Di grigio, sul tavolo d’ufficio dello stilista Elio Fiorucci, c’è solo una calcolatrice. Il resto è tutto colorato. C’è una serie di pupazzetti che lo guardano in faccia mentre lavora. C’è uno gnomo con una mano in tasca, c’è Margot senza Lupin, c’è una pecora nera di peluche. Poggiate sulle carte e vari post-it ci sono un paio di scarpe in vernice rosa col tacco azzurro e un fiocchettino.
Sotto alcune buste da lettera fa capolino l’abbonamento dell’Atm. Guardo tutti questi oggetti mentre Fiorucci è al telefono. Sta parlando degli anni 70 per una mostra sul tema, aperta fino al 30 marzo alla Triennale. Lo sento raccontare dei suoi incontri con Madonna, Keith Haring, Jean Michel Basquiat “…Quando erano ancora ragazzini”. Rievoca l’ondata rivoluzionaria che quegli anni si portarono dietro, lo dice all’interlocutore al telefono, forse un giornalista: “Chi avrebbe potuto immaginare, allora, che dopo sarebbe caduto il muro di Berlino, che le ragazze russe avrebbero indossato jeans attillati Fiorucci, e che in Europa ci sarebbe stata la moneta unica. Non è occorsa una terza guerra mondiale”. S’interrompe e riprende: “Non mi chieda di politica. Non mi piacciono le cose politiche. Mi piacciono i ragazzi, le ragazze, le minigonne…”. Le sue parole al telefono viaggiano verso New York, salgono sulla Torre di Pisa a rievocare quella volta che conobbe il fotografo Oliviero Toscani, tornano a Milano all’inaugurazione del suo primo negozio, nel 1967. La telefonata si chiude. È il turno di Vulcano. Tocca a me. M’interessa l’anno 2007 e la moda degli studenti universitari.
Come ci si veste per andare a discutere una tesi di laurea?
Se vuole le parlo degli anni 70.
No grazie. Parliamo dei giorni di oggi.
Gli anni 70 hanno portato una libertà fra gli uomini fino ad allora sconosciuta. E dunque la liberazione da valori imposti dalla società.
Come suggerisce di andare vestiti, il giorno della laurea?
Non suggerisco nulla. Io sono uno spirito anarchico, la mia filosofia è quella della libertà. Ognuno si veste come gli pare. A me piacciono gli occhiali con la montatura rossa [Ne indossa un paio proprio in quel momento ndr] ma non per questo mi verrebbe da imporli agli altri. Questo è lo spirito degli anni 70.
Ma io non voglio parlare degli anni 70. Voglio parlare del 2007.
È incredibile come lo spirito degli anni 70 sia vivo ancora oggi.
Proviamo a entrare nella macchina del tempo. Cosa ci ricorderemo nel 2060 del 2007?
Degli anni 70.
Scoppio in lacrime. Fiorucci mi porge prontamente un pacchetto di fazzoletti. Il principe del marchio con gli angioletti, stupito dalla mia reazione mi dice: “Non sono cattivo”. Continuo a singhiozzare. Mosso a compassione mi fa: “E va bene, se vuole le dico come andare vestiti alla laurea”.
Me lo dica.
Io andrei vestito con un pullover. E scarpe comode. Ma come è vestita lei va bene lo stesso [jeans e camicetta bianca ndr]. Perché si può essere eleganti nella semplicità.
Il capo di maggior successo di sempre?
I jeans. Un tessuto magico. Quando smise di essere trattato come abito di lavoro.
Quando andò nel New Mexico scoprì le perline di vetro che diventarono i bijoux più gettonati dell’estate. Dalla Cina importò le ballerine: ne vendette diecimila solo in un anno. Come ha fatto a riconoscere il potenziale successo?
Io non ho mai pensato che sarebbero stati un successo. Li ho scelti perché mi piacevano.
E il marketing?
Io non mi occupo di marketing. Faccio le cose perché mi piacciono e perché mi fanno star bene.
Ma le scelte del marchio Fiorucci, le campagne pubblicitarie, non sono frutto di uno studio?
È l’amore per le cose che le fa uscire bene. La mia filosofia non prevede norme. Lei ha avuto un’educazione rigida.
Nella vita ha conosciuto tante personalità, tra cui Andy Warhol. Chi si nasconde dietro un talento?
Una persona rilassata. Serena. Mossa da passione. [Mi guarda negli occhi umidi] Non da rabbia e sofferenza.
Perché il suo tavolo è pieno di oggetti decorativi e alle pareti non c’è niente?
Ma non lo so! [Vede che sto per rimettermi a piangere]. Preferisco appoggiare piuttosto che appendere.
Lei una volta ha detto: “Gli oggetti devono essere belli e sinceri”. Che voleva dire?
Belli perché ti piacciono. Sinceri perché sono schietti.
Continuo a non capire.
Perché cerca un ragionamento dietro tutte le cose?
Chiuso il block notes, Fiorucci chiama la segretaria dicendo di prendere una borsetta: “Diamo un po’ di regalini alla ragazza”. Ma non l’aspetta. La precede e va verso un armadio dal quale comincia ad estrarre pacchettini colorati. Mettendomi in mano un portachiavi a forma di gnomo mi dice. “E lei adesso mi chiederà perché ho scelto lo gnomo? Non lo so. Faccio le cose che mi piacciono.”
Mentre scendo le scale dell’edificio che ospita gli uffici Fiorucci penso che anche io d’ora in poi farò solo cose che mi piacciono. Al primo semaforo ho lasciato l’Università per andare in Madagascar, al secondo vado in Cina a fare la ballerina, al terzo mi compro una parrucca perché mi sono sempre piaciuti i capelli blu. Sulla soglia di casa già il mio pensiero torna allo studio. L’esame di Glottologia. Devo prendere 30. Perché la media, il voto di laurea, i concorsi…Ci vuole coraggio per fare le cose che ci piacciono.
Diana Garrisi
11 dicembre 2007
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Scusate, ma che cazzo c'entra tutto sto putiferio a commento di questa intervista genialea Elio Fiorucci? Se qualcuno ha delle polemiche da portare aventi scriva i post sotto i pezzi giusti
RispondiEliminaSaluti e complimenti al giornale
questa intervista è tutto fuorchè geniale..ma per favore...
RispondiEliminaAnche secondo me l'intervista è tutto fuorche geniale o interessante...ma i rompicoglioni si astengano ugualmente dall'infestare questo blog.
RispondiEliminaNon solo è poco interessante questa intervista, ma è anche falsa e melensa. Se l'intervistatrice ha davvero pianto di fronte a Fiorucci vuol dire che è poco professionale e che quindi nel giornalismo farà ben poca strada (e aggiungerei fortunatamente!). Se invece si è inventata questa storiellina del pianto per far colpo sui lettori è davvero misera e squallida e se farà strada nella sua carriera la farà solo al prezzo di vendere la propria dignità al miglior offerente (ammesso che ne abbia una di dignità, s'intende).
RispondiEliminaSono completamente d'accordo ed anzi dirò di più: pur continuando a considerare Vulcano tendenzialmente il miglior giornale della Statale, questo articolo mi sembra l'ennesima caduta di stile dopo l'enorme spazio concesso a quella boiata pazzesca di Voglio un mondo rosa shocking. Peccato
RispondiEliminaMi trovo oltremodo in disaccordo con i commenti che mi precedono. Ritengo che l'intervista abbia una verve e una freschezza che la liberano dal classico canone domanda-risposta. E poi c'è da considerare che l'intervista la fa anche l'intervistato: se Fiorucci ha deciso, un po' snobbisticamente, di non rispondere alle domande del giornalista, è da apprezzare la grande sveltezza in cui il dialogo si è trasformato in qualcos'altro, probabilmente in qualcosa di più. L'ironia che percorre tutto il pezzo consente di godere del surreale scambio di battute e non toglie certo realismo o credibilità al testo. Il giornalista poi sfrutta un espediente autobiografico per incuriosire e coinvolgere ancora di più il lettore: forse non importa sapere se ci siano state o meno lacrime. Per quanto riguarda il contenuto vero e proprio, non essendo un lettore di Vogue, preferisco sapere che Fiorucci ama gli anni '70, piuttosto che come la moda consiglia di vestirci per la prossima primavera. Però rispetto chi si attendeva questo da un'intervista a Fiorucci. Ma ripeto: è lui che non ve l'ha voluto dire.
RispondiEliminaIl punto non è se l'intervista è più o meno gradevole. La questione è che è molto poco professionale. E' scritta con un taglio adolescenziale che non fa onore a Vulcano - almeno per quello che mi sembra essere il livello complessivo del giornale.
RispondiEliminaVulcano in passato ci ha regalato inchieste scomode e rigorose come quella su Cercignani. Inchieste che non sfigurerebbero neppure su dei giornali "veri".
Questa intervista a Fiorucci invece potrebbe al massimo essere pubblicata sul giornalino del liceo - e anche lì non so con quanto successo e pertinenza.
Se posso aggiungere una cosa anche io: ho trovato disgustoso il finale dell'intervista, in cui l'intervistatrice pende dalle labbra di Fiorucci come se questi fosse il Dalai Lama o Lao Tzè. Una banalità come "nella vita bisogna fare le cose che ci piacciono." viene presa come la Verità Rivelata,il Verbo che il Messia Fiorucci ci ha dispensato con magnificenza. Ma per favore...Davvero pietoso.
RispondiEliminail finale in verità è ironico...
RispondiEliminaE' anche vero che un giornale non è fatto esclusivamente di inchieste scomode e rigorose. Di solito ci sono pezzi che svariano tra più registri. Mi sembra del tutto normale. Era forse meglio, una volta capito che Fiorucci non era tanto per la quale, alzare i tacchi e prendere la porta? Io non credo: la scelta più logica, e se vogliamo "professionale", era quella di trovare un modo per usare le informazioni ricavate, per un pezzo nuovo, diverso. E in questo il giornalista è stato molto abile.
RispondiEliminaAllora forse non ci capiamo...a me non interessa come la intervistatrice ha raccolto le sue trascurabili dichiarazioni a Fiorucci. Lo avesse anche pestato a sangue o corrotto sono fatti suoi. Ma per rispetto del lettore queste modalità se le deve tenere per sè (ammesso che siano vere, perchè se sono inventate si tratterebbe di una cosa davvero tristissima). Questo attiene a quel minimo di professionalità che da un giornale che (suppongo) sia finanziato dall'Università è leggittimo aspettarsi.
RispondiEliminaNessuno peraltro chiede che Vulcano sia solo inchieste rigorose. Per una questione d'equilibrio è bene che ci siano anche articoli "leggeri". Ma per favore questi benedetti articoli siano leggeri riguardo all'argomento affrontato, non alla maniera di affrontarlo. Altrimenti non sono leggeri sono inconsistenti!
Tanto per capire: ma c'è davvero qualcuno che riesce a non trovare stucchevole l'intervista qui sopra? Beato lui!
RispondiEliminatrovo veramente allucinante questa intervista,
RispondiEliminama si spiega da sè,
......un po di marketing virale..... non credete? Dopotutto parliamo di un personaggio che vende stivali in gomma colorati di taiwan a 200 euro
Ma veramente c'è qualcuno che pensa che Vulcano sia una torta? Mo ci metto 'un po' di marketing virale', un pizzico di guerrilla marketing, e un'infarinata di marketing tribale.
RispondiEliminaCioè quel che non capisco, nel soprastante commento, è quel "un po'". Qualora Fiorucci avesse mirato a quello che tu definisci 'marketing virale' ma perché solo un po'?. E buttacelo tutto sto marketing.
Senti Anonimo, parla come mangi e non mangiare Vulcano perché non è una torta.