17 aprile 2007

VENT’ANNI DI ERASMUS

Il 2007 è l’anno in cui ricorre il ventesimo anniversario del Progetto Socrate-Erasmus, una tra le iniziative culturali più significative e di maggior successo promosse dall’Unione Europea. In occasione di questa ricorrenza, l’associazione Erasmus Student Network, la cui missione è quella di sostenere i progetti di scambio attraverso il principio dell’integrazione sociale e culturale, organizzerà diverse conferenze in tutta Europa.

Nell’ambito di queste celebrazioni, la sezione Erasmus Student Network dell’Università degli studi di Milano ha in programma due giornate interamente dedicate all’integrazione europea e agli scambi studenteschi. Il primo incontro è avvenuto venerdì 9 febbraio mentre il secondo avverrà nei mesi di aprile o maggio di quest’anno.

Per parlare di Erasmus è evidentemente necessario discutere più generalmente dell’Europa, perché questo è il territorio entro il quale il progetto prende forma e perché la sua piena realizzazione dipende dall’evoluzione di un ideale più ampio, che è quello di Europa unita, solida e comune. Innegabile tuttavia è che l’Europa ha avuto e ha tuttora davanti a sé un percorso non facile, costellato di ostacoli e diversità che talvolta possono apparire insormontabili, e a questo proposito, la dott.sa M.G. Covenaghi Smith, direttore dell’Ufficio del Parlamento Europeo a Milano, invita “a guardare agli studenti Erasmus come ambasciatori di una nuova idea d’Europa e più generalmente ambasciatori di pace, conoscitori di culture e tradizioni diverse, che hanno compreso in prima persona l’importanza della tolleranza e la grandezza della diversità”.

La prof.ssa Patey rileva un altro dato interessante. “Nei primi anni ’90”, dice, “i posti disponibili erano nettamente limitati rispetto alle domande di studio all’estero, ma negli ultimi 5 anni la tendenza si è invertita e assistiamo a una scarsità di domande contro un’abbondanza di offerta”. Si tratta evidentemente di un aumento delle borse di studio, ma la dott.ssa Moroni trova un’altra possibile causa di quest’inversione di tendenza “nella diffusione dei corsi di laurea cosiddetti 3+2, poiché l’ansia di concludere il percorso entro il termine stabilito disincentiva gli studenti a partire per l’estero”.

In effetti, i problemi che uno studente Erasmus può incontrare sono molteplici, come ad esempio il riconoscimento dei crediti nella propria Università al ritorno dallo scambio culturale, o il problema linguistico, dal momento che nei nostri atenei le lezioni vengono tenute soltanto in italiano. A questo proposito la prof.ssa Patey fa notare come “sarebbe necessaria l’individuazione di parametri di valutazione comune e la promozione di un bilinguismo culturale necessario a far passare le nostre ricchezze, senza il quale saremo condannati a una sorta di provincialismo culturale”.

Come rende evidente il prof. Bruti Liberati: “le differenze tra i 27 paesi membri sono tutt’oggi rilevanti”. Per farne alcuni esempi: “il reddito medio di un europeo è di 25.600 euro, ma in Lussemburgo si aggira intorno ai 75.500 mentre in Bulgaria è di 3.500; esistono 100 tipi diversi di patenti e 9 tipologie di prese elettriche; la diffusione delle tecnologie informatiche tra la popolazione svedese è dell’80% contro il 23% di quella greca”. Risulta pertanto lampante che “mancano i mezzi per fare l’Europa, senza i quali il percorso di unificazione, di uomini e culture, è ancora molto difficile e in salita”.

L’onorevole Europarlamentare Antonio Panzieri auspica “una maggior partecipazione dei cittadini al percorso di creazione dell’Europa”, considerando di fondamentale importanza il progetto Erasmus, “tanto per il raggiungimento dell’obbiettivo europeo quanto per la sensibilizzazione dei nostri giovani riguardo la validità e la necessità di sentirsi europei”.

Ora la parola passa agli studenti, italiani e stranieri, che stanno vivendo o hanno vissuto, un’esperienza di studio all’estero. Federico racconta: “sono stato a Barcellona 12 mesi, mi sono trovato bene e non ho incontrato grosse difficoltà a integrarmi con gli altri studenti Erasmus e non”. Per Chiara invece, che ha vissuto 6 mesi in Inghilterra, “non è stato semplice integrarsi con la gente del luogo, e i rapporti in un primo momento sono stati perlopiù con altri studenti Erasmus”. Lorenzo tiene a sottolineare che “durante il periodo di studio in Galles ho imparato lo spagnolo”, dimostrando come non sia strettamente necessario visitare un paese per conoscerne la lingua. Ultima, una ragazza finlandese, nota come “in Italia il programma di studio è molto più complesso e i professori più esigenti rispetto al mio Paese”.

Vorrei concludere con un passo da “L’Adolescente” di F.Dostoevskij, scritto intorno al 1874 “..il francese era allora soltanto un francese e il tedesco soltanto un tedesco… l’Europa ha creato il modello-tipo del francese, dell’inglese, del tedesco ma del suo uomo del futuro l’Europa non sa nulla… in Francia io sono francese, col tedesco sono tedesco e allo stesso tempo sono russo al massimo grado… per il russo l’Europa è preziosa quanto la Russia… non si può amare la Russia più di quello ch’io l’amo, eppure io non mi sono mai rimproverato per il fatto che Venezia, Roma, Parigi, con tutti i tesori della loro scienza e delle loro arti, e tutta la loro storia mi sono più care della Russia…


Barbara Ferrarini

15 aprile 2007

LA “BUFFA ITALIA” DI BRUNO BOZZETTO

Mi affascina di più chi affronta con ottimismo i mille problemi quotidiani della vita di chi attraversa il deserto in monopattino…” (Bruno Bozzetto)

L’espressione “Cinema d’animazione” evoca d’abitudine, soprattutto nei non appassionati al settore, le immagini edificanti di una Biancaneve dolce e leziosa o di buffe e bonarie fate madrine, fino ad arrivare ai più recenti e moderni capolavori della Pixar, grande araldo della computer animation, nei cui lavori la dose di ironia si fa sempre più pronunciata, mantenendo però indiscusso il suo status di “confezionatrice” di prodotti di ampio consumo e di sicuro successo al botteghino.

L’animazione d’autore invece è un universo sotterraneo vasto e variegatissimo, messo perennemente in ombra, oltre che dalle più ricche e pubblicizzate produzioni hollywoodiane, dalle serie televisive, come le celeberrime quanto spesso mal interpretate serie giapponesi. Con poche eccezioni, il resto è confinato nei festival.

Un esempio di cineasta che, pur realizzando opere indubbiamente d’autore è riuscito ad evadere dalla cerchia ristretta dell’animazione indipendente e ad inserirsi, almeno in parte, nei circuiti ufficiali è Bruno Bozzetto. Piuttosto noto anche al vasto pubblico, nell’ambito dell’animazione Bozzetto si è cimentato un po’ con tutte le tipologie possibili, dividendosi tra il cinema, con apprezzati lungometraggi come “West and soda” o “Allegro non troppo” e la tv, con serie televisive (“spaghetti family”) ed il lavoro nell’ambito della pubblicità e nelle campagne di sensibilizzazione, un esempio per tutti, “La libertà”, commissionato dal comune di Bergamo in occasione delle celebrazioni per i 60 anni dalla liberazione.

Secondo la mia opinione però, il genere in cui emergono in modo più dirompente i punti di forza di questo straordinario autore sono i cortometraggi, perché in essi è possibile godere della sua mirabile capacità di sintesi, in grado di concorrere in modo determinante alla resa comica e, allo stesso tempo, all’efficacia del messaggio di cui l’elemento comico è sempre portatore.

Protagonista di alcuni cortometraggi, oltre che di tre lungometraggi, è la sua creatura più celebre: un tipico italiano medio, di mezza età dall’eloquente cognome Rossi.

Ennesima rappresentazione di una piccola borghesia velleitaria e frustrata, tipologia già ampiamente illustrata, riconducibile in parte alla commedia all’italiana degli anni ’60, con i cui esempi più fulgidi il signor Rossi condivide una sorta di dignità di fondo, riscontrabile sotto il ritratto poco lusinghiero del peninsulare medio, come se oltre la satira fosse possibile leggere anche un velo di comprensione: la consapevolezza che si tratta comunque e pur sempre del prodotto della nostra società italiana, delle sue virtù e dei suoi tanti difetti.

Lo spirito di questi lavori, in bilico tra comicità pura, un fondo di malinconia e una dose di critica sociale, si ripresenta simile, anche se espresso in forma completamente diversa, nei vari cortometraggi. Come delle brevi allegorie, queste opere affrontano temi “seri” come la routine quotidiana e la nevrosi che genera, attraverso la stilizzazione grafica e l’iterazione dei gesti quotidiani, oltre che annose questioni come il tema della creazione (“Life” e “Adam”) o la storia del mondo, opportunamente ridotta all’osso e “ridicolizzata” al fine di far risaltare l’assurdità di tanti comportamenti umani.

Tra i tanti esempi significativi potremmo citare due opere a mio parere emblematiche ed in molti sensi assimilabili: “Vita in scatola” del 1967, geniale ricostruzione in sei minuti di durata, della vita di un uomo medio, dalla nascita al momento della morte e “Cavallette” (nomination all’Oscar nel 1990), una sorta di trasposizione del precedente su vastissima scala, ovvero la storia dell’uomo dalla preistoria al giorno d’oggi. I due cortometraggi, giocati sulla forte stilizzazione del segno, hanno in comune l’uso di un sonoro tanto eloquente quanto esula dal dialogo tradizionale. Le parole intelleggibili sono pochissime, funzionali a una maggior comprensione e alla resa dell’effetto comico mentre un ruolo preponderante è riservato ai rumori e alle musiche, che in “Cavallette” svolgono la funzione di sottolineare i “momenti topici” della storia dell’uomo. Ad esempio l’attacco della Marsigliese sancisce la decapitazione di Luigi XVI, mentre una solenne O fortuna accompagna le mire espansionistiche dell’Impero Romano. Momenti fondamentali per la comprensione del messaggio in entrambi i film sono gli intermezzi. In Cavallette una musica soave accompagna uno scorcio di prato verde popolato da insetti, simbolo evidente di una natura immutata e impassibile, in antitesi ad un’umanità sempre più caotica e votata all’autodistruzione.

Nel più “intimista” Vita in scatola, la grigia esistenza del protagonista, resa dal suo perpetuo andirivieni dalla sua abitazione ad un secondo edificio (di volta in volta la scuola, l’università, la fabbrica…) è interrotta da una musica edificante, accompagnata da un’esplosione di colori: è la fuga dalla realtà innescata nell’infanzia dal volo di una farfalla, dal momento dell’innamoramento, dalla nascita del figlio.

Questi sono solo brevi accenni, perché il lavoro di Bozzetto è vastissimo e merita di essere goduto in pieno: per gustarsi la sua dirompente comicità e per riflettere su tanti luoghi comuni o temi che diamo semplicemente per scontati. Particolarmente riuscita è la sua raffigurazione dello stile di vita peninsulare, ritratto con occhio disincantato ma bonario, dissacrante ma esente da giudizi, come chi si è totalmente immerso in una realtà, prima di raccontarla.


Laura Carli

11 aprile 2007

ARRIVA LA BACHECALLOGGI

Ecco la Bachecalloggi! Finalmente pronta, finalmente operativa!Un piccolo passo verso l’emersione del circuito universitario del mercato di alloggi. Una bacheca dove gli studenti possano trovare casa senza imbattersi nella confusione delle cosiddette “bacheche libere”. Trasparenza, visibilità effettiva degli annunci. Non solo: possibilità di confrontare i prezzi, fare statistiche, informare... Si tratta di un esperimento, una prima iniziativa partita per ora nella sede centrale di Via Festa del Perdono, nel punto di confluenza di tutti i corridoi. L’obiettivo futuro, se l’operazione avrà il seguito sperato, è di estendere l’iniziativa in Città Studi e in via Conservatorio. Occorreranno consenso, successo, e nuove adesioni al progetto.
Il primo sportello per la raccolta degli annunci è già attivo, in aula Pesci. Ci si arriva scendendo le scale che portano alla mensa, l’aula si trova appena superata l’aula informatica Bronxlab. Oppure, se provenite dalla direzione opposta, dovete superare le aule ex Bar. La porta è riconoscibile da una locandina affissa.

L’orario di servizio è il martedì dalle 15 alle 17, il giovedì dalle 11 alle 13: vi chiederemo di compilare un modulo che ci permette di affiggere l’annuncio e conservarlo per circa un mese, e, solo su richiesta, per un tempo più lungo. Ovviamente potete accedere anche al di fuori dell’orario di sportello. Per tutti gli inserzionisti è attivo infatti un numero di telefono: 0250312962 dove potete lasciare un messaggio per essere poi richiamati da noi. Oppure se preferite potete inoltrarci la richiesta via e-mail all’indirizzo bachecalloggi@libero.it

L’impegno è quello di raccogliere anche le domande di alloggio, al fine di favorire il contatto fra inserzionisti e pubblico, per cui chi cerca un alloggio non esiti a consegnarci la sua richiesta.
Bachecalloggi ambisce così a un ruolo di intermediario, ma solo a un fine di trasparenza e pubblicità: nessuna garanzia nè alcun costo di agenzia. Servizio gratuito da studente a studente.

10 aprile 2007

NON SI ESCE VIVI DAGLI ANNI '80 N°8

Il numero precedente vi ha resi partecipi dell’epopea yuppie di Micheal J. Fox con il suo apice e il suo commovente tramonto. Nell’anno 1986 però il modello ha un successo così dirompente che un uomo di nome Willard Huyck considera maturi i tempi per esportarlo in una galassia lontana, più precisamente sul Pianeta dei Paperi. Huyck è l’ingiustamente dimenticato regista di Howard e il destino del mondo, film di cui si parla sempre troppo poco, ma chi lo ha visionato in tenera età non lo ha più dimenticato, e di sicuro conserva almeno un disegno dal tratto infantile ma vigoroso in cui Howard il papero affronta gli Occulti Super Sovrani Dell’Universo.

Procediamo però con ordine: Howard è un giovane papero rampante, vive in un modesto appartamento, dalla sua segreteria telefonica apprendiamo che un’avvenente papera “sogna di passargli le dita tra le piume”, ma ciò nonostante lui legge Playduck. Nel mezzo della lettura però una misteriosa forza lo risucchia fuori dal suo loculo e Howard sotto lo sguardo attonito di un gangsta papero con piume nere e radiolona è proiettato nella volta celeste.

Il raggio traente proietta Howard a Cleveland che diventa rampa di lancio del papero per percorrere tutte le tappe del sogno americano: da anatra gigante squattrinata a manager di successo di una band tutta al femminile. Quella che Howard compie Howard ha tutte le caratteristiche dell’odissea, nel senso che presenta tutti i topoi dalla migliore filmografia yuppie-reaganiana degli anni ’80 a cominciare dai compagni di viaggio. La frontwoman del gruppo e quasi amante di Howard (c’è un’emozionante scena di seduzione) infatti è Lea Thompson, che oltre a viaggiare nel tempo con Micheal J Fox nel 1983 aveva salvato gli Stati Uniti dai bolscevichi invasori nell’epico Alba Rossa. Qui in attillato streetwear post Motley Crue affianca Howard nel suo difficile adattamento allo stile di vita terrestre, ma non è sola, poiché nei panni di un goffo assistente di laboratorio c’è il futuro pasionario Tim Robbins, è il copilota di Howard del mirabolante volo in deltaplano in cui il papero sorvola i cacciatori di anatre al grido “Tora Tora Tora!”. Ma le citazioni non si fermano, si fanno solo più colte: Howard non ha niente da invidiare al ragazzo dal chimono d’oro, ne sanno qualcosa i tipi loschi allontanati a colpi di Quack Fu e coperchi di secchi della spazzatura.

Il coronamento della scalata ( non senza prima aver salvato il mondo da altri alieni) sarà il bagno di folla del grande concerto della Lea Thompson Band dove Howard si produce in un assolo degno di Eddie Van Halen e conclude con lo stage diving di rito.


Nicola Spagnuolo

5 aprile 2007

CALCIO: DA HOOLIGANS A "FRIENDLY FANS"

Se questo è ciò che chiamate calcio, cos’è per voi una battaglia?” si chiedeva sconcertato nel 1829 un francese che assisteva ad una partita di calcio inglese. La testimonianza ci prova che la violenza associata al calcio non è una "degenerazione" dei nostri giorni; comunque i recenti, drammatici avvenimenti accaduti in occasione della partita di calcio tra Catania e Palermo costituiscono un’occasione ineludibile per una riflessione storica sul tema della tifoseria violenta, spesso nota col termine inglese hooliganism. Gli hooligan infatti sono nati in Inghilterra insieme col gioco del calcio, e per secoli sono stati un fenomeno tipicamente britannico. In realtà lo stesso gioco del calcio è nato come pratica sociale, più che sportiva, piuttosto violenta: l’iniziale forma di gioco, nota già nel 13° secolo, coinvolgeva in battaglie pressoché prive di regole gran parte dei giovani maschi di villaggi vicini. Le partite erano vissute, più che come occasioni per compiere prodezze con la palla, come opportunità di estrinsecare antichi rancori, pareggiare conti in sospeso e partecipare attivamente alla pratica "virile" dell’aggressione tribale. Precedute da forti bevute, le primitive partite si concludevano spesso con danni anche gravi a persone e cose. Anticamente l’opinione pubblica era piuttosto tollerante verso queste "intemperanze", ma già all’inizio del 14° secolo i commercianti chiesero di proteggere i mercati (e dunque i loro affari) dalle violenze che si originavano in occasione di incontri di pallone: così questo gioco fu ripetutamente messo al bando da editti reali fin dal 1314. Evidentemente però il calcio come forma violenta di competizione rimase in uso, e le partite, che impegnavano anche un migliaio di giocatori, continuavano ad essere associate a vandalismi di varia gravità a danno di magazzini, canali e mulini. Nel 19° sec. l’industrializzazione e l’urbanizzazione circoscrissero gli spazi deputati al gioco in arene man mano più piccole, all’interno delle quali furono prescritte severe regole di gara: i comportamenti violenti precedentemente praticati sul terreno di gioco furono ritualizzati, la pratica sportiva venne raccomandata come sana alternativa al bere alcolici, e il fair play lodato come caratteristica del buon cittadino. Una volta limitata l’aggressività fisica dei giocatori, si ridusse anche la violenza degli spettatori, e in questa forma il gioco del calcio, divenuto "rispettabile", venne esportato nel resto dell’Europa e del mondo. Tuttavia, pur se le regole sportive più severe hanno contenuto il fenomeno dello hooliganism, la diffusione del calcio su scala mondiale ha purtroppo portato con sé anche la diffusione di pratiche di tifoseria violenta. Le "rituali" invasioni delle curve dell’opposta tifoseria, generalmente più spettacolari che violente, alcune volte sono state la miccia che ha innescato battaglie cruente: negli anni ’50, in Iugoslavia diversi incidenti hanno coinvolto tifosi armati di martelli e spranghe di ferro, e in Turchia uno scontro tra tifoserie rivali armate di pistole e coltelli, protrattosi per giorni dopo la fine della partita, si è concluso con un bilancio di 42 morti e circa 600 feriti. Quali sono le ragioni profonde che originano simili comportamenti? Alcune teorie attribuiscono la responsabilità all’identificazione tra aggressività e virilità, a carenze educative familiari e scolastiche, ad insoddisfazione e noia derivanti dallo svolgere lavori ripetitivi, poco gratificanti e non idonei ad assicurare prospettive di miglioramento sociale, a radicate tradizioni di rivalità tra squadre, tifoserie, città e anche fazioni politiche. Alcuni sociologi ipotizzano poi che alcuni episodi, quali ad esempio le azioni di contenimento e repressione attuate dalla polizia, i servizi giornalistici e televisivi incentrati sui club delle opposte tifoserie e gli errori arbitrali, possano avere un ruolo scatenante su animi e comportamenti. Nonostante rischi e difficoltà, però, tenere alla squadra del cuore può dar luogo, in adolescenti e giovani, a benefici effetti relativi al processo di costruzione dell’identità e alla capacità di instaurare legami con un gruppo di riferimento. La comune passione sportiva, la celebrazione dei "riti calcistici" dell’assistere alle partite e del discuterne, la preparazione delle forme di incitamento alla propria squadra (hola, slogan, canti), i viaggi connessi con le trasferte possono costituire la base per il sorgere di vere e durature amicizie. E’ dunque compito congiunto di squadre di calcio, associazioni di tifosi, autorità ed educatori far sì che si diffonda un nuovo modello di tifoseria, che affondi le sue radici in una mentalità veramente sportiva. E in effetti se proprio un’associazione di tifosi britannici, la “Tartan Army” che raccoglie 5000 aderenti, ha vinto nel 1992 il premio “Fair Play” dell’UEFA, ci sono buoni motivi per credere che la trasformazione di supporters da hooligans in “friendly fans” sia possibile e concretamente realizzabile.


Flavia Marisi


1 aprile 2007

SQUILIBRIO DEMOGRAFICO IN INDIA

Con una popolazione composta per il 48% da donne, una popolazione di un miliardo e duecento unità, l’India vive una situazione di preoccupante squilibrio demografico. Il rapporto numerico tra i sessi è in India uno dei più sfavorevoli al mondo e le ragioni di tale sproporzione non sono soltanto attribuibili a fattori di natura biologica, ma sociale ed economica. In una società patriarcale qual è quella indiana la figura femminile ha da sempre subito discriminazioni. Una figlia femmina è un peso per la famiglia. Non potrà aiutare nella gestione della casa né dei beni di famiglia perché destinata a trasferirsi nella casa del marito non appena sposata. E condizione essenziale per il matrimonio è il versamento da parte della famiglia della donna di una cospicua dote alla famiglia del marito. Per questo motivo l’infanticidio femminile è da sempre stato il metodo più comune per la pianificazione numerica del nucleo familiare. E lo è tuttora, anche se oggi la medicina moderna ha reso la pratica più indiretta e più indolore e le ha dato nuovi nomi, come aborto selettivo. L’ ecografia si rivela il mezzo ideale per la selezione prenatale. Se prima la bambina veniva soppressa attraverso soffocamento, inserendole nella gola foglie di tabacco o semi, o ancora mettendola in vasi di terracotta poi chiusi da pesanti coperchi, ora è sufficiente un breve indolore intervento in una delle tante cliniche specializzate o negli ambulatori mobili allestiti su autovetture, che riescono a raggiungere anche le zone più remote.

Paradossale si rivela poi il fatto che il triste fenomeno non è prerogativa delle zone rurali o di quelle più povere, ma raggiunge i picchi proprio nel più prospero e industrializzato nord. In testa la zona di Delhi dove la sex ratio ( rapporto numerico tra maschi e femmine), nell’età compresa tra gli zero e i sei anni di età, è di 821 bambine ogni 1000 bambini.

Nel 1994 in tutti gli stati dell’India sono stati vietati i test che rivelano il sesso del nascituro, onde evitare la selezione prenatale. Ma questa legge non ha dato i risultati sperati.

Il governo ha recentemente preso seri provvedimenti per contrastare la pratica dell’infanticidio femminile e dell’aborto selettivo, pianificando l’apertura in ogni distretto di un centro- asilo dove le madri possano abbandonare le loro figlie indesiderate. Il ministro per lo sviluppo delle donne e dell’infanzia, Renuka Chowdury, parla di allarme nazionale e afferma che è una vergogna che uno stato come l’India, con un tasso di natalità del 9%, continui ad uccidere le sue figlie. Gli attivisti hanno rimarcato la totale inutilità del provvedimento, facendo notare come la maggior parte delle bambine sia ormai uccisa prima della nascita e non dopo. E hanno portato ad esempio i disastrosi risultati di una iniziativa analoga a quella governativa, portata avanti nello stato meridionale del Tamil Nadu, dove un numero imprecisato di bambine è morto di stenti, all’interno di strutture ospedaliere governative disorganizzate e scarsamente sovvenzionate.

Chiara Checchini