Alberto Nobili, Procuratore Aggiunto della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano, ha lavorato a lungo, fin dalla sua costituzione nel 1992, presso la Direzione Distrettuale Antimafia (D.D.A). Vulcano lo ha incontrato per approfondire insieme a lui il problema del difficile contrasto alla mafia e alla criminalità organizzata.
Qual è il campo d'azione specifico della D.D.A.?
La materia di cui si occupa la D.D.A è prevista dal Codice di Procedura Penale, che stabilisce per quali reati c’è la competenza esclusiva della DDA. Associazione mafiosa, sequestri di persona, traffico nazionale e internazionale di stupefacenti -purché sia configurabile l’associazione per delinquere-, e tutta un’altra serie di reati. Di recente sono tornati in auge, sia col fenomeno dell’immigrazione clandestina sia soprattutto con lo sfruttamento della prostituzione, anche la riduzione in schiavitù, la tratta degli schiavi e delle bianche.
Ci sono differenze di modalità di indagine fra Nord e Sud?
Il contrasto alla mafia è un fenomeno nazionale, cambia forse la tipologia. Qui al Nord la mafia è più industriale, imprenditoriale. Traffica in droga, come tutte le mafie, ma in più ricicla gran parte dei proventi nell'industria, che al nord è più sviluppata. Quindi è richiesta una maggiore penetrazione nel circuito economico per andare a scoprire i gangli del riciclaggio. Ma non dimentichiamo che anche qui abbiamo le cosche presenti sul territorio, quindi una tipologia di indagine, in questo senso, assolutamente identica a quella che si svolge al Sud.
La D.D.A riesce a stare al passo con i mezzi sempre più sofisticati della mafia?
I mezzi che noi abbiamo per contrastarla vengono un po’ alla volta ridotti. Avevamo prima un forte fenomeno della collaborazione con la giustizia – i pentiti. Fenomeno che adesso è molto diminuito, anche per una serie di interventi normativi non sempre condivisibili...vogliono anche restringere il terreno delle intercettazioni telefoniche. E, con questi blocchi agli ambiti investigativi, si rischia di far scappare ancora più avanti la mafia e renderne più duro il contrasto. Poi non c’è quella coesione politica fra tutte le forze istituzionali che ci lascia sperare in una condivisione completa di strategie contro la mafia. Purtroppo oggi la giustizia è un terreno di scontro tra le forze politiche, e questo è un regalo che si fa alla mafia, regalo involontario, ma è un regalo.
Approfondendo l’aspetto delle intercettazioni, quanto c’è di vero nel problema della perdita di privacy da parte di cittadini, e quanto sono invece necessarie?
Tutto starebbe a rispettare le regole. Solo le telefonate che hanno rilevanza penale dovrebbero essere utilizzate e poi conosciute o rese note. Il problema è che è stata esagerata la turbativa alla privacy per far sì che venisse modificata la legge, che in realtà non va modificata. Caso mai vanno inasprite le pene o vanno sanzionate le fughe di notizie, o le pubblicazioni illegali, che denigrano solo delle persone, ma non hanno rilevanza penale. Ma per l’intercettazione come mezzo di ricerca della prova, quindi come strumento investigativo, a mio avviso sarebbe un delitto modificare e ridurre il campo di applicazione. Speriamo che nel dibattito politico che è ancora in corso riaffiorino le vere esigenze della macchina della giustizia.
Le intercettazioni aprono l’argomento del rapporto con i giornalisti. Quando un procuratore può rendere pubbliche alcune notizie e quali può dare al giornalista?
Dunque, per buon senso, ad indagine completata è quasi dovuto questo atto di informazione al cittadino. E' giusto che si sappia che abbiamo dei mafiosi in casa, che c’è chi li contrasta, e che certi contrasti vanno in un certo modo piuttosto che in un altro. Deleterie sono le fughe di notizia durante l’investigazione, durante l’indagine. E se c'è qualcuno che viene a sapere o a captare qualche indiscrezione, io credo sia solo un danno terribile per chi indaga.
Com’è possibile che alcune persone vengano a sapere delle indagini in corso?
È possibile perché abbiamo dei giornalisti che fanno il loro mestiere, e spesso è anche difficile fargli capire l’importanza di non andare a turbare l’ambito investigativo. C’è purtroppo questo mito dello scoop, c’è il terrore di bucare la notizia, che fa sì che il giornalista, appena ha una notizia che ha un minimo di rilevanza, immediatamente la spara, fregandosene di quelle che sono le nostre esigenze.
Ma c’è un momento un cui il giornalista è utile all’indagine in corso?
Il giornalista se è un bravo professionista può anche essere utile nel momento in cui non turba la riservatezza che è propria di una certa indagine. Tante indagini sono partite da servizi di Striscia la notizia, delle Iene. Quello è buon giornalismo investigativo, purché poi non diventi eccessivamente invadente. Alcune situazioni sono state anche scoperte proprio da Report, da trasmissioni, così, più di attualità. Però poi, se l’indagine passa alla polizia e alla magistratura, direi che è il momento in cui uno deve un attimo fermarsi, salvo poi avere notizie sull'indagine completata.
E pericolo di infiltrazioni, magari del giornalista che vuole avere lo scoop o del mafioso che vuole sapere delle indagini?
C’è di tutto. Abbiamo avuto e abbiamo infiltrati anche qui al Palazzo di Giustizia che carpivano informazioni per darle ai giornalisti, o peggio alla mafia. Questo però è un male generalizzato. Noi abbiamo interesse a fare pulizia al nostro interno perché avere dei collaboratori infedeli e sleali è un danno enorme. Però il rischio è concreto. Nel periodo di Mani Pulite è nata questa familiarizzazione forte con la stampa, che fa sì che i giornalisti siano molto presenti nei nostri corridoi.
I due mali maggiori italiani sono la mafia e la corruzione. Purtroppo noi non vediamo un’adeguata attenzione a questi fenomeni. La mafia ha scelto da anni, dopo il periodo delle stragi, quando ha preso i colpi più duri -perché lo Stato non poteva non reagire dopo le stragi del ’91-’93- la via del silenzio. Per chi fa il mio lavoro è un silenzio rumorosissimo. Noi ci accorgiamo della presenza della mafia praticamente a ogni indagine degna di un certo spessore. Questa mancanza di morti, di stragi, di bombe, di tritolo ha un po’ distratto l’attenzione delle istituzioni, quasi se il fenomeno della mafia fosse un fenomeno contenuto. Ed è una cosa molto pericolosa, perché se un fenomeno pare contenuto sembra che lo si possa tenere sotto controllo. In realtà io non credo che abbiamo questa posizione di supremazia sulla mafia. La mafia avrà vita dura e la contrasteremo in tutti i modi, ma io temo che stia facendo dei passi avanti importanti, perché al silenzio scelto come strategia dalla mafia purtroppo sta corrispondendo anche un silenzio istituzionale, una disattenzione, e questo è un grave rischio.
….si fa quel che si può, ma vendiamo cara la pelle!
Massimo Brugnone e Giuditta Grechi