Mi chiedo spesso se ci siano dei miei lettori là fuori. Fuori da questa pagina intendo. Mi ripeto continuamente: è possibile vedere dei dinosauri in questo parco dei dinosauri? Insomma se qualcuno ha letto l’ultima puntata di questa rubrica, avrà capito cosa voglio dire: amici, compagni ce l’abbiamo fatta. La rubrica si è trasformata in oggetto apotropaico. L’Italia ha vinto la coppa del mondo e noi lo sapevamo, l’avevamo scritto, il successo è di tutti. No un attimo. E’ mio. L’avevo profetizzato io.
In queste vacanze ho fatto un meraviglioso viaggio tra Germania, Svezia e Danimarca, e tre giorni a fine agosto a Viserba, paesino della riviera romagnola nel quale trascorsi le infantili estati, con una prozia ultraottantenne che soleva palleggiarsi la dentiera durante i pasti. Sono tornato perché dovevo ritrovare quella sala giochi accanto alla spiaggia, nella quale andavo a spendere le 1500 lire della diaria che i miei mi concedevano. I giochi sono sempre gli stessi: quegli degli anni ‘80. Forse puntano ad un target giovanile ma non giovane. Un po’ giovanilista. Il re dei videogiochi era lo spigoloso Super Mario, che a testate distruggeva qualunque cosa: ora la Nintendo pubblicherà un remake dal titolo “Super Mario Zidane”, storia di un idraulico (non polacco) algerino emigrato in Germania. Le code di bambini scalzi, abbronzantissimi e con un cucciolone colante in mano, erano visibili davanti al gioco delle olimpiadi: l’atleta bianco (tu che giocavi) e l’atleta nero, si sfidavano in varie discipline atletiche. Per vincere, ad esempio i 100 metri, era necessario muovere il joystick talmente velocemente, che alla fine della vacanza i frequentatori della sala giochi vantavano un avambraccio sei volte più muscoloso dell’altro: cosa che sarebbe tornata utile qualche anno dopo, durante la pubertà, in quei lunghi stazionamenti in bagno, a leggere di politica economica.
Sovente tuttavia la superiorità dell’uomo bianco non si concretizzava sullo schermo, e l’atleta di colore vinceva. La lezione che molti bambini traevano era ingiuriare il campione nero. Qualche reminiscenza infantile deve essere rimasta soprattutto nel lombardo-veneto.
Un anno arrivò una novità. Una Ferrari con a bordo un ragazzo e una ragazza correva lungo strade circondate da alberi frondosi e dal mare, cercando di evitare i veicoli che giungevano in controsenso. Gioco caduco quanto noioso era sempre frequentatissimo, probabilmente per quel desiderio di identificarsi con una situazione che si sperava futuribile. In fondo l’idea era alla base della cultura anni ‘80: mettere una bella figliuola in compagnia di qualsiasi cosa. Ecco perché abbiamo intervistato Margherita Hack.
Fabrizio Aurilia
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