7 luglio 2009

IL FAVOLOSO MONDO DI LELLA COSTA

Attrice, autrice, doppiatrice, musicista, scrittrice, conduttrice televisiva e radiofonica, “Una, nessuna e centomila”: è Gabriella “Lella” Costa.
Dopo il debutto nel 1980 e il diploma all’Accademia dei Filodrammatici con tanto di Medaglia d’oro, la milanese laureata in lettere in Statale ha sicuramente imparato l’arte, senza per ora volerla ancora mettere da parte. Lo testimonia non solo l’ultimo spettacolo con cui è in tournée, “Ragazze – nelle lande scoperchiate del di fuori”, ma soprattutto la vulcanica (in perfetta armonia con la nostra testata!) e solare energia che ci trasmette in occasione dell’incontro “Lezioni d’artista”, avvenuto il mese scorso in quel di Via Festa del Perdono.
In una carriera che l’ha vista debuttante come autrice nel 1987 con “Adlib”, si alternano una copiosa produzione teatrale (“Coincidenze”, “Due”, unico caso in cui non si ritrova sola sulla scena, “Magoni”, “Stanca di guerra”, “Precise parole”, fino ai più recenti “Traviata”, “Alice, una meraviglia di Paese”, “Amleto”), alla partecipazione a programmi televisivi come “Ottantanonpiùottanta”, “Maurizio Costanzo Show”, “Comici” condotto da S. Dandini e “Amici” nella prima edizione del 1992. E’ poi collaboratrice con una sua rubrica sulla rivista “Anna”, attrice cinematografica in “Ladri di saponette”, “Visioni private”, “Quando c’era Silvio”(2005), e infine doppiatrice nonché scrittrice per Feltrinelli, con la quale ha pubblicato prevalentemente raccolte dei suoi testi teatrali, ultimo “Amleto, Alice e la Traviata”, nel 2008.
Socialmente attiva con Emergency, e culturalmente con la partecipazione annuale al Festivaletteratura di Mantova, dopo ben due ore di intervista sul palco, la incontriamo per Vulcano, ancora vivace e disponibile.

Tra le influenze che hanno inizialmente segnato la sua carriera, oltre a Massimo Rossi, c’è lo scrittore polacco Mrozek, il quale sostiene che: “Qualsiasi cosa si svolge sulla scena ha un inizio e una fine, e soprattutto non ha alcuna conseguenza: l’esatto opposto di quanto accade nella realtà, dove ogni azione ha effetti che più si allontanano, meno sono prevedibili, tanto da risultare imponderabili”. Quanto la condivide?Che effetto vorrebbe i suoi monologhi suscitassero?
Ho lavorato su Mrozek in effetti solo all’inizio, in occasione de “Il macellaio” (lì facevo la flautista, e avevo una relazione impegnativa con un bel giovane. Insieme discutevamo sull’Arte, sull’Amore, e su tante cose belle impegnative. Questo è Mrozek, l’irruzione della realtà nel fantastico, e viceversa). La citazione è vera, ma lo è anche il contrario: la finzione la manipoli. Puoi suscitare effetti non drammatici, non epocali, ma c’è in tutto credo l’idea di innestare un meccanismo.

Perché solo monologhi?
Vocazione, predisposizione. Nei tempi in cui ho iniziato a farli, è stato un modo di produrre spettacoli senza oneri. Dopodiché è diventata una forma. Delirio sul palco a parte, posso scegliere quali contenuti mettere nella forma teatrale . Il bello è proprio metterci dentro ciò che si vuole!

Lei dice che “lo spirito è quello di recuperare grandi testi, raccontare storie critiche, che fan parte di memorie collettive, usandoli come pretesti legittimi per fare delle incursioni nel contemporaneo”. Otello, Traviata, Alice, Amleto. Se dovesse raffigurarsi in un altro personaggio, esclusi questi?
Considerando che una delle cose più pericolose di questa professione è l’immortalità, direi che l’ultimo ruolo, l’ultimo personaggio che vorrei interpretare è Prospero de “La tempesta”, di Shakespeare.

E gli altri personaggi cosa rappresentano?Frammenti, parti di se stessa?
Non è per identificazione il punto di vista, direi piuttosto per fascinazione, contrasto, opposto. Paradossalmente mi sento più empatica verso Otello che non Desdemona, ad esempio. Questa è la libertà di poter “giocare” con i grandi ruoli, laddove in tante lingue, russo compreso, “giocare e recitare” si esprimono con lo stesso verbo… Un motivo ci sarà!

Quali sono stati i suoi modelli di riferimento nella recitazione, se ce ne sono stati?
“E’lecito rubare, proibito copiare”. Ho rubato tantissimo, soprattutto dall’umorismo inglese, meno d’effetto e più costruito nel linguaggio. Franca Valeri, Walter Chiari sono esempi di persone che riuscivano a fondere senso dell’umorismo e ottima conoscenza della lingua italiana. Woody Allen è un altro punto di riferimento, per quella sua capacità di passare dal comico al malinconico. Non credo esista una grossa differenza tra comicità e malinconia.

Chi vorrebbe veder interpretare un suo spettacolo?
Nessuno, perché è talmente legato a me che non sprigionerebbe lo stesso senso!

Ritiene ci sia una “strategia”di tempo comico?
O ce l’hai o non ce l’hai. Io, se c’è, non la conosco. Non so tradurre in schemi riproducibili quello che so fare sul palcoscenico. L’attenzione ai tempi è però importante, onde evitare vuoti di scena…

Le piace vedersi?
No! Assolutamente no! Rivedo tutti i difetti!

In un’intervista a “Le invasioni barbariche” ha definito i maschi degli “analfabeti sentimentali”, visione che ribadisce ne “La Traviata”, storia d’amore “appassionante, disperata, ma anche lievemente irritante con tutti quei non detti e soprattutto quel dissennato fidarsi dell’intuito maschile”. Veniamo davvero da due pianeti diversi?
Al di là di ogni polemica, il discorso ovviamente non riguarda le singole persone. Tuttavia credo esistano per una configurazione di ruoli delle situazioni che per gli uomini non sono previste. Ciò che appassiona, ne “La Traviata”, è la figura di questa giovane donna che si assume sulle spalle il carico delle responsabilità e delle scelte altrui.

L’amore è…?
L’amore è… Vediamo… E’… impegnativo, serio. Non significa pesante, ma non si può pensare di cavarsela così. Ecco tutto.

Cosa ne pensa della situazione del teatro di prosa oggi in Italia?

Non si può non constatare un cambiamento di clima. E’difficile dare una risposta non banale… La televisione ha svilito, omologato il livello di curiosità del Paese. In più i fondi statali non hanno privilegiato la qualità, con la conseguente crisi del teatro d’avanguardia e di ricerca. E’ miracoloso che ci sia ancora un pubblico che si reca a teatro, considerando che i fondi pubblici che l’Italia investe rappresentano un terzo rispetto a quelli degli altri Paesi. Il teatro da solo non può farcela, e nemmeno i teatri che fanno il tutto esaurito, perché i costi sono altissimi! Non si fanno che tagli sulla cultura in generale.

“Ragazze – nelle lande scoperchiate del di fuori”è il titolo del suo ultimo spettacolo. Perché?
Il titolo deriva da una frase di I. Calvino. Alice finiva con Amleto (“se c’è un tempo per dormire e uno per morire - forse ce n’è anche uno infinito per sognare”), ma Amleto iniziava con la parafrasi dello stesso verso (“Esplodere o implodere - questo è il problema”). Calvino, appunto. Dopo i classici, era necessario tornare su una riflessione al femminile. Ancora da Calvino, attraverso la citazione appassionata che me ne ha regalato un’amica pittrice, ha cominciato a prender forma questo nuovo spettacolo, che ha come filo conduttore il mito di Orfeo ed Euridice…

Se potesse riscrivere qualche opera, cosa cambierebbe?
Cambierei i finali!”Giulietta e Romeo”, ad esempio… Tutti in positivo,ovviamente! Perché se lo meritano, lei e lui. Poi farei fuori altrove Iago, Giorgio Germont, il padre di Alfredo, tutti fatti fuori..!

E’ormai buio pesto. Il custode è al secondo richiamo, ci stanno per chiudere dentro, sono le 20… L’ultima domanda, un po’ marzulliana per la verità…


Se dovesse intervistarsi, che domanda si farebbe?
Mmm… Che domanda mi farei… E’ difficile… (Ride). Vediamo… Mi piacerebbe che s’indagasse sul lavoro che c’è dietro il palcoscenico, dietro la fluidità apparente che c’è sul palcoscenico. Sul fingere, s’indagasse di più cioè sull’importanza legata alla forma della finzione, ecco!
E comunque, Marzullo non l’avrebbe mai fatta questa domanda, perché non avrebbe capito la risposta!

Valeria Pallotta

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