E’di nuovo esodo verso il nord. Negli anni ’60, quelli del boom economico, i lavoratori del sud Italia si trapiantarono in massa nelle nebbiose città del nord in cerca di occupazione. Mentre in quegli anni però si trattava per lo più della fascia più povera e meno istruita della popolazione, oggi il fenomeno migratorio interessa i neo-laureati e gli studenti universitari.
I dati 2006 del Miur registrano in Italia quasi 350000 studenti fuorisede, di cui gran parte originari del meridione. In particolare, la regione con esodo maggiore è la Puglia (46353 fuorisede), seguita rispettivamente da Calabria, Campania e Sicilia. Specularmente, le ragioni con maggiore affluenza sono Emilia Romagna, Lazio e Lombardia.
Secondo le indagini condotte, alla base del “fenomeno migratorio” le ragioni più comuni non sono, come parrebbe ragionevole pensare, l’assenza della facoltà scelta nel territorio di provenienza o un presunto maggior prestigio degli atenei settentrionali. Il motivo maggiormente indicato dal campione di intervistati da Studenti.it , si è rivelato essere il desiderio di intraprendere un’esperienza per maturare, lontano dalla casa paterna; anche se ciò non spiega l’andamento verticale e unidirezionale dello spostamento da sud a nord.
L’incognita sul perché il centro-nord venga considerato una meta tanto ambita per gli studi universitari viene alimentata dal fatto che alcune tra le città maggiormente colpite dall’esodo, come Foggia, Catanzaro e Messina, vantano un ateneo molto ben qualificato, in molte classifiche meglio collocato delle più frequentate università del settentrione. Anche se, ad onor del vero, è importante sottolineare come tali classifiche siano basate su parametri che non tengono conto di questioni che, per quanto non meramente didattiche, risultano comunque essenziali per il lavoro degli studenti, come ad esempio i servizi bibliotecari che, soprattutto in Puglia e in Sicilia, risultano essere piuttosto inadeguati.
Occorre a questo punto riflettere sulle ripercussioni di tale fenomeno sull’economia del meridione.
Un’indagine della Federconsumatori ci indica che mediamente uno studente fuorisede assorbe circa il 29% del budget familiare. La spesa più ingente è senza dubbio l’affitto, non certo modico, come ad ogni universitario sarà capitato di notare con uno sguardo più o meno distratto a una bacheca di annunci. In generale il mercato dei fuorisede muove in Italia circa 3 miliardi e mezzo di euro all’anno. Di questi, quasi 2 miliardi provengono dalle regioni del sud. Ed è ancora una volta la Puglia a subire le perdite maggiori: quasi mezzo miliardo di euro all’anno che intraprendono un viaggio senza ritorno verso le regioni del nord.
Le perdite economiche però non riguardano il solo capitale monetario. Le regioni interessate sono affette anche da quella che, con un cliché spesso abusato, è definita la “fuga dei cervelli”. Il dato più preoccupante infatti è che l’assoluta maggioranza di coloro che si trasferiscono per compiere gli studi universitari, una volta conseguita la laurea non fanno ritorno alla loro terra di origine, causando a questa un’ingente perdita di risorse umane. Le ragioni del mancato ritorno al paese natio vengono individuate da Paolo Citterio, presidente di Gidp (Associazione Direttori Risorse Umane) nell’ assenza, nel sud, di un’autentica rete industriale che possa offrire, oltre al pubblico impiego, concrete opportunità lavorative anche in aziende private; è inoltre significativa la testimonianza portata dalla Rivista Economica del Mezzogiorno, secondo cui al sud un laureato su quattro trova un’occupazione unicamente tramite conoscenza.
Sembra dunque che la ben nota difficoltà di inserimento per i giovani nel mondo del lavoro nel mezzogiorno risulti amplificata.
Rispetto agli anni della Grande Migrazione dunque, l’odierna fuga verso nord non è più, nella maggior parte dei casi, un’ impellente necessità. Sembra rivelarsi piuttosto una precisa e ponderata scelta, scaturita da esigenze di indipendenza e dalla volontà di assicurarsi un avvenire lavorativo più stabile, scelta legittima, che però va a scapito del progresso economico della regione d’origine.
Forse è solo un’impressione, ma nonostante il legame molto forte che tanti studenti fuorisede mantengono con la terra di provenienza, l’atmosfera di dolente nostalgia che accompagnava le migrazioni del ‘900 sembra oggi sopita. Tutto il mondo è paese, le realtà locali costituiscono il punto di partenza, ma l’approdo è spesso dato dalle grandi città del centro-nord, dove i giovani vanno a studiare e dove spesso decidono di restare.
Laura Carli
I dati 2006 del Miur registrano in Italia quasi 350000 studenti fuorisede, di cui gran parte originari del meridione. In particolare, la regione con esodo maggiore è la Puglia (46353 fuorisede), seguita rispettivamente da Calabria, Campania e Sicilia. Specularmente, le ragioni con maggiore affluenza sono Emilia Romagna, Lazio e Lombardia.
Secondo le indagini condotte, alla base del “fenomeno migratorio” le ragioni più comuni non sono, come parrebbe ragionevole pensare, l’assenza della facoltà scelta nel territorio di provenienza o un presunto maggior prestigio degli atenei settentrionali. Il motivo maggiormente indicato dal campione di intervistati da Studenti.it , si è rivelato essere il desiderio di intraprendere un’esperienza per maturare, lontano dalla casa paterna; anche se ciò non spiega l’andamento verticale e unidirezionale dello spostamento da sud a nord.
L’incognita sul perché il centro-nord venga considerato una meta tanto ambita per gli studi universitari viene alimentata dal fatto che alcune tra le città maggiormente colpite dall’esodo, come Foggia, Catanzaro e Messina, vantano un ateneo molto ben qualificato, in molte classifiche meglio collocato delle più frequentate università del settentrione. Anche se, ad onor del vero, è importante sottolineare come tali classifiche siano basate su parametri che non tengono conto di questioni che, per quanto non meramente didattiche, risultano comunque essenziali per il lavoro degli studenti, come ad esempio i servizi bibliotecari che, soprattutto in Puglia e in Sicilia, risultano essere piuttosto inadeguati.
Occorre a questo punto riflettere sulle ripercussioni di tale fenomeno sull’economia del meridione.
Un’indagine della Federconsumatori ci indica che mediamente uno studente fuorisede assorbe circa il 29% del budget familiare. La spesa più ingente è senza dubbio l’affitto, non certo modico, come ad ogni universitario sarà capitato di notare con uno sguardo più o meno distratto a una bacheca di annunci. In generale il mercato dei fuorisede muove in Italia circa 3 miliardi e mezzo di euro all’anno. Di questi, quasi 2 miliardi provengono dalle regioni del sud. Ed è ancora una volta la Puglia a subire le perdite maggiori: quasi mezzo miliardo di euro all’anno che intraprendono un viaggio senza ritorno verso le regioni del nord.
Le perdite economiche però non riguardano il solo capitale monetario. Le regioni interessate sono affette anche da quella che, con un cliché spesso abusato, è definita la “fuga dei cervelli”. Il dato più preoccupante infatti è che l’assoluta maggioranza di coloro che si trasferiscono per compiere gli studi universitari, una volta conseguita la laurea non fanno ritorno alla loro terra di origine, causando a questa un’ingente perdita di risorse umane. Le ragioni del mancato ritorno al paese natio vengono individuate da Paolo Citterio, presidente di Gidp (Associazione Direttori Risorse Umane) nell’ assenza, nel sud, di un’autentica rete industriale che possa offrire, oltre al pubblico impiego, concrete opportunità lavorative anche in aziende private; è inoltre significativa la testimonianza portata dalla Rivista Economica del Mezzogiorno, secondo cui al sud un laureato su quattro trova un’occupazione unicamente tramite conoscenza.
Sembra dunque che la ben nota difficoltà di inserimento per i giovani nel mondo del lavoro nel mezzogiorno risulti amplificata.
Rispetto agli anni della Grande Migrazione dunque, l’odierna fuga verso nord non è più, nella maggior parte dei casi, un’ impellente necessità. Sembra rivelarsi piuttosto una precisa e ponderata scelta, scaturita da esigenze di indipendenza e dalla volontà di assicurarsi un avvenire lavorativo più stabile, scelta legittima, che però va a scapito del progresso economico della regione d’origine.
Forse è solo un’impressione, ma nonostante il legame molto forte che tanti studenti fuorisede mantengono con la terra di provenienza, l’atmosfera di dolente nostalgia che accompagnava le migrazioni del ‘900 sembra oggi sopita. Tutto il mondo è paese, le realtà locali costituiscono il punto di partenza, ma l’approdo è spesso dato dalle grandi città del centro-nord, dove i giovani vanno a studiare e dove spesso decidono di restare.
Laura Carli
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