17 marzo 2011

Mameli: la giovanile turbolenza di un eroe risorgimentale

Quanto si può fare per la patria in ventuno anni di vita? Goffredo Mameli nasce a Genova il 5 settembre 1827 da un ammiraglio della marina sarda e dalla marchesa Adelaide Zoagli Lomellini. Fin dai primi anni della sua breve esistenza, Mameli è circondato da uomini politici e da intellettuali che frequentano la casa dei genitori. La spinta patriottica viene da Giuseppe Canale, uomo di grande cultura e vicino ai mazziniani; a vent’anni Mameli ha già scritto diversi componimenti poetici, e comincia a studiare Filosofia all’università di Genova, dopo un breve esilio in Sardegna dovuto allo scoppio della peste. Spirito turbolento e rivoluzionario, abbandona l’università l’anno seguente a causa della sua incostanza e dell’interesse politico. Entra a far parte della Società Entelema a Genova, inizialmente devota alla cultura e trasformatasi poi in un vero e proprio ambiente di discussione politica tra i democratici genovesi. Mameli è tutt’altro che uno spirito semplice: declama versi patriottici nelle piazze e sventola il tricolore, sebbene tale gesto sia proibito ufficialmente; nel 1848 si reca a Milano per aiutare Nino Bixio durante le Cinque Giornate e partecipa attivamente alla battaglia. Per le strade di Milano già tuona imponente l’Inno degli Italiani, scritto un anno prima dal giovane genovese, poi musicato da Michele Novara. La testimonianza più diretta dell’episodio della stesura del nostro inno è di Carlo Alberto Berilli, patriota e poeta, amico e biografo di Mameli. Il foglio con le parole scritte dalla mano di Mameli giunge a Torino in un salotto di intellettuali, tra cui il musicista Novara; pochi istanti bastano per capire che quel testo sarà l’inno di battaglia, la voce unita di un popolo unito (Raccolgaci un'unica/bandiera, una speme:/di fonderci insieme/già l'ora suonò), poco tempo per musicare queste parole. Il 10 dicembre 1847 viene suonato l’Inno degli Italiani a Onegina, un quartiere di Genova, davanti a 30.000 persone (Fratelli d’Italia) – ai tempi era appena stata abolita una legge che vietava l’assembramento di più di 10 persone. Il 1848 è ormai a un passo (Dall'Alpi a Sicilia/dovunque è Legnano,/ogn'uom di Ferruccio/ha il core, ha la mano), la gente impara a memoria le parole di Mameli e continua a cantare per le strade: è uno dei tanti simboli del Risorgimento. I tentativi di censurare le parti più dure nei confronti degli Austriaci, ai tempi alleati (già l'Aquila d'Austria/le penne ha perdute.) sono vani tentativi di fermare una rivolta ormai certa.
Mameli muore giovanissimo, a 21 anni, per una ferita lieve di baionetta da parte di un commilitone: la conseguente infezione gli è fatale; oggi le sue spoglie riposano al Gianicolo, non si contano le lapidi, i busti, le statue in sua memoria in tutta Italia. I ventuno anni di questo ragazzo genovese dedicati all’Unità d’Italia. Che cosa possiamo fare noi?

Daniele Colombi

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