Non bisogna mai stancarsi di ricordare come la legge bavaglio impedirà al pubblico di conoscere vicende rilevantissime per la vita pubblica, dal caso Scajola agli imprenditori che sghignazzano per il terremoto. Va riconosciuto però che si eviteranno anche degli abusi giornalistici: pensiamo alle pruriginose ma irrilevanti conversazioni di Vallettopoli, e forse (dipende dal testo defi nitivo che verrà approvata) si ostacolerà il lavoro del ras Vittorio Feltri, la cui cifra stilistica è ormai la pubblicazione di dossier riservati. A volte solo minacciata, vedi Fini, a volte messa in pratica, vedi Boffo o Di Pietro. Quando perfi no una legge dalla quale tutti prendiamo la dovuta, e siderale distanza, potrebbe avere dei rifl essi positivi, è bene che il disordinato cosmo del giornalismo italiano si chieda se sta esercitando in maniera davvero irreprensibile il proprio dovere di cronaca. Nell’ ambito di casi giudiziari particolarmente intricati, il compito dei media è quello di leggere gli eventi nella loro complessità, sintetizzando i dati, e astraendo il senso generale dei fatti. Oggi si preferisce una soluzione semplicistica e d’eff etto: il trapiantato dei documenti dalle cancellerie al menabò, infi schiandosene della comprensione dei cittadini.
I veterani delle inchieste giornalistiche ricordano che il lavoro professionalmente più meritevole è quello che fa scattare l’interesse della magistratura, non viceversa. Oggi, tra cronisti fedeli al “retroscenismo”, esempi di questo tipo mancano. Auguriamoci, dunque, che la battaglia contro l’indecente legge bavaglio aiuti i giornalisti italiani a rifl ettere, oltre che sul sacrosanto diritto di
cronaca, anche sul dovere di farla come si deve.
Gregorio Romeo
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