13 dicembre 2006

FINANZIARIA E CONTRADDIZIONI: PIU' SOLDI PER LE SPESE MILITARI

Cosa succede se il governo dell’Unione stanza più fondi per le forze armate di quello della Cdl..

Uno strano spettro s’aggira all’interno della Finanziaria in via di approvazione al Senato, la finanziaria dipinta dall’opposizione come la manovra dei tagli, delle tasse e della “proletarizzazione dei ceti medi”. Lo spettro del militarismo. Uno spettro inquietante, soprattutto perché partorito da un governo che aveva messo al centro del proprio programma il disimpegno italiano da un teatro di guerra come quello iracheno e l’incentivazione di politiche di disarmo (vedi pagine 90, 91 e 109 del programma dell’Unione). E invece nella manovra compare un aumento di circa 2 miliardi di euro sui fondi destinati alle spese belliche. Si va dai 18 miliardi e 862 milioni di spesa militare del 2006 (di cui 17.782 milioni dal bilancio della Difesa e 1.080 aggiunti dalla vecchia finanziaria), ai 21 miliardi e 144 milioni previsti per il 2007 (di cui 18.134 milioni sempre dal bilancio preventivo della Difesa e 3.010 dalla manovra 2007). Qual è il motivo di un tanto inatteso e sorprendente aumento degli stanziamenti?

Andando a spulciare si scopre che, detratte le spese di mantenimento del personale – i circa 193 mila uomini al servizio delle forze armate – che coprono il 72 % del bilancio, rimangono più di 4 miliardi di euro (spalmati su 3 anni) destinati a finanziare un fantomatico “Fondo per il sostegno dell'industria nazionale ad alto contenuto tecnologico”.

In parte si tratta di progetti già avviati dai precedenti governi, come la partecipazione al faraonico progetto (a guida americana) di costruzione del cacciabombardiere del futuro, l’F35-lightning II, e la parallela collaborazione al suo omologo europeo, l’Eurofighter Typoon, a fianco di Germania, Inghilterra e Spagna. Progetti molto discutibili ma che non esauriscono il quadro degli spese previste nei 4 miliardi del succitato fondo.

Ecco allora comparire – come rivela Carlo Bonini in un articolo su Repubblica di qualche tempo fa - una commessa (del maggio scorso) ad Oto Melara per 49 veicoli blindati su ruota “Freccia”, muniti di torrette per il lancio di missili anti-carro. Piccolo particolare: i veicoli monteranno missili “Spike”, costosissimi apparecchi di fabbricazione israeliana, del valore cinque volte superiore al loro omologo americano, il “Tow”. Perché l’esercito italiano dovrebbe munirsi di queste apparecchiature, considerate troppo costose perfino dall’esercito americano e ignorate pressoché da tutti i paesi della Nato è un mistero che può sciogliere solo l’ex-ministro della Difesa Martino, l’inventore di questa geniale trovata. Un capriccio su cui l’Unione però, dal canto suo, non ha trovato nulla da ridire. Valore dell’operazione 310 milioni di euro.

Assemblati sempre da Oto Melara (seppur fabbricati in Germania) risultano anche 72 obici semoventi (per il valore di 650 milioni di euro) che verranno acquistati per la difesa delle nostre frontiere. Questo malgrado siano pezzi d’artiglieria immaginati per combattere conflitti di posizione lungo linee anche di centinaia di chilometri; conflitti che, per nostra fortuna, non sono previsti a breve scadenza lungo i confini italiani.

Spese alquanto imbarazzanti ma fortemente richieste dagli stati maggiori dell’Esercito e che serviranno – assicurano dalla Difesa – all’«ammodernamento delle nostre forze armate». E che, soprattutto, porteranno grandi proventi, attraverso Oto Melara (ed altre controllate come Vitrocisnet) nientemeno che a Finmeccanica. I cui vertici, guarda caso, provengono tutti dagli stati maggiori delle forze armate. Il tutto in barba alla legge 185 del 1990 che impedirebbe il travaso di personale dall’Esercito all’industria degli armamenti.

Qualche esempio? L’ammiraglio Guido Venturosi da capo di stato maggiore della Difesa alla Vitrociset, il generale Giulio Fraticelli da capo di stato maggiore dell’Esercito all’Oto Melara, il generale Mario Arpino dal medesimo stato maggiore alla Marconi (altra società Finmeccanica). E poi il generale Sandro Ferracuti e l’ammiraglio Marcello de Donno, rispettivamente dagli stati maggiori di Aeronautica e Marina ad Ams e Agusta (altre due società Finmeccanica, impegnate nella produzione di radar ed elicotteri). Molti degli impegni di spesa assunti da questa finanziaria con Finmeccanica risalgono all’epoca dei loro incarichi all’interno delle forze armate e, come sottolinea sempre Bonini: «portano anche le loro firme. Da generali, naturalmente».

Viene quindi da chiedersi se questo aumento delle spese militari non sia soprattutto un gran bel regalo a Finmeccanica, con la quale le forze armate italiane hanno rapporti a dir poco “osmotici”. Il che sarebbe non solo un gigantesco conflitto d’interessi, ma anche una seria minaccia nei confronti delle politiche di disarmo e pace previste nel programma dell’Unione.

Francesco Zurlo

1 commento:

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