26 marzo 2009

DALL'OBIEZIONE DI COSCIENZA AL SERVIZIO CIVILE VOLONTARIO

Anche quest’anno, dal 1 ottobre, i volontari del servizio civile hanno iniziato a darsi da fare. 17.323 posti disponibili in Italia e 657 all’estero, distribuiti su 1041 progetti indicati da associazioni, confessionali e laiche, impegnate nell’assistenza, nella cooperazione e nella promozione culturale. Una paga di 433, 80 euro mensili, con un’indennità di 15 euro giornalieri per chi presta servizio all’estero. E’ stato possibile – e sarà possibile per i prossimi bandi – presentare la domanda, direttamente all’ente prescelto, per cittadini e cittadine italiani, tra i 18 e i 28 anni. In seguito a colloqui e selezioni sono state stilate le graduatorie, poi verificate dall’Ufficio Nazionale per il Servizio Civile, afferente alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Un iter burocratico che, derivante dal DDL n. 77/2002, è piuttosto semplice per un’occasione preziosa.
Ma la storia che ha portato alla legge sul servizio civile volontario non è semplice. Sin dal Cristianesimo delle origini ha iniziato a svilupparsi il concetto di rifiuto del servizio militare, ma è negli anni ’60 e ’70 che in Italia si sviluppano le maggiori disobbedienze civili.
Con il termine "obiezione di coscienza" si intende "il rifiuto di assolvere a un obbligo di legge gli effetti del cui espletamento si ritengano contrari alle proprie convinzioni ideologiche, morali o religiose". Spesso, in mancanza di apposite leggi, l’obiezione implica sanzioni civili, quando non penali. Le motivazioni che hanno sempre spinto molti ragazzi all’obiezione al servizio militare erano religiose o legate alla scelta nonviolenta. Oltre ai rischi penali i nonviolenti, erano spesso vittime di condanna sociale, visti come vili traditori della Patria. Dopo anni di arresti con l’accusa di "renitenza alla leva" e "diserzione" e di lotte che vedono uniti sullo stesso fronte cattolici e radicali, da Don Milani alla LOC (Lega degli Obiettori di Coscienza), si arriva nel 1972 alla legalizzazione dell’obiezione di coscienza, con la c.d. legge Marcora. La legge offriva la possibilità di un servizio civile sostitutivo obbligatorio, della durata di 8 mesi in più rispetto al regolare servizio militare.
La lotta prosegue per tutti gli anni ’80. E’ una sentenza del 24 maggio 1985 a riconoscere il servizio civile come "forma di difesa non armata, diversa da quella militare, ma di pari dignità".
La legge viene modificata negli anni, fino al 2005, anno in cui con la fine dell’obbligatorietà del servizio militare, viene meno la scelta del servizio civile come obiezione di coscienza. Resta come possibilità di scelta volontaria, rivolta sia agli uomini che alle donne.


Caschi Bianchi- Corpo civile di pace 2008.


Caschi Bianchi- Corpo civile di pace 2008
Con lo scoppio della guerra nella Ex Jugoslavia si accende nel cuore di molti obiettori di coscienza il desiderio urgente di intraprendere il loro servizio civile nei territori afflitti dalla guerra. Gli obblighi di leva imponevano il divieto di espatrio per gli obiettori. Ricominciano quindi le azioni di disobbedienza civile, con obiettori che si recano in Bosnia e in Croazia. Gli obiettivi sono tanto ambiziosi quanto chiari: promozione della pace e dei diritti umani, sviluppo e cooperazione tra i popoli. Tra il 1993 e il 1998 centinaia di obiettori partono per le aree di conflitto, dai Balcani all’Africa. Nel 1998 c’è il primo riconoscimento legislativo per svolgere servizio civile volontario all’estero. Nasce la Rete Caschi Bianchi, che coinvolge quattro organizzazioni: Caritas, Focsiv, Gavci e Associazione Papa Giovanni XXIII.
Negli stessi anni le Nazioni Unite, a partire dalla stesura nel 1992 da parte del Segretario Generale Boutros Ghali del documento "An Agenda for Peace", avevano iniziato a riconoscere l’importanza del ruolo dei civili, non armati e nonviolenti, nelle situazioni di conflitto e radicata violenza.
La risoluzione 49/139 del 1995 dell’ONU riconosce il ruolo dei Caschi Bianchi come corpi civili di pace. Una decisione significativa nell’approccio delle Nazioni Unite al peace keeping.
L’azione dei Caschi Bianchi si fonda su quattro azioni specifiche.
Il factfinding, cioè la ricerca di informazioni, documentazioni, compilazione di rapporti che testimonino le reali condizioni di vita delle popolazioni con cui vivono. Le azioni di lobby e pressione con realtà locali e con le istituzioni. Il sostegno legale ed economico alle vittime dei conflitti e delle violenze. I progetti di educazione e formazione. I paesi in cui quest’anno i Caschi Bianchi italiani hanno preso servizio sono: Tanzania, Bolivia, Cile, Zambia, Brasile, Venezuela, Albania, Romania, Kossovo, Israele e Territori Palestinesi, Bangladesh e Russia.



Il Progetto Go’el in Israele e nei Territori Occupati


Chi scrive, ha avuto la fortuna di essere selezionata per diventare una dei 200 Caschi Bianchi 2008. Destinazione Israele e Palestina, progetto Go’el. Il progetto, elaborato dall’Associazione Papa Giovanni XXIII con gli obiettivi di una presenza diretta, per incoraggiare e far conoscere le forme nonviolente di lotta, costruire microprogetti di cooperazione decentrata, fare controinformazione e sensibilizzazione presso l’opinione pubblica.
Il nome nasce dalla figura biblica del Go’el: "colui che si mette a fianco dell’oppresso e lo accompagna nel suo cammino di liberazione". Progetto ambizioso che consisterà nell’entrare in punta di piedi nella vita dell’Alternative Information Centre (www.alternativenews.org) di Gerusalemme e di Beit Sahour, vicinissima a Betlemme. Un’organizzazione israelo-palestinese, nata nel 2002 che promuove un’informazione alternativa per la tutela dei gruppi più svantaggiati e più esposti alla violenza del conflitto.
Il canale di comunicazione dei Caschi Bianchi, strumento per diffondere articoli, reportage, foto, documenti da tutte le aree d’azione è il sito www.antennedipace.org.
Mi trovate lì per un anno, e ricordatevi da maggio in poi di tenere d’occhio i bandi dell’Ufficio Nazionale. Potrebbe essere una buona idea!



Virginia Fiume

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