Dei 39.5 milioni di persone infettate dal virus dell’HIV nel mondo, 5.7 milioni vivono nel subcontinente indiano. Ciò che emerge con chiarezza da recenti studi è che il contagio non avverrebbe tanto per via sessuale quanto per via ematica. Il principale veicolo di trasmissione del virus non sarebbero quindi le prostitute, facile capro espiatorio, contro le quali qui in India si punta il dito con tanto fervore, bensì le scarse norme igieniche delle strutture ospedaliere (dove le siringhe sono spesso semplicemente lavate e poi riutilizzate), degli studi dentistici e dei centri estetici (dove è raro che gli strumenti vengano sterilizzati).
Per chi ha contratto il virus la vita si trasforma in una lotta contro la discriminazione, ben radicata, nelle campagne come nei centri urbani con alto tasso di scolarizzazione, e fondata su saldi preconcetti ed errate convinzioni. La stampa riporta copiose testimonianze di ostracismo. Bambini sieropositivi buttati fuori da scuola per la pressione dei genitori dei loro compagni. Medici che negano il ricovero nelle strutture ospedaliere a pazienti sieropositivi. Addirittura grandi attori che si rifiutano di interpretare il ruolo di malati di HIV, perché ne andrebbe della loro reputazione. Fino ad arrivare al paradosso. Gli abitanti della zona che si oppongono alla cremazione del corpo del malato di AIDS nel crematorio locale.
Grazie alle decennali pressioni degli attivisti in quasi tutti gli stati indiani oggi il governo fornisce gratuitamente la prima linea di medicinali anti- retrovirali che rallentano la progressione dell’infezione. Ma non tutti coloro che avrebbero bisogno di questi trattamenti vi hanno accesso. Chi vive nelle aree rurali è costretto a sacrificare un giorno di lavoro per intraprendere il viaggio mensile (a suo carico) al più vicino ospedale per ritirare la sua quota di medicinali. Inoltre i frequenti ricoveri ospedalieri del malato con un sistema immunitario molto debilitato sono a carico del paziente. E se spesso le strutture sanitarie governative nelle aree rurali si rivelano insufficienti, le cliniche private sono assolutamente off limits per i loro costi proibitivi. Il malato deve poi provvedere ad una corretta alimentazione, con alta percentuale di proteine e ferro, il che si rivela difficile per famiglie di livello medio-basso. Per far fronte a queste spese spesso si ricorre alla vendita di tutte le proprietà o a prestiti. Inoltre la seconda linea di medicinali retrovirali non è gratuita, ma raggiunge la folle cifra di 8 /10 mila rupie al mese. (Un lavoratore salariato guadagna al giorno una media di 150 rupie). Sulla gratuità della seconda linea di retrovirali stanno ora insistendo gli attivisti, così come sulla necessità di campagne di sensibilizzazione ad ampio raggio, veicolate dai mass media, ben pianificate ed estese capillarmente fin nelle propaggini più periferiche del subcontinente.
Chiara Checchini
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