19 ottobre 2009

CELLULE STAMINALI

TRA ETICA E POLITICA LA LIBERTA' DELLA RICERCA


Il primo provvedimento preso dopo l’insediamento dagli ultimi due presidenti americani, Bush e Obama, ha riguardato lo stesso argomento: la ricerca sulle cellule staminali embrionali. Il primo ne aveva proibito lo studio se svolto utilizzando fondi pubblici (era consentito però se finanziato da privati), il secondo ha invece tolto i vincoli imposti dal suo predecessore. Per capire le prospettive, diametralmente opposte, dei due presidenti sulle questioni etiche e scientifiche che questo tipo di ricerca implica, è bene partire dal dato tecnico.La cellula staminale è una cellula primitiva capace potenzialmente di riprodursi infinite volte. Può essere embrionale o adulta: quella embrionale dà origine sostanzialmente ad ogni tipo di cellula, la staminale adulta invece soltanto a cellule corrispondenti all’organo da cui proviene.

L’uso delle cellule staminali embrionali suscita interrogativi morali: per ottenere una linea di queste cellule infatti bisogna distruggere una blastocisti, stadio preliminare dell’embrione tra il quinto e il settimo giorno di gravidanza.
I detrattori muovono quindi due ordini di obiezioni al suo utilizzo: uno di carattere scientifico, uno di carattere etico.
L’obiezione “scientifica” è per la quasi totalità degli esperti del tutto pretestuosa: le cellule staminali embrionali sarebbero inutili, soppiantate dalle più proficue staminali adulte.
In realtà il potenziale di entrambi i filoni di ricerca è sconfinato, tanto che per il preside della facoltà di medicina di Harvard “le staminali saranno per le malattie degenerative quello che gli antibiotici sono stati per quelle infettive". I difensori delle cellule “etiche”(le staminali adulte), commettono quindi contemporaneamente due errori: sottovalutano frettolosamente per malcelati motivi religiosi le staminali embrionali, alimentando invece false illusioni in chi spera di guarire grazie alle adulte. Ad oggi la ricerca non ha raggiunto risultati definitivi in nessuno dei due tipi di ricerca, e non avrebbe alcun senso rinunciare a una delle due strade perché fino ad ora non ha prodotto nuove cure.
Nel caldeggiare l’utilizzo delle adulte, sono stati numerosi i casi di crudele disinformazione nei confronti dei pazienti. L’Avvenire, il giornale della Cei, il 24 maggio 2005 ha titolato con un bizzarro “Staminali adulte vs embrionali: 58 – 0”, un articolo dove si confrontavano le patologie curabili con l’utilizzo dell’una e dell’altra.
In realtà il dottor David Prentice, che per primo aveva millantato queste cifre, smascherato dalla rivista Science del luglio 2006, ha dovuto ammettere che in realtà era stato frainteso (vizio evidentemente comune anche oltreoceano), e che intendeva dire che per quelle malattie era in corso semplicemente una sperimentazione.

Il dibattito etico è ancora più intenso: la Chiesa difende ufficialmente lo status di persona dell’embrione. Molte però sono le obiezioni possibili, sia interne al cattolicesimo sia provenienti dal fronte scientifico. Innanzitutto la blastocisti da cui si traggono le staminali embrionali non è ancora un embrione: se lo fosse non avrebbe alcuna utilità di ricerca. Se per la Chiesa questo non è rilevante, visto che la vita inizierebbe comunque con il concepimento, lo è per altri pensatori cattolici come il filosofo della scienza Evandro Agazzi. Per Agazzi infatti, il concetto di vita cristiana è enchélubilmente legato a quello di persona. Nei primi istanti successivi alla fecondazione però, enché sia già determinata l’identità individuale, non lo è quella genetica. Nel caso di due gemelli monozigoti infatti, non si può distinguere la loro identità prima del sesto giorno. Come si può sostenere quindi di essere di fronte ad una vita umana, quando non si sa ancora se avremo una persona, due, oppure più? Grottesco poi che si consideri non etico l’utilizzo ai fini di ricerca delle blastocisti soprannumerarie, avanzate dalla fecondazione in vitro, che vengono comunque buttate via dopo qualche tempo.
La differenza tra vita umana è blastocisti è facilmente percepibile anche a livello intuitivo con un esperimento psicologico: immaginiamo scoppi un incendio in un ospedale, e di poter salvare o un bambino di cinque anni, o due blastocisti, cosa faremmo? Tutti, vescovi compresi, salverebbero il bambino. Se invece considerassimo la blastocisti una persona, coerentemente dovremmo salvare il maggior numero di vite possibili, abbandonando il bambino.
Esiste poi un ulteriore ordine di argomentazioni: le risorse di cui disponiamo sono limitate, e il loro utilizzo obbliga a “scelte tragiche”. Un’amministrazione comunale sa che allestendo un attraversamento pedonale invece che un sottopassaggio esporrà i pedoni al rischio di essere investiti. Non per questo però costruirà solamente sottopassaggi: il loro costo infatti assorbirebbe le spese per altri servizi che, proprio nella difesa della vita umana, hanno un rapporto costi – benefici migliore. Chi gestisce le risorse di tutti deve essere consapevole di questo, altrimenti, come diceva Max Weber, è un “fanciullo”, che si rifiuta di fare i conti con la realtà.
Quindi, se vogliamo ragionare sull’argomento in modo serio, senza trincerarci dietro comodi dogmi, dobbiamo mettere onestamente sulla bilancia i pro e contro della ricerca sulle cellule staminali. I contro sono il sacrificio di un certo numero di blastocisti, stadio preliminare, come detto, dell’embrione. I pro sono tutte le malattie potenzialmente curabili, specie di tipo degenerativo (immaginiamo l’importanza della cura di una malattia come l’Alzhaimer in una popolazione sempre più vecchia).
La scelta, se ponderata laicamente, trovo non possa che andare in direzione della libertà di ricerca.

Filippo Bernasconi

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