1 febbraio 2010

DA RILEGGERE PER LA PRIMA VOLTA - Prima Puntata

Tutti i libri che avresti sempre voluto leggere ma non hai mai osato aprire
(o almeno per tua spontanea volontà)

I PROMESSI SPOSI

“Noioso, noiosissimo”. Benchè generazioni di professori si siano prodigate per elogiare la sorprendente leggibilità del capolavoro manzoniano, soltanto l’oblio attenua il ricordo della noia patita sui banchi di scuola. Il giudizio tranchant mormorato a mezza bocca dallo studente di ginnasio spesso ci segue tutta la vita, lasciando il tomo a impolverare in libreria.
Noi così moderni, abituati ai ritmi serrati dello schermo, ci spazientiamo di fronte agli interminabili excursus; noi, laici e razionalisti, ci indigniamo per l’ingenuo provvidenzialismo del Manzoni; noi, disincantati pessimisti, storciamo il naso di fronte a conversioni improvvise e improbabili.
E anche chi, in preda a spinte mistiche, ama trastullarsi con il cosiddetto “recupero del sacro”, trova indigesto l’ottuso fanatismo di Lucia, la caramellosa bontà di Federigo Borromeo, il rigore teologico del Manzoni.
Niente di più falso.
Certo, non si può negare che in queste critiche vi sia del vero, ma troppo fa nella bocciatura senza appello la presenza ingombrante della scuola dell’obbligo. Ci perseguitano i terribili passi imparati a memoria (“Addio monti sorgenti dall’acque ed elevati al cielo, cime ineguali…”); le tracce di temi, piene di puntigliose analisi dei personaggi (“Analizza, nella notte degli imbrogli, il ruolo di Lucia e quello della madre Agnese etc. etc.”); l’estenuante confronto tra “Fermo e Lucia”, ventisettana e quarantana.
Ma immaginate di studiare “Il nome della rosa” imparando a memoria il prologo, sfiancandovi in temi sulla figura di Guglielmo da Baskerville contrapposta a quella di Bernardo Gui, e facendo magari delle letture comparate con il “Pendolo di Foucault”. Un trattamento simile ucciderebbe qualsiasi libro.
Proviamo invece ad estrarre l’autorevole mattone dalla libreria, spolveriamolo, e leggiamolo senza scadenze di tempo, come faremmo con qualsiasi altro libro. Subito la scrittura manzoniana, un tempo così lenta e farraginosa (per forza, il prof. si fermava ogni due righe), ci sorprenderà per la sua vivace espressività, semplice ma mai banale. Allo stesso modo, l’occhialuto intellettuale ottocentesco, impresso così nella nostra memoria, si trasformerà in un pungente castigatori di vizi, che senza far differenze tra i potenti e gli umili, ironizza a volte spietatamente sulle miserie umane.
Se continua a farci sorridere l’ingenua fiducia nella Provvidenza, l’indignazione del Manzoni per le ingiustizie diventa la nostra indignazione, e il testo dell’oppressione scolastica diventa un testo di ribellione. Troppo facile è poi ritrovare nei signorotti di allora i miseri protagonisti della nostra politica, gli sbruffoni dei privè o i cortigiani del piccolo schermo.
E poco importa se gli excursus ci annoiano ancora, detto inter nos, se anche li saltiamo non ci vede nessuno.

Filippo Bernasconi

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