In Italia solo il 30% dei bambini rom va a scuola, pur essendoci l’obbligo di scolarizzazione. Questo dato è strettamente connesso con quello riguardante la stabilità abitativa, le condizioni economiche e il contesto sociale: quando i genitori vivono ai margini della società e percepiscono un alto livello di ostilità nei loro confronti è più difficile che abbiano lo stimolo e anche i mezzi economici e pratici per mandare i propri figli a scuola.
I bambini sono iscritti principalmente alla scuola primaria, alla scuola media si registra già un calo e pochissimi ragazzi proseguono oltre nella loro istruzione. Ciò che è più grave, tuttavia, è il fatto che durante il loro percorso questi bambini incontrano molte difficoltà e poche persone e strutture disposte realmente ad aiutarli: spesso vengono abbandonati a loro stessi o inseriti in programmi di studio diversi da quelli del resto della classe, così che capita che in quarta o quinta elementare non abbiano ancora imparato a leggere e scrivere, o comunque si trovino ad uscire dalla scuola con una preparazione inferiore a quella dei loro compagni.
Alla base della loro difficoltà sta una differenza culturale di fondo: mentre la nostra cultura si basa su una tradizione prevalentemente scritta e ciò si riflette nelle modalità di apprendimento, la cultura rom è orale, come anche la lingua che li identifica come gruppo etnico, il romanes o romanì. Gli studi linguistici fanno derivare questo idioma dalle varianti popolari del sanscrito e riscontrano analogie con i dialetti oggi parlati nell’India del Nord Ovest. In seguito, nel tragitto che ha portato le popolazioni rom verso l’Europa nell’ VIII/XII secolo, essa ha subito numerose variazioni e ancora oggi è molto diversificata al suo interno. In Italia non è considerata una minoranza linguistica, ed ha subito moltissimo l’influsso dei nostri dialetti. La tendenza generale è però quella di acquisire la lingua del paese di adozione, come è accaduto per i rom della Romania. Ancora oggi non sono stati compiuti studi esaustivi su questa lingua, e non esiste una grammatica o una versione standard: la mancanza di una codificazione va naturalmente collegata alla base unicamente orale e alla forte varietà interna. Il sistema scolastico però non si è approcciato in modo consono a questa difficoltà di metodo: a fronte della evidente necessità di fornire un sostegno linguistico ai bambini qualcuno ha invece ritenuto che la diversità fosse da considerarsi un deficit da “sanare” e a Pavia alcuni insegnanti sostengono che sarebbe necessario un intervento di neuropsichiatria infantile. Ci sono dei fondi statali per il supporto educativo dei bambini rom nelle scuole, ma in generale la strategia è sempre stata quella di istituire dei laboratori a parte per colmare le loro lacune. In pratica, oltre a non fornire un livello di istruzione adeguato, questo strumento ha finito per portare a un’ulteriore esclusione dei bambini, che passano più tempo fuori dalla classe che insieme ai loro compagni, e svolgono attività separate.
Quello che manca, dice Maurizio Pagani di Opera Nomadi, è “un intervento di mediazione sociale. L’associazionismo cattolico sminuisce la centralità di questa opzione e la sostituisce con un imprinting culturale che categorizza l’altro come qualcuno che ha solo deficit.” Invece è necessario un rapporto di incontro culturale, anche con le famiglie: “ Quanto meno si interagisce tanto meno l’educazione riesce. Dove si è sperimentato un intervento più ampio anche coinvolgendo i genitori in attività lavorative si sono riscontrati risultati migliori.” Nel campo di Rho, dove è attiva l’associazione, tutti i bambini vanno a scuola e con un progetto di recupero anche alcune madri hanno conseguito il diploma di scuola media. L’associazione paga il viaggio e i libri. “La mancanza di un’esperienza positiva acquisita – spiega Pagani - impedisce l’innescarsi di un processo di emulazione”: anche per questo la situazione scolastica in molti altri campi è di tutt’altro genere. Resta il fatto che il principale impedimento alla scolarizzazione sono le possibilità economiche e il problema dell’abitazione, soprattutto quando la pratica degli sgomberi interrompe forzatamente il percorso di istruzione dei minori, oltre che un contesto sociale violento e problematico.
Irene Nava
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