Art. 101,
comma 1, Cost.
La giustizia è amministrata in nome del popolo
“L’autorità non è fine a se stessa. Ha senso di esistere soltanto se viene intesa come servizio: il potere viene conferito e deve essere accettato in funzione delle prestazioni che la comunità richiede.” (A. Scopelliti)
Viene oggi costantemente contestato il giudice che non accetta più di essere “registratore passivo” di scelte operate dal Parlamento o dal Governo, ma tende invece a diventare illuminato e sereno interprete della legge, secondo i valori normativi della Carta Costituzionale. Il giudice deve rimanere fedele ai suoi doveri di ufficio, anzitutto doveri di coscienza, né di destra né di sinistra. Il giudice deve essere custode della propria indipendenza, contro ogni tentazione ideologica e ogni sollecitazione di parte.
Ma è davvero così libero, il giudice, nelle proprie scelte, da poter influire sulla vita politica del nostro paese?
L’indipendenza del giudice nell’esercizio delle sue funzioni non significa arbitrio.
In base all’art. 101, comma 2, della Costituzione
I giudici sono soggetti soltanto alla legge
Tale norma costituzionale è da leggersi sotto due diversi profili, ponendo l’attenzione in un caso sull’ avverbio soltanto e nell’ altro sulla soggezione alla legge.
Nell’esercizio delle proprie funzioni il magistrato non incontra nessun altro vincolo se non quello della legge. Ciò sottolinea la sua indipendenza sia da organi esterni alla magistratura, sia dagli altri stessi giudici.
L’art. 101 della Costituzione rivela anche che l’indipendenza del giudice non equivale ad un libero arbitrio, ma ha senso solo nell’ambito di ciò che la legge prevede. Il giudice, nella sua libera interpretazione della norma astratta, deve comunque attenersi a quei dettami della legge formale che rispecchiano la volontà del legislatore.
Le due letture si integrano a vicenda e sono entrambe indispensabili. La legge fornisce al giudice la norma da applicare al caso concreto e costituisce l’unico vincolo ammissibile alla funzione giudiziaria. Dietro alla norma il giudice ripara la propria indipendenza, e su di essa fonda la propria impermeabilità ad influenze esterne. È quindi la legge stessa la misura cui la libertà interpretativa del giudice - anche rispetto ai cosiddetti “casi politici”- può e deve adeguarsi.
Quando il magistrato indaga, accusa, sentenzia, lo fa perseguendo un ideale politico, o perché costituzionalmente soggetto ai dettami della legge?
Massimo Brugnone
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