Mostofa Sarwar Farooki è un giovane regista di Dhaka, capitale del Bangladesh. Ha presentato il suo ultimo film Third person singular number al recente Festival del cinema Africano, d'Asia e America Latina di Milano nella sezione “Finestre sul mondo”. Il film è la storia dell'incubo notturno di una ragazza, Ruba, che vive a Dhaka, città pericolosa per una donna single. Ruba non sa dove andare: ha un pessimo rapporto con la famiglia, il fidanzato è in carcere, nessuno vuole darle una stanza in affitto, temendo di compromettersi. L'unico disposto ad aiutarla sarà il suo ex fidanzato, un musicista famoso.
Abbiamo intervistato il regista del film.
Potresti dirci da dove proviene la tua famiglia e dove sei cresciuto?
Sono nato e cresciuto in una tipica località urbana del Bangladesh. I miei genitori provengono dalla campagna ed hanno un forte attaccamento alla religione islamica: pregano cinque volte al giorno, indossano indumenti islamici, non guardano mai la televisione e non vanno mai al cinema. Però non sono estremisti: credono nel sufismo, una forma più generosa e tollerante di Islam. Avevamo due posters antitetici appesi nel soggiorno di casa: uno era di una donna che ballava e l'altro del santuario di un leader religioso. La pacifica coesistenza di questi due posters simboleggiava assai bene l'atmosfera che si respirava in casa nostra: ci ricordava che potevamo non condividere il punto di vista di qualcun altro, ma conviverci lo stesso pacificamente. Ciò ha influito molto sulla mia filosofia di vita.
Quando è cominciata la tua avventura nel cinema?
Cominciò per caso. Ebbi un'infanzia repressa. Studiavo in una scuola d'élite ma non ero tra i migliori. Non ero bello ed ero magrissimo. Non venivo da una famiglia importante. Non avevo successo con le ragazze più carine. Scelsi di sondare le mie qualità e provai di tutto: critico d'arte, attivista teatrale e sociale, giocatore di cricket, poeta; niente sembrava fare per me. Alla fine trovai la mia strada nel cinema.
Quali sono le tematiche che prediligi rappresentare nei tuoi film?
Dare voce alla gente che non ce l'ha, l'intolleranza, la zona grigia costituita dalla relazione uomo-donna, le crisi d'identità, l'inettitudine umana sono alcuni dei temi che prediligo. Molti si occupano delle persone con riconosciute qualità. Credo che ci debba essere qualcuno che si occupi delle inettitudini, dei fallimenti, delle fragilità e dei vizi dell'essere umano. Anche l'incapacità di fronteggiare le trappole del destino è una degli argomenti che preferisco.
Quali sono le maggiori difficoltà ed i vantaggi che incontri come regista emergente di un paese del così detto “terzo mondo”?
I più grandi vantaggi e svantaggi risiedono nello stesso fattore, cioè nel fatto che non abbiamo un vero retaggio cinematografico.
Il tuo ultimo film Third person singular number ha generato molti dibattiti nel tuo paese, dividendo critica e pubblico. Come mai?
La critica ed il pubblico si sono divisi perchè il soggetto del mio film ed il modo in cui è stato affrontato hanno rappresentato uno shock culturale per un gruppo; mentre per l'altro sono stati elementi rivoluzionari.
Qual è il ruolo svolto dalla musica nel film?
Tremendo. Nella prima parte del film si sente insistenetemente lo stesso brano musicale per dare al pubblico un senso di imprigionamento. Nella storia la ragazza è imprigionata dal sistema. La ripetizione dello stesso pezzo musicale integra questa situazione. Nella seconda parte del film abbandono il tema perchè la ragazza esce dalla situazione in cui si trova e ne cerco altri. A volte il silenzio ha un grande effetto musicale. Insomma, la musica mi ha aiutato a raccontare meglio la storia.
Qual è la relazione tra il tuo lavoro e la tua storia personale?
Aiuto il mio pubblico a veder ciò che io stesso ho visto nella mia vita. Sono un pessimo inventore di storie e mi innervosisco quando ne devo inventare una. Quindi la mia esperienza personale è ciò che trasferisco sullo schermo. Ciò non significa che debba essere necessariamente esperienza di prima mano.
Perchè hai scelto il titolo Third person singular number per il film? Cosa significa?
Third person singular significa Ella o Egli. E' la storia di una Lei con un'enfasi naturale su un Lui. Soprattutto, la parola singular mi ha aiutato a veicolare un senso di solitudine. Siamo tutti soli nel profondo di noi stessi. La nostra società e le trappole della natura ci spingono sempre in un angolo e fanno in modo che noi ci sentiamo Terza persona singolare.
Luca Ricci
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