Era il Febbraio dello scorso anno quando il giovane filologo Marco Petoletti, già ricercatore dell’Università Cattolica di Milano, ha compiuto una delle più importanti scoperte degli ultimi anni. Nel corso dei suoi studi presso la biblioteca Ambrosiana si è infatti imbattuto in un codice particolare quanto prezioso: “gli ultimi studi sul codice (rivelatosi poi nientemeno che un autografo di Giovanni Boccaccio) risalivano al 1903, quando il Sabbatini interpretò quella scrittura così precisa, pulita e rilassata come un indizio inequivocabile di umanesimo e datò così il testo al XV secolo. Per quanto riguarda la mia ricerca, ho invece capito abbastanza in fretta che quella scrittura era del Boccaccio, perché avevo già studiato altri suoi autografi. Il codice si compone dell’intera opera del Marziale, provvista anche di quel “Liber Spectaculorum” che il Certaldese dovette provvedere a copiare da un antigrafo custodito, con ogni probabilità, nella biblioteca del monastero benedettino di Montecassino. Questa scoperta mi ha, a tratti, davvero emozionato, non solo per la personale venerazione con cui normalmente mi approccio ad un testo del Boccaccio, ma soprattutto per il fatto che nello scorrere il testo ho osservato il celebre autore del Decameron reagire al colloquio con un autore classico come Marziale. Boccaccio non è un postillatore folle come Petrarca, ma va ricordato che in alcuni luoghi del testo i suoi commenti sono ficcanti e dimostrano di essere frutto della penna di un grande uomo di lettere e scrittore. Sul testo di Marziale, Boccaccio si lascia andare a fortissime imprecazioni, che giungono a sfiorare il turpiloquio quando si imbatte nella lettura del celebre passo in cui il poeta latino loda smodatamente l’imperatore Domiziano. Qui appaiono le maniculae, sorta di eloquente “proto-gestaccio” che soltanto il Certaldese poteva permettersi. Tuttavia le glosse non si compongono solo di brevi notazioni, di mottetti, di giochi di parole e di irriverenti maniculae, ma anche di splendidi disegni. E’ certamente da sottolineare quest’attitudine alla raffigurazione figurale, perché i cinque schizzi che accompagnano il codice sono capolavori dentro al capolavoro”. La “scoperta” di Marco Petoletti ci regala quindi un Boccaccio per certi versi inedito e fa luce sullo stretto legame che unisce il “Padre della prosa volgare” ai classici latini. Il lungo lavoro filologico di attenta analisi testuale ha squarciato il velo di mistero che secoli di oblio avevano fatto sedimentare su questo codice. Per noi non addetti ai lavori è quasi commovente, vedere Boccaccio reagire al testo classico: da un lato Petoletti ha trovato riscontri di lodi per la raffinata poetica di Marziale, ma dall’altro ha trovato insulti veri e propri. E forse, proprio a questo rapporto così sanguigno, sincero e ancora ingenuamente medievale con i classici, dovremmo, almeno in parte, tendere oggi. Ispirarsi alla metodologia di lavoro testuale propria di un Boccaccio o di un Petrarca (si noti che una differenza tra i due, comunque, sussiste) vuol dire, senza troppi giri di parole, sapersi emozionare, arrabbiare e anche entusiasmare davanti ad un testo, classico o recente che sia. Se è vero, come dicevano i latini che “Historia se repetit” la filologia, come disciplina al limite tra lo scientifico e l’umanistico, con le radici ben piantate nell’humus dei classici, ha ancora molto da dire e da dare. Infine, sembra opportuno sottolineare il fatto che una scoperta tanto importante sia stata compiuta da un giovane ricercatore, che, per ovvi meriti personali ha avuto la possibilità di studiare anche il “Virgilio Ambrosiano” di Petrarca, uno dei libri più preziosi al mondo, conservato nella nostra Biblioteca Ambrosiana.
Davide Zucchi
Keep up the good work.
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