6 aprile 2011

L'Aquila, estate 2010 - primavera 2011

Frammenti di vita e tentativi di normalità

Il 28 luglio scorso Paganica, ormai nota località de L’Aquila, si è riempita di bambini, accorsi per la Giornata dello Sport. Le varie attività si svolgono in un parco e in una piccola piazza circondata da recinzioni e macerie. La collocazione lascia quantomeno perplessi, e forse non sono la sola a pensarlo, tant’è che nel pomeriggio un campo da pallavolo viene spostato più lontano. I servizi per i bambini sono molteplici: a Coppito, per esempio, c’è a disposizione il Parco Murata Gigotti, dove i bambini possono giocare con l’assistenza e la guida di alcuni volontari. In un angolo del parco qualcuno ha dimenticato

legni secchi e lana di vetro in balle. Qualcun altro invece contribuisce a badare alle “piccole aquile”, come Fabiola, quindici anni, di Coppito, che ci racconta di volontari che “nell’emergenza hanno dato la vita, messo tutti loro stessi”, e mostra un po’ di insofferenza verso alcuni aquilani che invece “al tempo del terremoto si lamentavano pur avendo quattro primi, tre secondi, dolce e frutta…non è normale, perché io dico: ti stanno dando l’anima, e tu ti lamenti. Nessuno ha la bacchetta magica”. Diverso atteggiamento è riscontrabile in molte delle persone che raccontano la loro vita dopo il terremoto. Peter Civisca, barista di Paganica, lavora in un container di quindici metri quadrati, di fianco ad un edificio classe E che un tempo era il suo bar-ristorante. Come ha fatto a ripartire con l’attività? “Io ho ricevuto, per ora, 800? al mese ad aprile, maggio e giugno 2009. Ho fatto domanda per avere risarcimenti di merci e per il fatturato degli anni passati, ma finora non ne ho avuti.”

E la ricostruzione? Un giro per Pettino, zona L’Aquila Ovest, consente di notare diversi container, che ospitano banche, uffici postali e molte scuole. L’ospedale è stato in parte ristrutturato, ed hanno riaperto alcuni negozi di un centro commerciale. Alla sede Caritas la mamma di due bambini, venuta ad informarsi per un posto di lavoro, racconta di esser rientrata nella sua casa più di un anno dopo il terremoto, perché i lavori di ristrutturazione non procedevano. Nel frattempo, è stata con la famiglia in un albergo. È spontaneo chiedersi nuovamente, come un anno fa, se gli aquilani terranno tosto. Certamente: non si può -o meglio, non si deve- fare altrimenti.

(Il 7 novembre 2010 Peter ci ha aggiornato sulla sua situazione: “Per me non e' cambiato nulla, e sono sempre in attesa di quelle domande che ho fatto al comune, le quali, se andranno a buon fine, rimborseranno solo in percentuale il fatturato dell'anno precedente il sisma.”, ndr)

Alice Manti


Oggi, 6 aprile, ricorre il secondo anniversario del terremoto. Di seguito una testimonianza diretta della situazione attuale da parte di un ragazzo aquilano.

"A oggi, la situazione qui a L’Aquila e dintorni è in continuo divenire. L’intervento della Protezione Civile ha dato l’opportunità di trovare una sistemazione dignitosa per tutti nel momento dell’emergenza. Abbiamo però ancora oltre 2000 persone alloggiate in hotel, di cui circa la metà sulle nostre coste. Di per sé il dato dice che il problema abitativo è risolto, ciò che i numeri non esprimono è l’aspetto umano di questa situazione.

Coloro che ancora alloggiano in hotel sono, per lo più, persone anziane e sole, strappate allo stile di vita semplice e di socialità alla quale erano legati. Molti di loro infatti non si erano mai allontanati dalle nostre montagne, e trovarsi da un giorno all’altro costretti a stare lontano dalla propria casa -frutto dei sacrifici di una vita-, dal proprio paese, dalla propria città e dai propri vicini è un’enorme sofferenza.

Per fortuna ci sono anche molte cose che funzionano. Gran parte degli edifici classificati B o C (ovvero edifici parzialmente inagibili con danni non strutturali), per esempio, sono stati riparati e, quasi come a voler esorcizzare l’accaduto, gli intonaci sono diventati tutti colorati: le nostre zone residenziali sono accese da case verdi, rosse, gialle, blu, come fossero un simbolo di rinascita.

Ma i nostri centri storici sono ancora ben lontani dall’essere ricostruiti. Avevamo una città e dei borghi circostanti davvero bellissimi e ora abbiamo perduto tutto. Senza i nostri vicoli, i nostri palazzi storici, le nostre fontane, sembriamo davvero un popolo senza identità, ci sentiamo disorientati. Provate a immaginare Roma senza i Fori Imperiali, Milano senza Duomo, Torino senza Mole Antonelliana, e potrei proseguire perché la caratteristica di noi Italiani è proprio quella di sentirci guidati e direi quasi rassicurati dai riferimenti che rendono la propria città unica e parte di se stessi".

Daniele, 28 anni, cittadino aquilano

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