Benché nessuno conosca la sua vera identità, Banksy è uno dei più grandi fenomeni della cultura popolare d'oltremanica. I suoi graffiti, ricchi di un'ironia feroce ma sottile, sono diventati il simbolo di una generazione insoddisfatta.
Nel mese di marzo Milano è stata la cornice della prima esposizione italiana del noto guerrilla artist.
In occasione della terza edizione del (con)TemporaryArt, infatti, la fervida zona di via Tortona ha ospitato una mostra personale del graffitaro britannico. Location dell'esposizione il Superstudio Più, uno spazio che ultimamente trasuda arte, grazie alle svariate mostre e installazioni curate dagli studenti dello IED. Le tele del writer non sono più di una quindicina. Forse troppo poche per rendere fino in fondo giustizia al suo genio creativo, ma certo sufficienti a darci un'idea della sua opera, sempre insolente e sdegnosa verso le convenzioni. D'altronde per chi, come lui, è abituato a dare sfogo alla propria creatività dipingendo su muri, pannelli e spazi ampi diversi metri, dev'essere tutt'altro che semplice riuscire a rappresentare le proprie idee su una tela larga appena settanta centimetri. Le poche serigrafie, in ogni caso, assolvono appieno, con grottesco e sconcertante realismo, il loro compito: quello di incarnare il pensiero di un artista che, durante la sua carriera, è stato in grado di far sorridere come di insultare, di attirare entusiasmanti elogi così come spietati dissensi. Non vi è dubbio, infatti, che Banksy sia un personaggio scomodo.
Nato attorno alla metà degli anni settanta a Bristol e cresciuto in piena era Thatcher, iniziò a far parlare di se alla fine degli anni novanta. I suoi “rats” (dei topi disegnati con uno stencil) si diffusero velocemente sui muri di tutta Londra, portando, scritti sui loro cartelli, messaggi di fratellanza e indignazione. Nascosto nell'anonimato e forte delle sue idee anarchiche e anticapitaliste, è stato in grado, grazie al suo linguaggio tanto semplice e immediato quanto efficace, di toccare nel vivo i punti deboli di una nazione conservatrice e malconcia. Armato di bomboletta e stencil ha disseminato le sue opere sui muri di tutta Europa. Con un'audace e stupefacente lucidità ha avuto il merito di concentrarsi su tematiche scottanti ed estremamente attuali, dall'omosessualità alla religione, di infrangere taboo e di dissacrare gli idoli di una società perbenista e decrepita. Basti pensare al suo ritratto di Winston Churchill in pieno stile punk 77, con tanto di cresta verde o alla sua grottesca rappresentazione di una regina Vittoria in atteggiamenti sadomaso. Un'arte non tanto estetica quando più concettuale la sua. Un'arte fatta di accuse e di provocazioni. Un vero e proprio artista del brutto, come lo definirebbe Victor Hugo.
Oggi l'ormai ex giovanotto della periferia inglese continua a vivere nell'anonimato e a tappezzare le metropoli di immagini provocatorie e spesso offensive, ma la sua fama ha sfondato i confini dell'oceano Atlantico. Banksy, infatti, può contare esposizioni personali nelle più grandi metropoli del pianeta. Non solo Londra, Parigi e Berlino; ma anche Tokyo, Los Angeles e New York City. Le sue opere sono battute all'asta, raggiungendo spesso prezzi esorbitanti e molti sarebbero pronti a fare carte false pur di avere i muri della propria abitazione imbrattati da lui.
Da qualche mese la prestigiosa Andipa Gallery, posizionata in una sfarzosa zona di Londra (a pochi passi da Harrods, per intenderci), ha aperto una sezione dedicata al graffitaro di Bristol. Affiancando le sue opere a quelle di artisti del calibro di Francis Bacon, Marc Chagall e Andy Warhol.
Nel gennaio scorso, inoltre, “ Exit through the gift shop”, il primo film diretto da Banksy è stato presentato al Sundance Film Festival, riscuotendo un notevole successo.
Colui che fino a pochi anni fa era considerato poco più di un vandalo, insomma, è diventato una vera e propria icona pop del nostro tempo. Chissà se ne sarebbe felice o meno. Poco importa. Ciò che importa è l'impulso che il suo lavoro sta dando alla scena artistica contemporanea, contribuendo a rinnovare l'interesse per un mondo, quello dell'arte figurativa, che sembrava avviato verso una morte prematura e inesorabile.
Insomma, dai ratti dipinti di notte nell'illegalità, alla fama mondiale. Questo è il sunto della carriera di un artista tanto discusso e discutibile, ma ormai imprescindibile. Un'artista fuggente e illegale che si è elevato a portavoce di chi non può o non sa esprimere la propria rabbia e la propria indignazione. Bansky è tutto ciò, pur non essendo nessuno. La lotteria per scoprire la sua identità è già partita ormai da diversi anni: molti nomi sono stati fatti, diversi volti sono stati mostrati. E, parliamoci chiaro, il fatto di non poter vedere il suo viso, di non poter conoscere il suo nome un po' ci infastidisce. La non-conoscenza ci infastidisce sempre.
Chi è Banksy? Di che colore sono i suoi capelli? Che squadra tifa? Forse, alla fine, non è davvero importante. Alla fine, forse, è meglio non sapere. Dopotutto “l'artista vive nella sua arte”, diceva il saggio...
Matteo Nava