17 marzo 2011

150° anniversario dell’Italia unita: una piccola riflessione

“Viva l’Italia, l’Italia liberata, l’Italia del valzer e l’Italia del caffè, l’Italia derubata e colpita al cuore, viva l’Italia, l’Italia che non muore, viva l’Italia presa a tradimento, l’Italia assassinata dai giornali e dal cemento l’Italia con gli occhi asciutti nella notte scura, viva l’Italia, l’Italia che non ha paura..” Una delle particolarità che rende meravigliosa ed emozionante la poesia è quella intrinseca possibilità che ha ogni lettore che vi si accosti di renderla attinente alla propria quotidianità o ai propri sentimenti. Personalmente ho sempre creduto che i cantautori fossero i poeti contemporanei e, ascoltando queste parole scritte nel lontano ’79 da De Gregori, non mi è riuscito di trovarne di più adatte per descrivere la sensazione dell’avvicinarsi di questo discusso 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia. Come sempre più spesso accade, i dibattiti vengono sviluppati in maniera da renderli superficiali e ridurli a mere contrapposizioni. In questa stagione politica che sembra sedimentata da un tempo infinito sugli stessi temi (scandali sessuali, giustizia, corruzione ecc...) sui quali si confrontano gli stessi volti, finalmente il 17 Marzo offre un punto di riflessione per lo meno ideale e che può essere di interesse comune. Infatti, benché anniversari, commemorazioni, incontri sulle origini delle istituzioni sono le occasioni che solitamente solleticano la curiosità e la passione principalmente di chi si occupa di storia, qui non si tratta di una ricorrenza qualunque, bensì del 150esimo anno dalla nascita della nazione in cui abitiamo. Dal mio punto di vista le discussioni su questa data sono curiose: tempo fa quando pensavo al 150esimo non avrei certo previsto una polemica simile, non immaginavo che all’alba del 17 i miei concittadini intonassero l’inno di Mameli dai balconi, ma mi aspettavo l’iter tradizionale: festa nazionale, le persone più interessate avrebbero partecipato agli incontri o avrebbero letto qualche libro sul risorgimento che sarebbe sicuramente stato edito per l’occasione, e le persone meno interessate avrebbero accolto la giornata pensandoci pochi secondi, sorridendo e magari guardando il programma televisivo di approfondimento con ogni probabilità in palinsesto su Rai tre o su Rete 4. Invece in questi giorni abbiamo assistito a polemiche, Ministri dello stato italiano che sono indecisi se celebrare il 150esimo anniversario dell’istituzione di cui sono i rappresentanti, gruppi su facebook pro e contro e anche considerazioni su quanto sia giusto considerare questo 17 Marzo diversamente dal 17 Marzo dell’anno passato. Nel confronto politico, la recente istituzione della festa della Lombardia il 29 maggio, data della battaglia di Legnano, ha palesato l’ipocrisia che c’era alla base di ogni rimostranza del gruppo politico più avverso. Quell’ostinato ostruzionismo si è dimostrato chiaramente per quello che è: un mero strumento per portare avanti quella lotta politica in cui si chiede da sempre maggiore attenzione verso le realtà locali contro quello Stato centrale visto come oppressore se non addirittura come profittatore. La cosa che colpisce non è che un partito che miri a separarsi da uno Stato che reputa inefficiente non ne celebri la persistenza, ma che da molti questa condotta politica non venga ritenuta assolutamente fuori luogo. Gli anniversari sono momenti in cui una comunità, una famiglia, un gruppo, celebra il fatto di esistere dopo tempo, nonostante le difficoltà incontrate. I pochi o molti che avrebbero preferito non prendere in considerazione il fatto che quest’anno si presenti una ricorrenza importante per l’Italia, sono spinti da un motivo ben preciso: non vorrebbero far parte di questa Nazione, non sono orgogliosi del Paese in cui vivono. Criticare il nostro Paese non risulta un’impresa difficile, c’è chi sostiene che addirittura il denigrare i servizi inefficienti e le persone che detengono responsabilità, a ragione o a torto, è quasi anch’esso divenuto parte del costume nazionale. Ingiusto sarebbe nascondere i molti problemi che colpiscono l’Italia, ma è altresì impossibile decidere di non far più parte della cittadinanza. Il non votare, il lasciare che gli eventi ci scivolino addosso non ci rende meno partecipi della Nazione: ne siamo parte anche quando diciamo che ci vogliamo separare. Da Milano recarsi a Londra può costare meno che raggiungere Bologna, il che dà l’illusione di poter essere “qualcosa d’altro”, ma proprio quelle persone che hanno vissuto l’esperienza di lavorare, studiare, trascorrere una vacanza all’estero potranno testimoniare come siamo nel profondo genuinamente italiani. Siamo italiani nei gusti e nel modo di esprimerci. Ce ne accorgiamo anche solo quando, istintivamente, elogiamo un mezzo pubblico o critichiamo una pietanza paragonandola a ciò a cui siamo abituati. Quando cerchiamo la compagnia di altri italiani o quando magari li evitiamo. Siamo italiani anche se non ci piace. Siamo italiani, abbiamo un grande passato, una storia che, come tutte le storie, con le sue luci e le sue ombre merita di essere raccontata, soprattutto a chi tuttora ne fa parte. Ritornando a De Grgori, “Viva l’Italia con le bandiere, Viva l’Italia che resiste”. Ancora, dopo 150 anni, nonostante tutto.

Stefano Vallieri

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