate, che impiega per scrivere brevi messaggi. Ma per rilasciare questa intervista ha voluto a tutti i costi battere le sue risposte sulla tastiera del proprio computer.
Come hai attrezzato casa alle tue esigenze?
Cerco di adattarmi io.
Cosa ti piace fare, di solito?
Uscire. Di solito al bar.
Come ti trovi a girare per Milano con la carrozzella?
Male. Molto male. (Dietro di lui Giacomo Marinini, presidente dell’associazione “Il Gabbiano”, ricorda di quando sono andati al museo di Storia Naturale e non hanno incontrato problemi né con l’ATM né con la struttura. X ci pensa un attimo, poi prende a battere) Sì, ma è stato un caso. In genere gli autobus hanno la pedana, ma è rotta!
Che rapporto hai con le altre persone?
Buono. Anche perché io sono molto socievole quando sono fuori.
DAVIDE, 24 anni, affetto da tetraparesi spastica e MICHELE, 23 anni, affetto da spina bifida. Entrambi studenti alla Statale di Milano
Com’è muoversi a Milano con la carrozzina?
D: È complicato, non in tutti i marciapiedi ci sono gli scivoli. Clamorosamente ce ne sono più in periferia che in centro. Tram ed autobus sono accessibili, a parte quelli vecchi che non sono più molto frequenti. Noi abbiamo a disposizione un pulmino, gratis per me e per un accompagnatore, basta fare una tessera per disabili.
M: Io aggiungo solo una chicca: solo la linea gialla della metro ha gli ascensori, non in tutte le stazioni, e in piazza Duomo ce n’è uno solo. In Centrale non esiste nemmeno, c’è un montascale che una volta su 2 non funziona. E la scala mobile per un disabile in carrozzina è impraticabile, vuol dire rompersi l’osso del collo.
E in università?
D: È tutto a posto, diciamo che nella sede di Scienze Politiche non ci sono posti dove non si può accedere.
M: In Festa del Perdono è un po’ diverso, non si può raggiungere Crociera Alta perché l’ascensore è troppo stretto. L’ultima volta mi hanno aiutato in quattro sulle scale.
D: Uno dei due ascensori vicini all’Aula Magna è largo abbastanza per noi, ma non arriva a tutti i piani.
E proprio nell’atrio dell’Aula Magna hanno appena rifatto la rampa, allungandola e facendula girare ad angolo, che ne pensate?
D: È una cosa buona, ma fare quella rampa è faticoso, pur essendo a norma, perché l’inclinazione c’è. Io mi sono dovuto far spingere: non vuol dire che da solo non ce la fai, però arrivi stanchissimo. Ad ogni modo non potevano fare di meglio con lo spazio che avevano.
M: Per farla da soli occorrono una forza ed un fiato enormi, perché è pendente e lunga pur essendo appunto a norma, ma con una mano si fa.
Come vi organizzate per uscire la sera?
D: Nella maggior parte dei locali non si riesce ad entrare se si ha la carrozzina elettrica, perché spesso c’è un gradino alto.
M: Infatti, quattro persone possono sollevare una carrozzina “semplice”, mentre non ce la fanno con una elettrica con motore e tutto.
D: La cosa assurda poi è che in molti locali pubblici non c’è il bagno per disabili.
M: Però qualcuno lo trovi, dai. Se ti sbatti un po’ li trovi.
E voglia di sbattersi, di darsi da fare, tutte queste persone ne hanno da vendere. Conciliare la forzata dipendenza dalla sedia a rotelle con il naturale desiderio di autonomia è una sfida non da poco, ma perseguita con grande coraggio, e spesso con poca risonanza nella vita delle persone “normali”. Noi, portando all’attenzione di voi lettori le loro storie, speriamo quantomeno di avervi stimolato a guardarvi intorno da un’altra prospettiva, e magari a pensarci su prima di parcheggiare senza problemi sul marciapiede.
Elisa Costa e Alice Manti
Associazione “Il Gabbiano - noi come gli altri”
Tra le persone che abbiamo intervistato due ci sono state indicate dall’associazione ONLUS “Il Gabbiano”, che ha sede operativa in via Ceriani 3 (zona Baggio). È dotata di una comunità alloggi e si propone di creare occasioni di svago, di dare supporto psicologico alle persone disabili e alle loro famiglie mediante un Centro d’Ascolto. Fornisce inoltre servizi di orientamento e consulenza legale.
L’Associazione è in cerca di volontari: chi fosse interessato può contattare i responsabili allo 0248911230, o mandare una mail all’indirizzo associazionegabbiano@tiscali.it