Bagni pubblici come luogo d’incontro e d’adescamento omosessuale da personaggi esterni all’università. Succede presso la sede di via Festa del Perdono, dell’Università Statale di Milano. I bagni sono quelli maschili del terzo piano, attigui al settore aule 432-435.
La notizia ci è giunta all’orecchio attraverso semplici “voci di corridoio”, ma è stato in particolare il racconto di uno studente a confermare la reale presenza di una tresca omosessuale all’interno dell’Ateneo. Lo studente, che in rispetto della sua privacy chiameremo U.B, iscritto a Scienze Storiche, segue abitualmente le lezioni nel settore aule in questione e, come molti di noi, è solito passare l’intervallo nella tromba delle scale per fare quattro chiacchere. Nelle pause tra le lezioni ha iniziato a notare spesso alcuni individui sconosciuti, che descrive: “tra i trenta e i quarant’anni, a volte persone distinte, in giacca e ventiquattrore, altre volte con indosso abiti appariscenti e inequivocabili”. Individui che sostavano in attesa fuori dall’uscio dei servizi igienici.
In più di un’occasione U.B. riferisce di aver visto questi uomini scambiarsi cenni ed ammiccamenti e poi chiudersi nei bagni. Fino a che un bel giorno, mentre si trovava presso gli orinatoi: “un tizio sulla quarantina ha aperto la porta del bagno in cui mi trovavo. La serratura era rotta”. Lo studente racconta che l’uomo lo “fissava insistentemente”, senza dire una parola, e che lo ha poi seguito presso i lavabi e nella tromba delle scale; “Mi girava attorno continuando a guardarmi e ad ammiccare con gli occhi, facendo cenni con la testa”, racconta U.B. Infastidito da questi espliciti atteggiamenti, ha perciò scritto una lettera indirizzata al nostro Rettore, per denunciare l’accaduto e avvisare l’università di ciò che accadeva all’interno dell’istituto. Ma la sua lettera è rimasta ignorata.
Venuti a conoscenza di questi fatti, abbiamo iniziato ad indagare. Ci siamo recati al terzo piano, per ispezionare i bagni descritti dallo studente, armati di macchina fotografica. Appena superato il settore aule abbiamo incrociato un uomo tra i trenta e i quarant’anni, che vestiva un giubbotto di pelle rossa e bandana, e che sostava davanti ai servizi igienici, dove già l’avevo incrociato qualche ora prima, quando mi ero recato a controllare le informazioni forniteci da U.B.
Varcata la soglia del bagno sulla quale è infisso il numero 436, basta oltrepassare un uscio di legno a battenti, per accedere agli orinatoi. Due delle tre serrature sono rotte, confermando il racconto di U.B, e le porte, come i muri interni degli orinatoi, sono ricoperte di graffiti osceni. La maggior parte di essi contiene espliciti messaggi sessuali, spesso accompagnati da numeri di telefono. Sebbene sia ormai consuetudine vedere in ogni bagno pubblico insulti, firme e graffiti vari, nel bagno 436 si trovano quasi esclusivamente annunci hard di uomini che cercano altri uomini, o promettono mirabolanti acrobazie sessuali agli studenti universitari. La stessa grafia è riconoscibile più volte, in più bagni all’interno dell’istituto. Sulle pareti e sulle porte ci sono addirittura lunghi dialoghi a sfondo omosessuale. Mentre ci troviamo sul luogo per scattare fotografie, un altro individuo sulla quarantina, piomba nel bagno e ci osserva stupito vedendoci intenti a ritrarre i graffiti, per poi defilarsi senza dire una parola.
Per raccogliere altre informazioni abbiamo cominciato a fare domande. Sebbene molti studenti che frequentano i corsi in quel settore dicano di non aver notato nulla, altri ci hanno invece confermato di vedere spesso facce estranee nei dintorni del bagno: uomini adulti, a quanto sembra esterni all’università. “Soprattutto il lunedì e il martedì ci sono sempre movimenti strani, anche nell’altro bagno” dice uno studente; “Io vedo spesso dei tizi qui nel pianerottolo, stanno lì e aspettano, ti fissano.” riferisce un altro. Altri studenti confermano le generali voci di corridoio denunciando la costante presenza di un individuo “ben vestito e curato” che attende per ore all’interno dei servizi igienici. Un altro studente, Marco, racconta di “un uomo basso, sulla quarantina, bandana e giubbotto di pelle rossa, l’ho incrociato spesso nei bagni. Un giorno mi ha fermato per strada, in corso Vittorio Emanuele e ha tentato un approccio esplicito con me”.
La tesi che il bagno 436 sia usato come luogo d’incontro e d’adescamento da omosessuali esterni all’università è anche avvalorata dalle parole del custode del piano, che dichiara di vedere, ad ogni turno, individui che definisce “gay” e “per nulla appartenenti a organismi universitari” sostare ore e ore dentro i bagni. Dice anche di averli mandati via più volte, e che “nei bagni del quarto piano la situazione è la stessa”.
Giacomo Berdini - foto di Marco Bettoni