31 maggio 2006

LA CUEVA – NO ART GALLERY

Questo mese abbiamo deciso di far partire una nuova rubrica in cui intendiamo raccontare Milano attraverso luoghi, magari poco noti ai più, la cui esistenza dona un po’ di fascino alla nostra bistrattata città.

Questa volta parleremo della Cueva – no art gallery. Un po’ galleria d’arte, un po’ pista da ballo, un po’ centro di provocazione culturale, la Cueva non è facilmente iscrivibile in una precisa categoria. Potremmo definirla una fucina di idee che difficilmente vedrete fondersi in altri posti. La trovate in via Vigevano, proprio di fronte alla Darsena, racchiusa in un coloratissimo palazzo. Una volta entrati e scesa la ripida rampa di scale, capirete il perchè del nome: sembra proprio di entrare in una caverna (che in spagnolo si dice appunto ‘cueva’). E’ un piccolo antro diviso in varie salette. In una di queste è sempre allestita un’esposizione di opere d’arte, che cambia regolarmente ogni mese. Nella sala attigua, tra le pareti tappezzate di locandine, a testimonianza delle decine di eventi che si succedono in questo spazio, c’è un bar. Avvolti da un possente tango elettronico, si può fare la conoscenza dell’argentino Jorge Vacca, il fondatore della Cueva. Jorge è a Milano da una quindicina d’anni. In Argentina collaborava per un’importante rivista di fumetti. Poi l’incontro con il grande Hugo Pratt. Il maestro veneziano gli lancia l’idea di venire a Milano per lavorare alla rivista Corto Maltese, e così si trasferisce in Italia. Oltre che per la rivista della Rizzoli, Jorge lavorerà per un periodo presso il prestigioso “Centro Fumetto Andrea Pazienza” di Cremona, per poi fondare una casa editrice, la Topolin Edizioni, di cui la Cueva è l’emanazione.

“La Cueva è nata nel 2002 per promuovere le attività della casa editrice”, spiega Jorge. “Prima facevamo mostre itineranti a tema, a volte con opere di più di 100 artisti. Abbiamo toccato quasi tutte le principali città italiane, e anche molti paesi europei”. Jorge inizia poi a raccontarci come è diventato editore: “La Topolin è nata nel ’90 quasi per caso. Un mio amico spagnolo mi aveva mostrato un fumetto, Hitler=SS di Vullemin e Gourio, che era già stato sequestrato in Spagna e Francia per via del fatto che prende in giro tutti, sia i Nazisti sia gli Ebrei, e infatti aveva avuto denuncie da ogni parte. Ho provato a piazzare il fumetto in Italia, ma nessun editore l’ha voluto. Allora mi sono detto: perché non pubblicarlo io? Qualcuno dovrà pur fare il lavoro sporco”. Questo è poi diventato il motto della Topolin. E a dimostrazione di quanto il lavoro sia particolarmente sporco, c’è l’eccezionale sequela di sequestri e denunce inanellate dalle uscite della Topolin. Oltre a Hitler=SS sono state sequestrate - alcune volte addirittura in tipografia - anche opere come Brian the Brain di Miguel Angel Martin, oggi tranquillamente in vendita in qualsiasi libreria italiana. In difesa della Topolin sono arrivati decine di appelli a tutela della libertà di espressione, a cui hanno aderito tra gli altri Enrico Ghezzi, Oliviero Toscani, Milo Manara, i 99 Posse e, dalle colonne del quotidiano “Il Manifesto”, Aldo Busi. La Cueva, oltre ad essere la cassa di risonanza per la Topolin Edizioni, è anche vetrina per decine di artisti, che hanno la possibilità di far conoscere opere che talvolta difficilmente troverebbero un'altra sede espositiva. Hanno esposto qui gente del calibro di Moebius, Juan Jimenez, Miguel Angel Martin e Paolo Bacilieri, solo per fare qualche nome. Attualmente sono in mostra le tele di Marco Teatro, artista e storico organizzatore dell’happening internazionale del fumetto underground. “Abbiamo voluto affiancare al nome della Cueva lo slogan ‘no art gallery’, perché crediamo in un’arte che sia meno cervellotica e raccontata, ma più artigianale e concreta”, spiega Jorge, che prosegue: “Chiunque abbia dei buoni lavori può venire qui a mostrarceli. Se sono qualitativamente validi, la mostra si fa. La lista di chi è in attesa di esporre è però già molto lunga”.

Ma non è solo l’arte ad assorbire la Cueva. Come si è già accennato in precedenza, sono moltissimi gli eventi che animano questo spazio. Si va dagli incontri con gli scrittori (i “giovedì letterari”), al festival del cortometraggio, alle installazioni, fino ai concerti di musica elettronica. Ma la cosa di cui la Cueva può vantarsi di più, da un po’ di tempo a questa parte, sono le serate di tango. “Tutto è cominciato in maniera assolutamente naturale”, racconta Jorge. “Noi qui, da buoni argentini, il tango lo abbiamo sempre suonato. Poi è diventato un appuntamento fisso, il mercoledì. Lo abbiamo chiamato ‘tango de miercoles’ (che è un gioco di parole argentino che significa più o meno ‘tango di merda’). Alcune persone si sono offerte di fare da insegnanti di ballo (il primo a farlo è stato il maestro del fumetto argentino Josè Muñoz). Musicalmente, amiamo mischiare le sonorità: alterniamo classici poco noti ai più, alle nuove sonorità del tango elettronico. E stiamo avendo molto successo, tanto che ci invitano in tutti i principali festival di tango in giro per l’Italia, ma non solo: siamo stati DJ ufficiali al Festival Internazionale del Tango di Barcellona, e fra poco suoneremo a Monaco di Baviera, al Tango Fusion Club”. Anche a Milano la Cueva suona il tango in serate fisse “fuori sede”: il lunedì al Totem di via Gola, il mercoledì al Milan Rouge (dopo le 22) e il sabato alla Comuna Baires. Jorge, che ad aprile ha portato alla Cueva un’orchestra direttamente dall’Argentina, non esclude che possa produrre qualche pezzo in proprio. Staremo a sentire.

Nel frattempo, per chi si fosse incuriosito e vorrebbe farsi un giro, ricordiamo che la Cueva è aperta dal martedì al venerdì, dalle 20 in poi, in via Vigevano 2/A. Poi rimarrà chiusa per la pausa estiva, dal 15 giugno al 15 settembre. Per informazioni: info@topolin.it

a cura di Beniamino Musto

11 maggio 2006

EDITORIALE MAGGIO 2006


“Il futuro non è più quello di una volta”. Qualche anno fa era una frase sbiadita nei corridoi del metrò. Einaudi ha appena pubblicato l’ultimo libro di Aldo Nove, “Mi chiamo Roberta, ho 40 anni, guadagno 250 euro al mese”. Sono storie di gente comune, ragazzi e ragazze di buona famiglia, valido curriculum e tenace volontà. Oltre alla fascia anagrafica e alla cittadinanza italiana, li accomuna il precariato professionale.
Aldo Nove non è un politico, un fazioso, un girotondino. Si limita a raccontare storie vere sine ira et studio: da vero cronista il giudizio lo lascia ai lettori.
“Il futuro non è più quello di una volta”. Già: una generazione senza futuro, senza speranza di futuro, semplicemente cancellata dalle leggi di mercato. Ma come reagire? L’ingiustizia legittima il rancore, il pessimismo, il disimpegno di chi incrocia le braccia e bestemmia il governo? O non converrebbe adesso, proprio e soprattutto adesso, farsi valere, affrontare la sfida della modernità con coraggio? Una lotta per i diritti passa attraverso la combattività quotidiana, la fiducia nel cambiamento e un certo irrazionale ottimismo di fondo.
“Il futuro non è più quello di una volta”, d’accordo. Possiamo però impegnarci perché non sia peggiore.
Luca Gualtieri

5 maggio 2006

CARO MENSA IN STATALE

CARO MENSA A EFFETTO JO-JO
Prezzi fantasia alla mensa fast-food di via Festa del Perdono. La leggendaria creatività italiana ha trovato espressione nel servizio di ristorazione universitario. L’autore è un funzionario dell’Aspam - società appaltatrice della mensa dell’Università degli Studi - che ha deliberatamente aumentato il prezzo dei pasti. Il dirigente dell’unità di via Festa del Perdono ha così fatto scivolare il costo della pasta espressa da 2.60 € a 3.00 €; quello del secondo da 3.10 € a 3.45 €, quello delle patatine da 1.00 € a 1.30 € e, dulcis in fundo, la macedonia da 1.50 € a 2.00 €. A confermare che si tratta di un errore è il direttore generale dell’Aspam, Pietro Gioiello, che di fronte alla denuncia fatta da Vulcano ha dichiarato: “Abbiamo accertato che si tratta di un’iniziativa presa da un funzionario della società senza il nostro permesso, lo abbiamo sgridato, ci scusiamo, abbasseremo immediatamente i prezzi”. E in una manciata di secondi viene liquidato lo sberleffo che da circa un anno è stato perpetrato ai danni degli studenti. Alla faccia dei minuti, copiosi, che abbiamo passato in fila alle cassa della mensa, mentre, sovente, la preziosa cotoletta si raffreddava. E sì perché il cibo del fast-food non solo è costoso - come abbiamo appurato - grazie all’inventiva di un dipendente dell’Aspam, ma pure freddo. Tutti si ricorderanno il cambio di assetto di cui è stata oggetto la mensa recentemente, e che faceva sperare in un miglioramento dei servizi. Ad esempio la dislocazione di una seconda cassa per ridurre i tempi di attesa, cassa che scintillava tutta nuova all’inizio dell’anno scorso e che oggi rimane spesso inutilizzata, macabramente ricoperta con un sacco nero. Ma cosa dicono gli studenti a fronte di ciò? Alcuni dipendenti dell’Aspam, quelli che si dividono fra le cucine e il bancone, raccontano di come dalle reazioni dei giovani si misuri lo scorrere dei tempi. “Negli anni ‘70 c’era una manifestazione ogni sabato; venivano a occupare la mensa, si prendevano da mangiare, una volta si misero a lanciare le scodelle per ribellarsi al caro prezzi”. E ancora ci racconta un cuoco: “Oggi gli studenti si limitano a qualche lamentela.” La voce degli universitari, così tristemente presentata, ha trovato però modo di esprimersi attraverso un sondaggio fatto dall’I.S.U., pubblicato nel sito, sul gradimento delle mense della Statale. I dati parlano chiaro, c’è un malcontento generale. Per esempio, su un campione di 296 studenti il 37,2% non è soddisfatto della mensa di via Festa del Perdono. E in tutte le altre mense dell’ateneo milanese i risultati sono omogenei: in Santa Sofia, su 275 utenti, il 33,5% ha espresso un’opinione negativa sul livello del servizio e su 737 intervistati, il 34,9% non ha promosso la qualità dei primi piatti. Anche su questo abbiamo interrogato Pietro Gioiello che così ha risposto: “Gli studenti tendono a dare parere negativo per auspicare un miglioramento costante dei servizi”. Verrebbe da chiedere, e lo abbiamo chiesto, a che scopo allora il sito dell’Aspam, come l’I.S.U., propone la compilazione di un questionario sulla qualità dei cibi se poi non lo giudica attendibile: “Perché lo fanno tutti e noi ci mettiamo al passo coi tempi”, replica Gioiello. La questione tempi lunghi in coda resta per ora un problema insoluto ma Mario Bazzani, dirigente attività di assistenza I.S.U., assicura: “In Festa del Perdono la mensa tradizionale è sottoutilizzata, mentre la sala fast-food è superaffollata, perciò abbiamo deciso di rendere libero l’accesso all’altra sala anche a chi non ha il tesserino”.

NON TOCCATE LE POSATE
Argentate, tintinnanti, dalla line semplice e funzionale, sono loro, le posate, l’oggetto più desiderato dagli studenti della Statale. A rivelarlo sono alcuni dipendenti dell’Aspam, puntando l’indice contro coloro che alla fine del pasto infilano forchetta e coltello dentro lo zaino. Questo è il motivo secondo il quale si è deciso di reintrodurre le posate di plastica in sostituzione di quelle d’acciaio. Le posate d’acciaio, la cui introduzione era una di quelle novità del riassetto mensa dell’anno scorso, sono durate poco perché, come ha detto Pietro Gioiello: “Se mettiamo mille posate al mattino, la sera ne ritroviamo duecento; nel gestire la ristorazione ci vuole reciproca fiducia, appena uno mette tre lire in più gli saltano tutti addosso” - e aggiunge - “Ho visto un ragazzo che si riempiva la mano con un pugno di bustine di zucchero, veniamo scippati di caffè, ketchup, coca-cola; per non parlare delle caramelle!”.

COME AI VECCHI TEMPI
Grazie all’inchiesta di Vulcano e all’intervento del direttore generale dell’Aspam dopo la nostra segnalazione, i prezzi dei prodotti che avevano subito l’illecito aumento sono stati abbassati. Da ieri siamo tornati a pagare la pasta espressa 2.60€. L’ultima volta era stata un anno fa.

La vera e propria notizia sull’errore del funzionario qui si esaurisce, il prossimo pezzo analizza il caro prezzo sotto un altro profilo, forse bisognerebbe distinguerlo con la grafica, tipo riquadro? Vedete voi.

TORTELLINI E LIBERO ARBITRIO
I giovani tradiscono la pasta asciutta per la pizza e snobbano i secondi per il kebab. Tra le verdure vince l’insalatona. Una ricerca condotta da Sodexho, azienda che opera nel campo della ristorazione, rivela che il pasto, presso le mense degli atenei italiani, fino a pochi anni fa era composto quasi esclusivamente da primo, secondo, contorno e frutta, ora invece gli studenti prediligono i piatti unici. Il fenomeno si potrebbe riassumere come una verticalizzazione del pasto: sopra la pizza metti - consuetudine molto americana – verdure, salsicce, bistecche, coriandoli. E pure nel kebab ci metti di tutto, anche se a volte diciamo: “La cipolla no!”. E così s’ingrossa la spesa. Anche il nostro Ateneo si è messo al passo coi tempi e dall’inizio dell’anno accademico ha fatto il suo ingresso in mensa il kebab, a 3.50 €. Mentre un traccio di pizza farcito viene 2.80 €. Sempre a fronte del fatto che ci troviamo in una mensa universitaria, sia pure un punto fast-food, comunque un servizio per gli studenti squattrinati, ci pare che, sia pizza o kebab, per mangiare si spenda troppo. Ne parliamo con Gioiello che ci illustra il seguente principio: l’Aspam mette dei prezzi che variano a seconda della qualità o tipo di cibo, è lo studente che deve saper scegliere in base alle sue possibilità economiche. La differenza di prezzo nella qualità interviene, ad esempio, tra la pasta semplice a 1.55 € e la pasta espressa a 2.60 €. Qualità che dipende da cottura, la pasta semplice è lì dalla mattina, l’espressa è cotta sul momento; e anche dagli ingredienti: sugo al pomodoro per la prima, gamberetti e varie nella seconda. Stesso dicasi per quei piatti che sembrano andare incontro più al capriccio che al bisogno di nutrimento. Davanti agli sfrigolanti pizzoccheri, ai lucenti tortellini intrisi di salsa alle noci, rimescolati in fronte ai nostri occhi, l’unico modo di risparmiare è optare per la pasta semplice: quella bianca, dentro la pentola che pare una bara, condita al momento con uno schizzo di sugo. Caro studente, tira avanti al punto pizza, dimentica il kebab, soprassiedi alla focaccia farcita. Vai direttamente alla cassa, non alzare mai lo sguardo. Oppure, svenati.

a cura di Diana Garrisi

FISCHI PER FIASCHI

Sarò sincero. Ho mal sopportato i fischi a Letizia Moratti nei cortei del 25 aprile e del 1 maggio. Quando si scende in piazza è ben riflettere sulla propria presenza in corteo e non su
quella degli altri. E poi come si può dubitare dell’antifascismo di Letizia Moratti? Non sarà solo per la sua contiguità con certi ambienti (salò)ttieri, di solito poco avvezzi a celebrare la Liberazione italiana e inclini invece a commemorare “quei bravi ragazzi”della Repubblica Sociale? (vedi il sindaco uscente Gabriele Albertini…) O per il fatto che, due giorni dopo la
partecipazione al corteo del 25 aprile, ha siglato un accordo elettorale con due formazioni neo-fasciste come Fiamma Tricolore e Forza nuova? Come se nell’Italia post-berlusconiana
non fosse lecito scendere in piazza il 25 aprile per il medesimo calcolo elettoralistico in base al quale si fanno entrare nella propria coalizione gli eredi politici del Duce! Ma dai…
E ancora mi domando perché neppure il 1 maggio, festa del lavoro, alla signora Moratti sia stato steso un bel tappeto rosso di benvenuto. Sarà forse per le 8500 cattedre tagliate (con il licenziamento dei relativi titolari) quand’era ministro dell’Istruzione? O sarà invece per la precarizzazione e l’allungamento ventennale dell’iter dei ricercatori italiani? E comunque anche così fosse vi sembra il caso di prestarsi all’indecoroso (ancorchè pacifico) spettacolo di qualche decina di queruli fischi? Non era più educato minacciare l’aspirante sindaco – magari
avendo dietro le spalle un bello sfondo blu - di non pagare le tasse in caso di vittoria elettorale?

Francesco Zurlo

4 maggio 2006

NON SI ESCE VIVI DAGLI ANNI OTTANTA N°2

Da circa un mese si sono interrotti (chiusi?) i dodici anni di presenza politica di Sua Emittenza. L’imprenditore milanese affida la comunicazione sostanzialmente a due cose, verso le quali il suo elettorato è sensibile: il successo raggiunto senza alcuna qualità e lo stordimento. Caratteristiche degli anni ottanta e della Televisione. Che fortuna ha avuto! Sì perché, dopo aver costruito palazzi e città (città!! come gli imperatori.) con i soldi guadagnati a Parigi suonando jazz nei locali con Confalonieri (sì ma Confalonieri non era bravo), e con quelli che gli prestavano gli sciasciani Zii di Sicilia, fonda tre reti televisive oggi note come Milan… ah no, Mediaset (1984).

Gli immediati risultati sono l’allungamento della giornata televisiva, poiché la Rai moriva in prima serata, e una fidelizzazione del pubblico, grazie alla geniale idea di piazzare ballerine mezze nude mentre la Rai trasmetteva “Non è mai troppo tardi”, programma che tentava di alfabetizzare un pubblico adulto ma analfabeta: il servizio pubblico (ancora per poco) educava gli analfabeti; la Tv privata educava gli analfabeti ad essere Gabriella Carlucci.

Tra i personaggi e i programmi di punta della TV commerciale spiccano nomi prelibati.

C’è il martire delle fobie ignorantissime del decennio: Marco Predolìn che conduce con successo (ma non troppo) il “Gioco delle coppie”, fino a quando nei corridoi di Cologno Monzese i rumores di una sua positività all’HIV (forse anche al Tifo Interista) né minano l’immagine. Tra smentite e sudori freddi verrà defenestrato.

Marco Columbro, un mito: conduceva “Buongiorno Italia” primo programma mattutino che andava ad acchiappare le Irraggiungibili Per Eccellenza: le casalinghe, private fino ad allora, da una Rai essenzialmente maschilista, del loro pezzo di televisione quotidiana. La fanteria del futuro elettorato forzista si dilettava tra ospiti musicali e giochi a premi in un’atmosfera laccata almeno quanto i mobili che spolveravano. Ma il successo per Columbro, e la consacrazione di Fininvest in un altro spazio orario, è “Il gioco delle coppie” nel preserale di Canale5. Tre coppie rispondevano alle domande sul proprio partner, la coppia che dimostrava maggior affinità vinceva un ricco premio: su questo meccanismo (grosso modo) si baserà tutta la politica per la famiglia del futuro governo. Chi perdeva passava da Luca Barbareschi a “C’eravamo tanto amati”, programma in cui si litigava e si urlava facilmente, soprattutto se aizzati.

Fabrizio Aurilia

1 maggio 2006

INTERVISTA AL SENATORE GIUSEPPE AYALA

Ex PM antimafia e tra i protagonisti del maxi-processo, ex sottosegretario di Grazia e Giustizia per i Governi Prodi e D’Alema, oggi senatore alla sua quarta legislatura, l’ultima, con i DS. E ancora sesto nella classifica dei senatori compilata da Il Sole24Ore, uomo colto e stimato dalla destra come dalla sinistra, l’onorevole Giuseppe Ayala ha risposto alle nostre domande

Cosa pensa, prima di tutto, della particolare congiuntura politico-istituzionale che si configura adesso: elezione delle camere, elezione del Presidente della repubblica e nuova legge elettorale. Cosa ne verrà fuori?
Innanzi tutto la nuova legge elettorale secondo me è un disastro. Non per il ritorno al proporzionale – sono un sostenitore del maggioritario ma riconosco che non è servito a superare la frammentazione partitica italiana – quanto per la lista bloccata, che consegna la composizione del parlamento alle oligarchie di partito. Non c’è candidato del cittadino: la parte di elettorato indecisa, che si aggira intorno al 30%, sceglie solitamente il candidato in base alle sue personali qualità, ma in questo sistema sempre più de-ideologizzato la lista bloccata reca il simbolo e nessun nome e così allontana il cittadino dalla partecipazione. Il parlamento è prima di tutto costituito da donne e uomini scelti dagli elettori, non da partiti.
Esiste inoltre un problema tecnico: i premi di maggioranza da attribuirsi a base regionale, che per il senato è costituzionalmente vincolata, sono del tutto cabalistici. Non si riuscirà a costituire una maggioranza perché si abbassa l’effetto proporzionale, ma i premi si interdicono a vicenda e chiunque vincerà avrà un senato debole. Questa nuova legge è stata fatta da coloro i quali sapevano dai sondaggi di non vincere per indebolire chi vincerà.
Per quanto riguarda l’eventuale ingorgo istituzionale, Ciampi ha tanto insistito sulla data delle elezioni, che comporta automaticamente la determinazione della data della prima seduta comune delle Camere, proprio per evitare ciò che avvenne nel ’92. La dinamica sarà dunque lineare e ha una sua ratio: Ciampi si dimetterà e le nuove Camere, già legittimate, eleggeranno il nuovo Presidente della Repubblica, che poi nominerà il Governo.

Il 16 dicembre 2004 il Presidente Ciampi ha rinviato un primo disegno di legge-delega legislativa al governo riguardo al riordino dell’ordinamento giudiziario, che è da tempo necessario. Molti i motivi tecnici di tale rinvio, due i motivi sostanziali: usurpazione dei poteri e dell’autonomia dell’ordinamento giudiziario, in particolare del CSM, e inefficacia di alcune delle soluzioni proposte.
Premetto che un intervento normativo sostanziale sull’ordinamento giudiziario è secondo me assolutamente necessario e che per perseguirlo io proporrei una sessione straordinaria di 2 anni che preveda interventi normativi di semplificazione e rinnovamento del codice penale, interventi di migliore organizzazione degli uffici e stanziamento di risorse adeguate.
Alcune tra le obiezioni mosse anche dal CSM al disegno di legge – sono obiezioni che condivido interamente – riguardavano ad esempio la previsione di interventi del Ministro della Giustizia sull’indicazione delle linee di politica criminale per l’anno giudiziario. Come può il Ministro, che non ha alcun potere sugli uffici requirenti, avere tale prerogativa, se non, al più, a livello di parere non vincolante? Un simile sistema sarebbe stato comprensibile nel contesto del vecchio ordinamento del 1941: allora esisteva un potere gerarchico del Ministro della Giustizia sui procuratori, ma poi è stato cassato; allo stesso modo è incostituzionale l’iper-verticizzazione che nel disegno prevedeva un Procuratore della Repubblica al di sopra della Procura generale. Altri anacronistici aspetti del disegno riguardano il meccanismo dei concorsi. Prima di tutto esso si è rivelato inefficace e improduttivo, inoltre, come prima ed evidente obiezione, ci si potrebbe chiedere scherzosamente ma non troppo “tra esaminandi e giudicandi, chi ha tempo di fare le sentenze?”. Certo, l’avanzamento per anzianità è altrettanto eccessivo.

E per quanto riguarda la divisione delle carriere?
Riguardo a questo va rilevato innanzi tutto che in Italia abbiamo un’anomalia: il PM è autonomo e indipendente e conseguentemente ha l’obbligo di azione penale per ogni notitia criminis ricevuta, e tale obbligo costituisce garanzia di non discrezionalità nell’esercizio della sua funzione. Negli U.S.A. e in Francia ad esempio vigono sistemi differenti, che vedono una soggezione del PM alla gerarchia politico-governativa e un differente espletamento della funzione di PM. Poiché in Italia stanno così le cose, è fondamentale per una cultura della giurisdizione meno poliziesca che il magistrato acquisisca esperienza e senso del giudizio come giudice per poi ricoprire adeguatamente il ruolo di PM. Nella mia esperienza personale ho ricoperto la carica di Pretore, giudice unico presente in ogni capoluogo di provincia a cui era affidata l'amministrazione della giustizia in materia civile e penale, ossia rispettivamente il ruolo di PM e giudice. Questa esperienza mi ha permesso di operare al meglio come PM, mi ha reso cosciente di ciò che poteva concedere un tribunale e delle richieste che avrei potuto fare, poiché avevo svolto anche il mestiere di giudice. Al maxi-processo, dunque, oltre alle condanne, ho richiesto numerose assoluzioni, perché consapevole delle accuse poco reggibili, della difficoltà o addirittura impossibilità del tribunale di concedere la condanna con prove insufficienti. Proprio questa consapevolezza mi ha permesso di rafforzare le condanne e ottenere dal tribunale tutte quelle richieste. In mancanza di una simile esperienza le persone vengono spesso fatalmente condizionate dalla Polizia Giudiziaria.
Il ripristino dei concorsi e la separazione – poiché di separazione di fatto si tratta – delle carriere sono gravissimi errori strutturali.

Cosa pensa degli appelli mediatici del Presidente del Consiglio “perseguitato” dai magistrati?
Non ho mai creduto in simili affermazioni. L’unica cosa obbiettivamente evitabile sarebbe stato l’avviso di garanzia consegnato a Berlusconi al G8 nel 1994, un’azione priva di ratio alcuna. Aggiungerei anche la custodia cautelare durante “mani pulite”. Ma a parte questo non vedo persecuzione giudiziaria. La situazione di Berlusconi dipende dal suo essere al contempo uno spregiudicato e abile imprenditore e il Presidente del consiglio.

Si potrebbe aprire un lungo dibattito sul conflitto d’interesse…
Infatti… qui mi limito a dire che Berlusconi non è nato Presidente del Consiglio e che ha sfruttato la sua abilità mediatica da vittima.

La fiducia dei cittadini nell’amministrazione della giustizia è in calo. Di certo queste battaglie mediatiche contribuiscono alla situazione, ma ci sono altri motivi?
Certo, uno in particolare. Alle fasce di popolazione attente è noto che la parte giudicante funziona bene. Capita qualche sentenza meno adeguata, ma in genere la risposta dei giudici è seria e affidabile. La mancanza di fiducia dipende invece dalla lentezza della giustizia. E’ una grave inefficienza dell’organizzazione giudiziaria che è percepibile solo dagli addetti ai lavori - non dal cittadino che purtroppo ne vive gli effetti negativi - ma che paralizza anche la parte che funziona e senza colpa dei giudici comporta un loro calo d’immagine.

La ragionevole durata è un parametro di giusto processo che è stato inserito anche nella nostra Costituzione. Si è letto spesso che la Corte di giustizia dell’Unione Europea riceve ogni anno numerosissimi ricorsi per ingiusta durata dei processi in Italia.
Posso riferire quello che mi è stato detto dai giudici della Corte stessa l’ultima volta che li ho incontrati: “senza i ricorsi per tempi brevi provenienti dall’Italia saremmo sempre in vacanza”. Questo per dare un’idea della gravità della situazione. Purtroppo così anche i contenuti delle nostre sentenze, di cui è riconosciuta l’alta qualità anche nel panorama europeo e dalla Corte di giustizia, vengono sviliti. Cinque anni fa si credeva ancora nella magistratura. E’ un problema politico, perché può essere risolto solo con una sostanziale riforma di riorganizzazione degli uffici e, lo ripeto, dallo stanziamento di risorse adeguate. Ci sono uffici paralizzati addirittura dall’inadeguatezza o mancanza di mezzi come fotocopiatrici e fax…
Per tornare al discorso sulla fiducia, comunque, bisogna ammettere anche la responsabilità di taluni personaggi che fanno parte dell’ordine giudiziario. Ha fatto bene Nicola Marvulli (Primo Presidente della Suprema Corte di Cassazione, ndR), all’apertura dell’anno giudiziario, ad ammonire contro il protagonismo e la strumentalizzazione mediatica operata da pochi magistrati che così facendo danneggiano l’immagine di correttezza di tutto l’ordine.

Nella sua esperienza si annovera anche il ruolo di PM antimafia durante uno dei periodi più bui della storia italiana. Cosa è cambiato dopo il maxi-processo? Cosa Nostra non spara da 13 anni: la mafia è sconfitta o ancora più sottile?
Il maxi-processo iniziato a Palermo il 10 febbraio del 1986 ha coinvolto 475 imputati e ha rappresentato l’acmè della lotta alla mafia. Prima e soprattutto è consistito nella verifica giudiziaria di cosa fosse la mafia. Ancora oggi quando si cerca di definire questo complesso fenomeno si ricorre ai verbali del maxi-processo.
Del ’93 la Mafia si è inabissata. Senza omicidi è calata la visibilità del problema, è noto che i riflettori si accendono in casi di particolare violenza e prima del maxi-processo l’allarme sociale per omicidi e guerre di mafia era davvero alto. Certo, è positivo che negli ultimi 13 anni cose simili non si siano più ripetute, ma anche adesso, mentre parliamo, quantità di denaro e partite di droga vengono scambiate e quindi la mafia c’è ancora, ma non è visibile. La sensibilità e l’impegno, dunque, si sono rarefatti, ma non si tratta propriamente di un disegno politico. L’amara idea di fondo è che pressioni e reazioni sono direttamente proporzionali e che, purtroppo, l’agenda dell’antimafia la fa la mafia.
Certo, la mafia non può non avere rapporti con la politica, sia al momento delle elezioni che nel corso delle legislature, ma non si deve generalizzare: non tutti i politici sono collusi, non interi partiti. Dire che “tutto è mafia” è pericoloso, perché è come dire che “niente è mafia”: non si risolve il problema, che non è solo giudiziario ma soprattutto politico. Di certo la mafia non ha interesse ad andare all’opposizione e la politica finisce per esserne sottilmente e diffusamente condizionata. La mia convinzione personale è che la mafia si combatte in Sicilia ma la battaglia si vince a Roma.

a cura di Maria Beatrice Vanni