Cesare Segre, Dieci prove di fantasia, Einaudi, 2010
“Sta a voi scegliere tra questi frammenti di storia privi di connessione, e un vicenda (diciamo pure leggenda) che ha la sua logica e la sua bellezza.” L’opera letteraria è questo: una scelta. Si sceglie di approcciarsi a un testo, o un insieme di testi, in un certo modo, e di farli entrare nel patrimonio comune: questo corpus è però sempre arricchibile di nuove opere o anche di variazioni della stessa fabula, o nucleo narrativo. E questo in fondo il lavoro che si propone Segre, dopo una vita dedicata alla filologia e alla critica letteraria: mettere in parole quel procedimento di ri-uso fino ad ora solo analizzato, cimentarsi nel campo della narrazione rimanendo legato ai testi oggetto dei suoi studi. Ecco allora una diversa e sorprendente versione della storia di Rolando, qui cavaliere violento e gradasso, o la risposta di Charles Bovary allo scrittore che lo ha reso simbolo dell’inettitudine dello sciocco medico di campagna, o ancora le confessioni degli stratagemmi messi in atto da Isotta per celare al marito Marco la sua relazione con un Tristano imprudente e beffardo.
Forse l’aspetto più interessante di queste prove, non poi così fantasiose in verità, è quello metaletterario: il riuso dei testi non è semplice come crediamo, e anche se con l’avvento della stampa ci siamo abituati a considerare l’opera un fatto concluso, non sussistendo le tante versioni passate di bocca in bocca tramite i vari giullari, cantori, poeti di corte, in realtà il testo è polivalente e in continua metamorfosi e rigenerazione: diventato paradigma, le possibilità di lettura e di riscrittura sono sempre aperte. Pensiamo alla vicenda di Rolando-Orlando, tante volte interpretata già nell’antichità, a partire dalle origini orali fino alla grande poesia epica di Boiardo e Ariosto.
Tra eventi solo possibili, come l’ultima notte di Pavese, o diverse rappresentazioni di personaggi ormai divenuti quasi di carne e sangue nell’ immaginario collettivo, o improbabili interviste con Giulio Cesare che confronta i meccanismi di potere dei suoi tempi con quelli di oggi, l’autore a volte si lascia prendere dal tono erudito dello studioso, eccedendo forse in nozioni e dettagli un po’ scolastici, ma si risolleva con l’ironia della voce fuori campo o del punto di vista.
L’intervista immaginaria a Marie le Jars de Gournay, figlia adottiva di Montaigne, è una sorta di mise en abyme: come l’autore ha inserito del suo in storie da lui amate, così la donna è sospetta di aver variato gli Essais del padre nel curarne l’edizione. Quasi che, quando si ama troppo un testo, non si possa fare a meno di cambiarlo per rileggerlo sempre nuovo.
Cesare Segre, Dieci prove di fantasia, Einaudi 2010, p. 104, euro 12,00.
Irene Nava
Pino Cacucci, In ogni caso nessun rimorso, Feltrinelli Un foro di proiettile all’altezza del polmone sinistro, il volto completamente tumefatto. Ha le spalle piccole Bonnot, e guardando la fotografia del suo cadavere, a torso nudo, disteso su una tavola di legno, sembra quasi un ragazzo. Il giorno della sua morte era presente un intero esercito. Reparti della gendarmeria, carabinieri, vigili del fuoco, cittadini armatisi volontariamente per l’occasione, curiosi, cronisti locali e nazionali. C’era perfino una macchina da presa, agli esordi nel mondo della cronaca nera. Il giorno della sua morte, Jules Bonnot era l’uomo più famoso di Francia. Un anarchico, un assassino, un criminale, uno di quelli che dalla storia sono stati traditi, e che hanno cercato per tutta la vita la propria vendetta.
Con In ogni caso nessun rimorso, Pino Cacucci ci racconta la storia di Bonnot, di come, da figlio di un povero operaio orfano di madre, agli inizi del XX secolo sia diventato a sua volta operaio, poi soldato, padre e amante tradito, criminale, abilissimo meccanico, autista di Sir Arthur Conan Doyle, di nuovo amante, e infine capo della famigerata Banda Bonnot, la prima a usare l’automobile nelle rapine a mano armata. Quella che ci fa conoscere Cacucci è l’altra faccia della Belle Epoque, quella fatta di miseria, violenza, oppressione. È la storia con la esse minuscola, quella dei vinti, che si cerca di nascondere e dimenticare in fretta. Dietro gli sfoggi di modernismo e lusso dei salotti altoborghesi e aristocratici e delle corti europee, si celano la violenza e la corruzione dello Stato, lo squallore delle periferie cittadine, la mancanza delle libertà oggi più ovvie. Qualche riflesso del panorama dipinto da Cacucci giunge però fino ai nostri giorni: il lavoro che uccide, la repressione di piazza, le libertà personali in crisi, l’incapacità delle Istituzioni di volgere lo sguardo in direzione del progresso. E la distanza tra il nostro tempo e quello del racconto si fa ancora più sottile, quasi scompare grazie alla narrazione viscerale dell’autore. Gli odori e i rumori si fanno palpabili, la vividezza della rappresentazione è piena. Il lettore segue dall’interno i pensieri e lo stato d’animo dei protagonisti, ne è partecipe. Ma quando vorrebbe condizionarne il comportamento, i personaggi gli sfuggono di mano e seguono la propria strada. In ogni caso nessun rimorso è una storia, sono molte piccole storie, che si vorrebbero poter cambiare, ma che sono già state crudelmente scritte e archiviate dal tempo. Fellini diceva che Cacucci “è un artigiano, un costruttore di trame, di atmosfere e di personaggi”. E questo libro ne è uno splendido esempio.
Pino Cacucci, In ogni caso nessun rimorso, Feltrinelli, Milano 2001 (prima edizione: Longanesi, Milano 1994), p. 308, euro 8, 50.
Giuditta Grechi
Carlo D’Amicis, La Battuta Perfetta, Minimum Fax, 2010
Protagonista di questo romanzo è la famiglia Spinato.
Il padre, Filippo, uomo semplice ed onesto, maestro elementare, osserva la televisione, questa nuova invenzione, e intuisce fin da subito che porterà il popolo all’ignoranza più completa.
Il figlio, Canio, l’esatto opposto, elettore di Forza Italia, il cui unico scopo è piacere a tutti, rinominato Silvio II in onore del Silvio che adora tanto, si ribella all’ideologia del padre per scappare a Milano, diventando venditore di pubblicità e addirittura consigliere dello stesso Berlusconi.
Attraverso questo conflitto generazionale si rivela la tragedia della rivoluzione Italiana che, dopo essersi nascosta per anni dietro il perbenismo borghese, è passata all’apoteosi della superficialità.
D’Amicis denuncia così un popolo che si identifica nel mondo superficiale e fittizio dello spettacolo, comandato da pubblicitari, e La battuta perfetta parla proprio di questo, del nostro Paese, e del declino che si è meritato.
Carlo D’Amicis, La Battuta Perfetta, Minimum Fax, 2010, p.363, euro 15,00.
Francesca Di Vaio
4 gennaio 2011
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se fate le recensioni dei libri, almeno leggeteli prima...
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