19 novembre 2006

LONDON CALLING. UN DISCO ANCORA ATTUALE.

Ci sono pochi dischi che riescono ad essere più attuali a distanza di vent’anni di quanto non lo fossero all’epoca della loro uscita. O perlomeno tanto attuali quanto lo erano allora.

London Calling dei Clash è probabilmente uno di essi.

Siamo nel 1979: sono passati poco più di tre anni da quando i Sex-Pistols scandalizzarono all’ora di cena la middle-class britannica con insulti e parolacce in tv. E’ dicembre e Margareth Tatcher è appena andata al governo. Sono profetici i Clash quando nella title-track del disco di cui stiamo parlando cantano: “See we ain’t got no swing except for the ring of that truncheon thing [Guarda, non c’è più niente di swinging a parte il roteare di quel manganello]”. Sta arrivando un’era di repressione che colpirà tutti: i minatori in sciopero, gli irlandesi, gli abitanti delle Falkland. E’ il clampdown, il giro di vite, il pugno di ferro.

Ma la rabbia che infiammava le strade tra il West End e Notting Hill Gate qualche anno prima nella furia del ‘77 non si è sopita. E’ una rabbia che discende da generazioni di sfruttati e di esclusi da sempre ai margini dell’Impero. E’ la furia del rudeboy che ha accompagnato i Clash nel ononimo film sulle loro tournè, e più indietro quella degli angry young men e di tutti i ribelli della storia inglese. Una rabbia anti-sistema che può farsi scorticante violenza (auto)distruttiva come nei molti gruppi punk di fine decennio o esuberante gioia vitale, ricerca di mescolanza, festa, condivisione. In fondo anche il Jimmy Porter di Ricorda con Rabbia di John Osborne, capostipite di tutti gli arrabbiati inglese, trovava pace tra un maltrattamento della povera moglie Alison e l’altro, suonando selvaggiamente la sua tromba e sognando il jazz dei neri americani.

Anche i Clash dopo due dischi di abrasive canzoncine punkettare -“Got no money, can’t get no power and so you are punk [Non hai soldi, non puoi aver potere e quindi sei punk]” - lasciano trapelare una cultura musicale per ora a stento trattenuta e un gusto per la contaminazione a 360° gradi. Le sonorità rozze e urticanti di appena un anno prima lasciano il posto a una girandola di suoni e stili provenienti da ogni dove.

C’e il reggae di Revolution Rock o di Guns of Brixton – canzone che rieccheggia gli scontri violenti tra polizia e immigrati giamaicani nell’omonimo quartiere londinese.

C’è il post-punk antithatcheriano di Clampdown e la new-wave sgargiante di I’m not down. E poi il roots-rock di Rudie can’t fail, il blues di Jimmy Jazz, lo shuffling ska di Wrong ’em boyo, le sonorità alla Blues Brothers di The Right Profile.

Ma anche il rock latin-sentimental-resistenziale di Spanish Bombs (canzone dedicata alla guerra civile spagnola) o il raffinatissimo pop “alienato” di Lost in the Supermarket (piccolo gioiellino sulla perdita d’identità dell’uomo contemporaneo nel mercato globale).

C’è di tutto in questo disco, da cui discende gran parte della musica che ascoltiamo ancora oggi, ma sopratutto c’è l’invito a scavalcare barriere e confini, geografie, e ghetti musicali, mentali e razziali, a lasciar interagire ad ogni costo musica e idee.

Al giro di boa col nuovo decennio i Clash regalano la perla della loro carriera. Pochi comprenderanno la loro lezione nel bailame consumistico dei primi anni ‘80. Solo poco per volta inariditisi i fiumi di elettropop decadente e new-wave plastificata che invadono l’Europa all’inizio del decennio rispunteranno qua e là i frutti del loro insegnamento.

Saranno a Parigi nelle notti “patchancose”, bagnate di birra e di suoni dalla Manonegra, tra il 15° arrondissement e Place Pigalle. O nell’Irland punk-folkettara dei Pogues. E poi più giù fino ai giorni nostri nella barricadera Tolosa degli Zebda, o nella Galizia variopinta degli Amparanoia o ancora nel cavanserraglio del Radio Bemba Sound System (alias Manu Chao). E poi, anche oltreoceano, a Città del Messico nello ska-rock latino dei Maldita Vecindad o a Buenos Aires, nella mezcla de estilos dei Fabulosos Cadillacs.

Ma la lezione di London Calling va oltre. Rispunta dovunque culture e musiche diverse si fondono insieme, nei corpi e nelle idee che si muovono senza sosta di paese in paese, nelle navi della speranza che superano dogane e trattati con il loro carico di esperienze umane da condividere.

Francesco Zurlo

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