Vi voglio raccontare una storia.
Bant Singh viveva nel piccolo villaggio di Mansa nel Punjab. Nato dalit, intoccabile, è costretto a portare il peso della sua disgraziata condizione sulle spalle. A sopportare l’ostracismo, a convivere con una totale assenza di diritti, a sopportare il disprezzo di tutti i gradini superiori della piramide della società. L’anno passato, la figlia minore di Singh venne violentata da un gruppo di uomini di casta superiore. Molte donne dalit vengono violentate. Gli uomini di casta superiore non esitano a violarle sessualmente. La loro superiorità sociale rende quest’atto di sopruso quasi una riconferma del loro potere. Dei loro privilegi ormai assodati. Ma Singh portò il caso in tribunale. Osò farlo. Osò mettere in discussione un assetto sociale secolare. Osò, dal basso della sua infima condizione, alzare la testa. Osò ribellarsi contro il destino che l’aveva fatto nascere intoccabile. E la corte condannò tre dei violentatori all’ergastolo. L’upper class del villaggio decise di punire tanta insolenza. Singh fu dunque picchiato a sangue. Preso a colpi di spranga. Spietatamente. L’ospedale del suo villaggio gli negò le cure. Quando finalmente venne portato nell’ospedale della città più vicina era troppo tardi. La cancrena era già in fase avanzata. I medici furono costretti ad amputargli entrambe le braccia e una gamba.
I dalit costituiscono il 30% della popolazione dello stato del Punjab, considerato il granaio dell’India, e la metà di essi vive al di sotto della soglia della povertà. Sono sottoposti a continui soprusi e atrocità- si nega loro persino la possibilità di attingere l’acqua ai pozzi dei villaggi. Ma la quasi totalità di queste violenze non viene denunciata. Per paura delle repressioni. E delle rappresaglie.
Soltanto la presa di consapevolezza e la conseguente rivendicazione dei propri diritti potrebbe far mutare la disperata condizione delle donne e dei dalit. Soltanto il loro rifiuto a sottostare ancora a quella centenaria indegnità attribuita loro dalle alte caste. E forse non è un caso che Singh fosse proprio un membro del Mazdoor Mukti Morcha, movimento che si batteva per i diritti dei lavoratori agricoli.
Bant Singh viveva nel piccolo villaggio di Mansa nel Punjab. Nato dalit, intoccabile, è costretto a portare il peso della sua disgraziata condizione sulle spalle. A sopportare l’ostracismo, a convivere con una totale assenza di diritti, a sopportare il disprezzo di tutti i gradini superiori della piramide della società. L’anno passato, la figlia minore di Singh venne violentata da un gruppo di uomini di casta superiore. Molte donne dalit vengono violentate. Gli uomini di casta superiore non esitano a violarle sessualmente. La loro superiorità sociale rende quest’atto di sopruso quasi una riconferma del loro potere. Dei loro privilegi ormai assodati. Ma Singh portò il caso in tribunale. Osò farlo. Osò mettere in discussione un assetto sociale secolare. Osò, dal basso della sua infima condizione, alzare la testa. Osò ribellarsi contro il destino che l’aveva fatto nascere intoccabile. E la corte condannò tre dei violentatori all’ergastolo. L’upper class del villaggio decise di punire tanta insolenza. Singh fu dunque picchiato a sangue. Preso a colpi di spranga. Spietatamente. L’ospedale del suo villaggio gli negò le cure. Quando finalmente venne portato nell’ospedale della città più vicina era troppo tardi. La cancrena era già in fase avanzata. I medici furono costretti ad amputargli entrambe le braccia e una gamba.
I dalit costituiscono il 30% della popolazione dello stato del Punjab, considerato il granaio dell’India, e la metà di essi vive al di sotto della soglia della povertà. Sono sottoposti a continui soprusi e atrocità- si nega loro persino la possibilità di attingere l’acqua ai pozzi dei villaggi. Ma la quasi totalità di queste violenze non viene denunciata. Per paura delle repressioni. E delle rappresaglie.
Soltanto la presa di consapevolezza e la conseguente rivendicazione dei propri diritti potrebbe far mutare la disperata condizione delle donne e dei dalit. Soltanto il loro rifiuto a sottostare ancora a quella centenaria indegnità attribuita loro dalle alte caste. E forse non è un caso che Singh fosse proprio un membro del Mazdoor Mukti Morcha, movimento che si batteva per i diritti dei lavoratori agricoli.
Chiara Checchini
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