APPREZZA MEGLIO UN NETTARE LA PIU' CRUDELE ARSURA
Camminavo oramai tra tre ore. La strada tagliava la valle, una lunga lama bianca piantata tra le scapole della pianura del Duero. Il calore era insopportabile. Il cielo diafano s’era fatto sole tutto: impossibile dire da dove i raggi venissero a proferire la loro condanna. La luce opaca riverberava sulla pelle butterata dei colli lontani, tra le braccia tese delle spighe di grano tra i quali si insinuavano le teste rosse dei papaveri, lungo il corpo secco degli alberi scuri e contorti. Avanzavo nella morte apparente del mezzogiorno. Mi accompagnava soltanto il frinire delle cicale, un ronzio intenso, costante, infinito.
L’impressione era quella di trovarsi accanto sempre lo stesso ciuffo d’erba gialla, la stessa traccia di serpente disegnata nella polvere rossa della strada. Polvere rossa che si attaccava ai capelli, correva lungo la schiena, si posava tra le dita dei piedi esausti.
Vidi gocce d’acqua dondolare mollemente sulla punta degli steli d’erba, dopo un acquazzone primaverile. La campagna verde della mia terra dove i salici sfiorano con dita gracili il corpo sinuoso dei ruscelli. Vidi passeri sguazzare nelle pozze d’acqua bassa. Mani chiuse a ricevere il fresco dono cristallino di polle alpine. Nel mio delirio avanzavo e avanzavo, trascinando i piedi nella terra riarsa.
Scrisse Emily Dickinson:
Più dolce appare il successo
a chi mai lo conobbe
apprezza meglio un nettare
la più crudele arsura
[...]
Più dolce appare il successo
a chi mai lo conobbe
apprezza meglio un nettare
la più crudele arsura
[...]
Solo nella più completa disidratazione conobbi la sete.
Ma una speranza c’era. Si chiamava orizzonte. Lontano, sopra il dorso ocra di un colle, si attorcigliavano nubi a spire, si annunciava tempesta. Trascorsero minuti infiniti. L’ombra avanzava lungo la valle, veniva da sud, lesta, silenziosa, incontro a me. Accelerai pregustando l’abbraccio, la frescura del suo corpo dentro la mia pelle. E l’abbraccio arrivò. Il sole venne inghiottito da un budello di nembi. Il sollievo era immenso, inebriante. L’ombra mi cinse i fianchi, mi coccolò e mi carezzò il viso con il suo respiro umido.
Le prime gocce scesero come una benedizione. Lungo il solco teso della mia bocca, nella mia gola ardente. Folate di vento sostenevano il mio cammino, ora più sicuro. Infine un colle, una curva, le prime case, dei volti umani: contadini che rientravano dalla campagna sotto la minaccia dei primi lampi. Poi in fondo ad una stradina, stretta tra una chiesa e un muretto a secco, sotto un perticato incorniciato dall’edera, una taverna.
Le prime gocce scesero come una benedizione. Lungo il solco teso della mia bocca, nella mia gola ardente. Folate di vento sostenevano il mio cammino, ora più sicuro. Infine un colle, una curva, le prime case, dei volti umani: contadini che rientravano dalla campagna sotto la minaccia dei primi lampi. Poi in fondo ad una stradina, stretta tra una chiesa e un muretto a secco, sotto un perticato incorniciato dall’edera, una taverna.
Senorita, un poquito de agua por favor!
Enrico Gaffuri
Liberamente ispirato da un articolo di Laurie Lee, Sotto il solleone Spagnolo, in Questa meravigliosa Europa, Selezione del Reader’s Digest, 1976, Milano