6 dicembre 2009

Hopper a Palazzo Reale


E’ ospite presso Palazzo Reale a Milano, dal 14 Ottobre al 31 Gennaio, la mostra di Edward Hopper, l’artista che, nell’America tra le due guerre, ritrasse le vite comuni nascoste dietro le finestre e nei caffè.
La mostra spazia dai primi schizzi e autoritratti giovanili ai dipinti più maturi, passando per una fase di suggestione francese (“Soir Bleu”) e una di ritratti di nudi femminili.

Hopper (1882-1967) , vita tranquilla e modesta nel suo appartamento a New York , illustratore per guadagnarsi da vivere ( ma qualcosa di quel lavoro da lui non particolarmente amato si ritrova nelle sue linee nette, pulite, imparentate con la grafica) è, secondo James Hillman, un “genio delle finestre”. Infatti le sue opere sembrano volerci portare al di là del quadro, per offrire uno scorcio di quell’America dietro l’America che non aveva potuto beneficiare del boom economico, che viveva nella solitudine degli spazi urbani, freddi e inospitali nella loro vastità. Così, pur non trattando direttamente temi sociali, nei suoi quadri c’è spazio per la gente qualsiasi: per degli operai visti a Parigi, dove compì tre viaggi e prese ispirazione da Manet e Degas, o per uno scorcio su un personaggio sconosciuto in “Solitary Figure In A Theater”, dove il taglio quasi casuale, cinematografico, dà l’impressione di sbirciare tra le tende della sala, affacciandosi su una delle tante esistenze con le quali ogni giorno veniamo in contatto, senza mai veramente incontrarci.

Le figure di Hopper sono senza occupazione, paiono in attesa, quasi fossero personaggi abbandonati su un palcoscenico senza un copione. Hopper fu anche accusato di una certa goffaggine nel ritrarre gli esseri umani: in effetti se ci avviciniamo alla ragazza bionda di “Second Story Sunlight” possiamo notare che le sue fattezze sono appena abbozzate, e quasi sgraziate. Ma non era quello l’essenziale per Hopper. Quello che voleva era evocare un’atmosfera, e lui stesso dichiarò: “ il mio ideale di pittura è sempre stata la trasposizione più esatta possibile delle impressioni più intime evocate dalla Natura”.
Egli fu pittore della corrente del ritorno all’ordine, un movimento spontaneo nato in diverse parti del mondo e caratterizzato da un rifiuto per lo sperimentalismo e l’avanguardia , che preferiva trovare ispirazione nell’arte del passato. E’ vero che Hopper dipinse il mondo reale, anzi ordinario, partendo sempre dall’osservazione diretta della realtà, e che i suoi quadri ci danno un’impressione di ordine e verosimiglianza. Se però ci soffermiamo sulle sue linde case della middle-class o sulle donne fredde e un po’ in posa, possiamo accorgerci che quella non è una minuziosa e fedele riproduzione del mondo reale. I dettagli delineati sono solo alcuni, secondo un criterio in apparenza casuale: un infisso di una finestra viene ritratto con cura incredibile mentre il resto della stanza rimane assolutamente non caratterizzato, semplice pittura verde senza sfumature, compatta come un grumo di colore. I dettagli da lui riportati sono solo quelli necessari, essenziali, che hanno lo scopo di rappresentare qualcosa. Le persone sono abbozzate, quasi caricaturali. I fari del New England che lo affascinarono tanto sono visti da prospettive insolite, spesso sembra che al quadro sia stata tagliata via la parte principale, come se il pittore avesse osservato il mondo da sdraiato, dietro una finestra, o da un treno in corsa sulla sopraelevata.
Il realismo di Hopper non è allora puramente descrittivo. Nella mostra sono esposti a fianco i bozzetti in inchiostro e penna e gli oli finali. Si passa da vari luoghi reali a un solo luogo summa di tutti quelli, da una donna precisa (la moglie Jo, che gli serviva da modella) a una figura femminile generica. I suoi dettagli non vogliono essere fedeli, ma evocativi, e i suoi tagli prospettici servono a calare lo spettatore in un particolare punto di vista.Far provare per un attimo qualcosa di inafferrabile è il suo obiettivo (“if you could say it in in words, there’d be no reason to paint”).
Questa visione in apparenza serena della realtà nasconde un sentimento di malinconia e inquietudine che ci viene trasmesso senza che, guardando il quadro, possiamo capire come. Così una scena comune diventa surreale, sintomatica dell’alienazione e dell’estraneità delle persone dalla loro vita comune e normale. Questa, vista affacciandosi dentro un quadro-finestra ritratto in modo impersonale, quasi distratto, si svela nella sua assurdità e solitudine; restando per noi, attori in prima persona, troppo lontana proprio perché troppo vicina.

Può essere quindi interessante prenderci una piccola pausa dalle nostre vite frettolose e distratte per dare un’occhiata a queste opere, e farci guidare dall’artista nell’osservazione di aspetti della realtà intorno a noi che solitamente non noteremmo, intenti nel nostro passo veloce che esclude l’alzare gli occhi dai nostri piedi o dal metro di marciapiede davanti a noi. “Tutto quello che ho sempre voluto fare – disse Hopper – è dipingere la luce del sole sul lato di una casa.”



Irene Nava

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