6 giugno 2010

Diversi e stranieri: la Bergman e Rossellini

Dear Mr. Rossellini, I saw your films, “Open city” and “Paisan”, and enjoyed them very much. If you need a Swedish actress who speaks English very well, who has not forgotten her German, who is not very understandable in French, and who in Italian knows only ‘ti amo’, I am ready to come and make a film with you. Best regards, Ingrid Bergman.”

Con queste poche righe, l’8 maggio 1948, Ingrid Bergman si presenta a Rossellini. Il regista risponde lo stesso giorno, dicendo che la lettera era stata per lui il dono più prezioso. Inizia così il bellissimo rapporto sia professionale sia privato che durerà otto anni, per un totale di sei film, un matrimonio, tre figli e un divorzio.

Entrambi sposati prima di conoscersi, europa51si incontrano il 20 marzo 1948 a Ciampino, quando la bella attrice svedese atterra in Italia, dopo aver accettato di girare Stromboli, il primo film sotto la direzione del regista. Il periodo tra gli anni Quaranta e i Cinquanta è caratterizzato da un intenso fervore creativo di Rossellini, che, contemporaneamente ai film con la Bergman, si dedica ad altri progetti e gira altri film. Il lavoro che compie con l’attrice in “Stromboli”, “Europa ‘51”, “Ingrid Bergman” (episodio del film “Siamo donne”), “Viaggio in Italia”, “Giovanna d’Arco al rogo” e “La paura” è il proseguimento della stessa tematica spirituale ricercata dal regista in ogni sua opera. Nei film bergmaniani però realizza pienamente l’ideale di Andrè Bazin, tra i creatori dei “Cahiers du cinema”, della ‘legge dell’amalgama’, a proposito del cinema italiano del dopoguerra. L’amalgama degli interpreti non consiste solamente nel mescolare attori professionisti e non professionisti, consiste anche e soprattutto nell’uso dell’attore o dell’attrice professionista contro le aspettative più codificate del pubblico. Bazin utilizza l’espressione “negazione del principio delle vedette”.

Così Ingrid Bergman, troppo alta, troppo diva, troppo straniera e troppo diversa, non è mai solo la diva Ingrid Bergman, ma risulta sempre dal confronto con il contesto che la circonda; Rossellini accentua e potenzia la sua diversità, invece di dissimularla, mettendola in contrasto con luoghi che risaltino tale differenza. Lo fa con il linguaggio cinematografico: primi piani insistiti, stacchi netti e audaci, soggettive estreme, talvolta veri piani-sequenza.

In tutti i suoi film, la Bergman interpreterà una straniera, estranea ovunque, anche nelle situazioni più familiari, anche quando deve semplicemente interpretare sé stessa (nell’episodio “Ingrid Bergman”). L’esperienza di emarginazione dell’attrice sarà vissuta anche dallo stesso Rossellini nei confronti della critica italiana.

bergman_rosselliniL’utilizzo coraggioso dell’attrice sarà infatti fatale ad entrambi, il regista infatti utilizza un metodo di lavoro che va contro le aspettative della critica, divisa (dopo le elezioni del 1948) tra Democrazia Cristiana e Partito Comunista. Una critica ancora attaccata al Rossellini neorealista degli anni prima del 1948, quando l’Italia cercava di rialzarsi tra le macerie della guerra, al Rossellini di “Germania anno zero”, “Roma città aperta”, “Paisà”.

Hollywood non perdonò mai Rossellini per aver portato via la diva, mentre Ingrid Bergman fu “riabilitata” al suo rientro in America, dopo aver divorziato dal regista romano. Il rapporto di otto anni ha regalato dei capolavori al cinema (‘capolavori maledetti’ per Bazin), che non sono stati mai accolti in maniera positiva, ma che un lungo periodo di silenzio e un successivo ritorno al passato hanno fatto rinascere e risplendere.

 

Daniele Colombi

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